Mahalaballana, un microcosmo che abbraccia l’universo intero

mahalaballana

Conosciamo il mondo di mostrilli e totem del misterioso artista fiorentino Mahalaballana

I tuoi mostrilli e i tuoi totem hanno invaso Firenze, ma sei forse l’unico che ha sempre preferito mantenere l’anonimato ed in pochi sanno veramente chi si cela dietro Mahalaballana. Pensi sia giunto il momento di raccontarci qualcosa in più su di te? 
“Sul fatto dell’anonimato, beh non saprei che dirti, non ho esercitato certo in quella direzione, e neanche ho avuto intenzione di creare quel certo alone di mistero intorno a me, anche perché sono oltre trent’anni che sparpaglio creature a destra e manca, principalmente mercatini e festival, ma ho portato avanti anche collaborazioni con negozi, realizzato murales, gadgets d’ogni razza e collaborazioni con i più disparati soggetti, sempre con gli stessi ‘mostrilli’ (evoluzione a parte) e con la stessa faccia e nome (beh MAHALABALLANA è un po’ più recente), anzi molte persone si ricordano d’avermi comprato una t-shirt in qualche situazione, nel senso che si ricordano del ‘mostrillo’, ma non di me (immagina un po’…). Probabilmente una bella differenza l’hanno fatta l’arrivo di Internet ed i social (e quindi le opportunità di diffusione) e la tendenza attuale di bombardare d’immagini (stickers, stencil, spray) autoprodotte in stile “underground”, ma che pare attingano la modalità da soggetti ben diversi (grandi marche, partiti politici, etc…). E su questo ci sarebbe molto da discutere, e sul fatto che il mainstream abbia incominciato già da tempo ad ispirarsi ai movimenti dal basso…” mahalaballana
Il tuo un vero e proprio mondo parallelo fatto dei tuoi famosi ‘mostrilli’, che prima avevano più un aspetto ‘comics’ poi con gli anni hanno assunto sempre più una linea minimale, fino a divenire quasi dei geroglifici tra il tribale ed il futuristico. Aprici un po’ il tuo mondo… dove trai ispirazione e cosa ti ha spinto a crearti questo magico mondo fatto di segni ed immagini?
“Quella dei ‘mostrilli’ è una vera e propria famiglia fatta di assurdi personaggi con cui decoro tutto ciò che mi capita sotto mano in un ‘libero e vagabondo’ scarabocchiare. I diari di scuola ed i fumetti che leggevo hanno dato l’imprinting fumettistico, poi crescendo è arrivata roba più seria (L’eternauta, Comic art, Frigidaire, Totem, Metal hurlant, etc…), ma a certi livelli non ci arrivavo (troppa fretta/tutto e subito) magari con un po’ d’applicazione e pazienza… forse, chissà…
L’ispirazione comunque te la trovi dappertutto – ovviamente all’inizio fumetti, illustrazione, grafica, design, video – poi esci dai confini ed incominci ad esplorare ed assorbire ciò che ti trovi intorno e quando ti trovi al tuo bel tavolino, prendi tutto il fagotto immagazzinato e te lo butti dietro come una sorta di suggeritore inconscio (un po’ in trance via…) ed inizi a buttare giù roba. Il meglio mi viene quando agisco senza aspettative… questo anche nella vita comune… Succede anche che certe volte parti un po’ incollato e vuotino, ed allora attui una procedura precisa: alfabeto, numeri, frasi, parole, cerchi, segni e guardi ciò che viene… Altrimenti mollo tutto e mi faccio una passeggiata…  Attualmente mi trovo un po’ ad un bivio mostrilli-segni/simboli, il naturale svolgimento degli eventi mi porterebbe dalle parti di quello che per intendersi è definito espressionismo astratto, ma una creaturina sgangherata si vende bene, una macchia di sugo molto molto meno, quindi… Allevo con amore le mie fedeli creature e le lascio evolvere e stravolgere dalle mie attitudini ludiche”.
Che importanza ha per te il segno? E che valore dai all’improvvisazione legata ad esso? I tuoi codici stanno cercando di comunicarci qualcosa che solo in pochi possono forse decifrare?
“Il segno: la consapevolezza di questo aspetto l’ho maturata col tempo. Inizialmente tendevo al risultato finale, all’esecuzione perfetta (gli studi in grafica pubblicitaria all’Istituto d’Arte di Porta Romana hanno lasciato il ‘segno’ appunto… Mica una scuola, uno zoo umano!!!). Poi materiali e strumenti diversi hanno incominciato a stimolare la sensibilità verso l’attimo dell’esecuzione, assistere e contemplare ciò che stavo facendo, immerso dentro; orse da questo è partita la divagazione segni/simboli, un andare oltre al ‘personaggio buffo’.
