Fino all’8 luglio alla ZAP – Zona Aromatica Protetta di Firenze una mostra dedicata a numerosi artisti impegnati nel Subvertising, l’arte di sovvertire la pubblicità.
A Firenze presso lo Zap – Zona Aromatica Protetta è visitabile, fino all’8 luglio, la mostra sul subvertising che racconta, attraverso l’esposizione di poster e opere, l’attività promossa da STEALTHISPOSTER, archivio di design che incentiva a prendere e sottrarre le immagini liberamente, contro il copyright.
Le immagini non son concepite come proprietà, ma come strumenti di protesta, contro soprusi e ingiustizie sociali. Gli artisti in mostra sono: Illustre Feccia, Hogre, DoubleWhy, Spelling Mistakes Cost Lives, Michelle Tylicki, SeizeTheMean, Propagazione. La mostra è curata da Alessia Tommasini.
“Subvertising” è una combinazione di due parole: “sovversione” e “pubblicità”, ed è qualunque tipo di azione artistica che sovverta la pubblicità. Arte e satira hanno una storia comune molto antica e così anche la libertà di espressione che ne deriva.
Ma, inoltre, il movimento affronta temi sociali e politici. I subvertiser – o adbuster – si confrontano su temi come l’iperconsumismo, la crisi climatica, i diritti civili e umani, le discriminazioni di genere, le politiche sociali, come in questa mostra.
Nati sulle matrici della riflessione dadaista e situazionista, gli adbuster si autodefiniscono dei “cultural jammer“, dei sabotatori culturali. Creano una discontinuità visiva e cognitiva, una riflessione che reinterpreta le cose, scardina gli stereotipi. Il loro scopo è produrre una specie di “ecologia mentale”. E lo fanno attraverso un’arte sociale, con il “detournement” (il rovesciamento) di immagini e oggetti dalla loro collocazione abituale per inserirli in un altro contesto semantico, dove il significato risulta mutato, se non capovolto. Provocando talvolta straniamento, confusione. Anche repulsione.
Si chiama anche “Brandalism”, parola composta da “brand” e “vandalism”. Com’è evidente, si oppone a tutto ciò che sia brand, advertising, pubblicità, mass media, e non solo per gli strumenti che in sé rappresentano. Ma per il consumismo e i bisogni che ne vengono generati.
Chi fa parodia e satira verso il “mondo dello spettacolo”, compie un’analisi storica e contemporanea della società, sovverte il linguaggio e il messaggio pubblicitario.
Contesta l’invasività dei messaggi, pende di mira consuetudini e il potere nelle sue variegate forme attraverso l’ironia, il sarcasmo e l’irriverenza.
Se l’origine dell’idea è novecentesca – già agli inizi degli anni ’60 si costituirono azioni con lo scopo di “liberare” l’individuo da certi meccanismi legati alla comunicazione di massa, per generare nuove esperienze “estetiche” – l’eco è arrivata fino ad oggi. Passando attraverso movimenti attivisti, urban art, illustrazioni e una buona dose di “guerilla marketing”. Le prime forme di pubblicità nascono in strada e tra le forme più note tra i subvertiser ci sono la contraffazione dei cartelloni e dei manifesti pubblicitari, l’uso dei graffiti, e ora anche la rete e le fake news.
L’obiettivo del subvertising, insomma, è interrompere “la trance pubblicitaria in cui siamo immersi per riappropriarci della nostra mente, del nostro corpo, della nostra vita, dei nostri diritti”.