Immaginazione e innovazione: il vaccino contro l’incertezza

Come la nostra capacità di immaginare e la tecnologia possono influenzare la nostra vita, sicuramente molto di più di quanto pensiamo.

Guidati dall’immaginazione

L’uomo è, ad oggi, l’unico essere vivente in grado di programmare il proprio futuro. Questo grazie alla sua capacità di immaginare. Anzi, a onor di cronaca, è notizia recente che anche i corvi abbiano questo potere (tutti i corvi, non solo quelli a tre occhi), ma diciamo che l’uomo lo fa un po’ meglio. Dunque, dalla capacità di immaginare (reazioni, scenari, accadimenti) deriva la capacità di pianificare; ci diamo uno scopo, puntiamo a una meta, progettiamo, analizziamo scenari differenti e tutte le nostre energie, quando la cosa funziona, ci portano dove volevamo andare. Eppure, in alcuni momenti della nostra storia personale e collettiva, la mappa all’interno della quale creiamo i nostri progetti viene sconquassata da un terremoto di incertezza. La nostra immaginazione viene come sedata e ci proiettiamo in una dimensione di scarsità: di mezzi, di risorse, di obiettivi, di fiducia.

C’è un bel libro, Abbondanza di Peter Diamandis e Steven Kotler, dal quale ricavo la seguente considerazione: periodicamente si ha l’impressione che tutto stia andando storto, che i nostri limiti siano insormontabili. Ma se guardiamo attentamente al passato, ci accorgiamo che, dati alla mano, molte cose nel complesso sono migliorate. E ciò accade grazie all’innovazione tecnologica. O forse è la nostra capacità di miglioramento che cresce esponenzialmente con il progredire della tecnologia e della capacità di applicarla.

Moltissimi esempi di scarsità possono essere rivalutati sulla base delle nuove tecnologie. È stato così ripetute volte. Se a monte accettiamo l’idea del mutamento come condizione essenziale (non soltanto dell’uomo, ma dell’intero sistema-mondo), allora l’innovazione e le tecnologie possono migliorare radicalmente la qualità di tale inesorabile evoluzione. Un mutamento che va solo tenuto in equilibrio, né buono né cattivo, semplicemente essenziale (la sua deleteria antitesi sarebbe il ristagno).

Ma quale innovazione e perché?

Beh, partiamo dal fuoco, per esempio. Ha cambiato tutto. Nel mito di Prometeo, potremmo scorgere un parallelismo tra il gesto del titano di rubare la fiamma ardente dall’Olimpo per donarla agli uomini e la volontà inossidabile e libera di chi sfida i dogmi per raggiungere nuovi traguardi (sull’argomento c’è tra l’altro un altro valido libro, Stealing Fire, sempre di Steven Kotler con Jamie Wheal).

È il “furto” della conoscenza dall’olimpo delle idee, la ricerca spasmodica di un prodigio che possa radicalmente cambiare la prospettiva e il corso della storia. Prometeo come protettore degli innovatori? Un concetto che si riverbera in molte discipline, dalle scienze matematiche all’alchimia, fino alla biologia, alle tecnologie digitali e alle nuove frontiere dei big data e dell’intelligenza artificiale. L’insormontabile è stato spesso immaginato, sfidato e vinto con i mezzi della contemporaneità. Cambia lo storytelling, ma la sostanza è quella. Ecco perché non dobbiamo mai perdere il focus sull’enorme potere che abbiamo di reagire agli imprevisti con ingegno e resilienza.

Non si torna indietro (per fortuna!)

Negli ultimi mesi abbiamo assistito soltanto all’ultima delle numerose pandemie che hanno colpito, e in alcuni casi decimato, l’umanità. Un cataclisma che ha accelerato il processo di mutamento in atto, con conseguenze che ancora facciamo fatica a scorgere, anche perché siamo sempre all’interno di quello shock di cui parlavo sopra, che ha annebbiato la nostra capacità di immaginare e costruire il futuro. Di fatto si è creata una scarsità di sicurezza, di libertà, di relazioni e successivamente di fiducia: nell’economia, nello stato, nel futuro, nel prossimo.