Spesso mi trovo a discutere sull’aspetto dei mostrilli e/o simboletti vari, “come sono incazzati!”, “sono formiche?” (questa l’avrò sentita un miliardo di volte), “ma cosa significano?”, certo l’assurdità del personaggio mi garba, ma mi attrae di più l’esecuzione, i tratti che lo compongono, la dinamicità, la musicalità delle sue forme fino a diventare quasi astratto ed incomprensibile, anche se tendiamo a vederci necessariamente qualcosa (ultimamente ho scoperto che questa tendenza ha un nome, pareidolia, un po’ come le macchie di Rorschach lo strizzacervelli). Comunque, ritornando alla tua domanda… No, non c’è un disegno diabolico dietro, nessun messaggio subliminale, solo una grande attrazione verso tutti i simboli ed alfabeti che l’uomo (e forse qualcun’altro) ha creato per comunicare o per spiegare concetti astratti... in primis la calligrafia estremo-orientale, dai primi pittogrammi agli odierni ideogrammi, con la loro al contempo forza ed eleganza e la loro filosofia e disciplina. Creare, giocando, pseudo alfabeti e simboli no sense, così da dare un linguaggio appropriato ai ‘mostrilli’… Poi fa piacere vedere creare significati da chi li osserva”. mahalaballana
Sei stato forse uno dei primi ad ‘abbandonare’ le tue opere nelle città che toccavi, regalandole agli occhi attenti di chi le avrebbe incontrate, prima ancora che divenisse una moda o una modalità per farsi conoscere ed ottenere visibilità. Io stessa ti ho conosciuto in questa modalità circa due anni fa a Firenze dopo aver trovato una tua opera abbandonata vicino alla piscina Costoli a Firenze. Cosa provi in questo gesto, in questo dono che fai ad uno sconosciuto? 
“Questa storia come inizio ha poco di creativo, praticamente è nata per la necessità di smaltire quadretti che si rovinavano durante spacchettamenti ed impacchettamenti ai mercatini, qualcuno lo restauravo altri li regalavo, poi ho iniziato ad appenderli al primo chiodo che trovavo… Il gesto non era male, inoltre essendo iper-produttivo ho iniziato una serie apposita all’abbandono, in questa maniera potevo azzardare nella sperimentazione e svincolarmi dal pensiero di realizzare qualcosa di vendibile… Da lì arrivano i primi episodi di ritrovamenti/adozioni/avvistamenti da parte di amici e sconosciuti, insomma ci ho preso gusto… Io la chiamo “galleria espansa”, un allargamento degli orizzonti, e mi gusta anche l’idea che il viandante, imbattendosi in tali oggetti, lontani dal loro abituale contesto, e quindi senza pressioni di una quasi obbligatoria comprensione, si lasciasse andare ad una giocosa curiosità.
Ancor prima, se non ricordo male, facevi scambi di immagini delle tue opere via posta ordinaria e e-mail. Una modalità alquanto bizzarra che anticipava gli scambi di opere reali come avviene in molti casi adesso. Un modo davvero originale e alquanto poetico per conoscere altre persone con la tua stessa passione in un mondo che non era ancora (fortunatamente) social. Parlaci un po’ anche di questa cosa… Che rapporto hai con i social network?
“La mail-art: capitolo divertente, auto-producevo e inviavo cartoline. In Francia mi ricordo una ragazza realizzava anche i francobolli ed arrivavano! L’imput mi sa che arrivò da una mostra di mail-art itinerante (fine anni ‘80) e la galleria era l’interno di un container con motrice. Ora sono iscritto a DODO/DADA una community di mail artisti, ma lo scambio avviene principalmente in modo virtuale… 
Social… hahaha, appartengo alla generazione analogica, un sacco di tempo in giro e approssimative mappe criptiche per raggiungere feste in luoghi ignoti… ma si arrivava. Bischerate nostalgiche a parte, Internet e diavolerie connesse grande storia, ma è un gingillo potente che ci distrae dalle nostre reali potenzialità. Comunque non disdegno l’utilizzo di questi mezzi, con le molle però”
Francesca Nieri