Ma rispetto alla peste nera del 1300 o all’influenza spagnola che tra il 1918 e 1920 falciò tra i 20 e i 50 milioni di vite, oggi abbiamo più tecnologia e più innovazione per reagire e gestire l’impatto di un simile evento. Internet, ad esempio. La mancanza di un vaccino pesa su chi sta pensando a una soluzione definitiva, ma nel breve periodo il web ha permesso e permetterà nuove opportunità economiche e sociali. Coloro che durante il lockdown volevano continuare a interagire lo hanno fatto a distanza; chi voleva fare meditazione di gruppo, studiare o prendersi un aperitivo, con tutti i limiti del caso, lo ha fatto online. Quanti hanno potuto continuare a lavorare, si sono organizzati grazie all’intraprendenza personale e a una nuova mentalità, guidata anche dalle nuove tecnologie. E nuove idee hanno preso corpo, nuovi paradigmi ci portano a pensare che non esiste il concetto di ritorno alla normalità. Non si torna indietro e non ha senso farlo (a meno che non ci si trovi intrappolati in un simpatico loop nella città di Winden).

Se avessimo avuto ancora più tecnologia avremmo vissuto e reagito diversamente? Certo che sì!

Molte aziende e istituzioni si sono trovate a dover imparare velocemente una serie di linguaggi per poter rimanere in moto. «Chi si ferma è perduto» si diceva in primavera, scongiurando proprio quella resa di fronte al mutamento che genera solo ristagno.

La sbornia di video-call ha messo in luce la grande opportunità del web e della comunicazione differita ma anche i grandi limiti infrastrutturali e le insidie di una comunicazione bidimensionale. Il commercio elettronico è diventato un trend topic per svariati settori, che si sono trovati a disintermediare le proprie relazioni commerciali, bloccate dal divieto di movimento, cercando di andare dritti al consumatore finale, il quale, ricordiamolo, non era sparito. Il delivery e le tecnologie a esso connesse hanno permesso la sopravvivenza di interi comparti. Attrezzarsi per limitare i danni è sempre meglio che stare fermi a prendersi in faccia uno schiaffo a mano aperta.

Se avessimo avuto un visore per la realtà virtuale in ogni casa, l’intero settore dell’educazione, tanto per citarne uno, non avrebbe subito alcuna flessione, ma solo un cambiamento di mezzo. Tutti a scuola, in presenza e dal vivo, ma in una classe virtuale, magari esplorando mondi e scenari in prima persona. Capite che le implicazioni economiche e sociali sono enormi. Sempre con un visore per la realtà virtuale avremmo potuto abbracciare i nostri cari a distanza e vi assicuro che pur non essendo un vero abbraccio fa davvero un certo effetto. Con dei guanti aptici avremmo potuto sentire la consistenza delle cose. Lo faremo domani.

visore realtà virtuale

Con algoritmi di intelligenza artificiale maturi e alimentati dai dati, avremmo avuto strumenti ancora più potenti per la previsione e la presa di decisione. In Giappone opera una compagnia aerea virtuale, la First Airlines. Arrivi, fai il check-in, ti siedi, ti portano anche da mangiare. Ma l’aereo non decolla mai. Indossi un visore e “ti godi” il viaggio in realtà virtuale. Certo, il viaggio vero è un’altra cosa, ma la gente paga un biglietto anche qui. Afferrato il concetto?

La chiave della nuova normalità

Adesso, in questo limbo alle soglie della nuova normalità, notiamo picchi di entusiasmo e intraprendenza che fanno ben sperare rispetto all’imminente futuro economico, accanto a esempi deprimenti, mancanza di reattività e fiducia. La coperta è corta, gli investimenti timidi o fermi, ma c’è un flusso nel quale restare dentro, ed è sempre più evidente.

Nella nostra Toscana, che questa rivista racconta e documenta, abbiamo alcuni settori particolarmente sensibili di cui prenderci cura con rinnovato vigore: turismo, artigianato, enogastronomia, cultura, servizi qualificati. Per ognuno ci sono soluzioni che possono funzionare. Su tutto si può reagire. Tecnologie al servizio di nuovi modelli micro e macro-economici guidati magari da una ritrovata responsabilità sociale, rappresentati da brand in grado di farsi promotori di uno scopo più alto. Accanto a nuove scarsità ci sono cave di abbondanza ancora nascoste. Segmenti di mercato e strumenti per raggiungerli, nuove abitudini di fruizione e di acquisto.

Scopo di queste righe non è certo dare l’ennesima ricetta per la ripresa (anche volendo, chi scrive non pensa di averne le competenze). Però un invito lo posso fare. Nel piccolo come nel grande, così in alto come in basso, recuperiamo quanto prima la capacità di immaginare, di progettare e di realizzare, fiduciosi che l’ingegno produrrà nuove e più forti soluzioni. È già accaduto e accadrà di nuovo.

Articolo a cura di Antonio Laudazi / Foto di Andrea Piacquadio

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