Intervista a Pamela Cioni, responsabile della comunicazione di COSPE Onlus
Il nome evoca una storia millenaria, una cultura antichissima, un paese d’Oriente abbracciato dall’Iran e dal Pakistan, che tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta ha conosciuto, come i vicini iraniani, l’ondata di modernità e libertà della Prima Repubblica Afghana. Quello che è successo dopo lo raccontano le pagine scritte da Khaled Hosseini ne “Il cacciatore di aquiloni” o in “Mille splendidi soli”, dove la storia di gente comune ha fatto da teatro alle stragi compiute dalle milizie islamiche.
Parole come ‘talebano’ e ‘terrorismo’ sono entrate ancora di più nel nostro linguaggio, diventando sinonimo di durezza, rigidità e paura, da quando le immagini degli attentati alle Torri Gemelle l’11 settembre 2001 hanno colpito il fianco dell’Occidente; una data impossibile da dimenticare, che da allora significa morte, dolore, incapacità di sentirsi al sicuro.
Esattamente 20 anni dopo, il 15 agosto 2021 i talebani rientrano nella capitale Kabul mettendo in fuga il presidente Ashraf Ghani e seminando il panico tra la popolazione. Anche in questo caso i media non tardano a farci vedere la disperazione di chi rischia di morire attaccato all’ala di un aereo pur di scappare da un regime omicida.
Sembra una storia lontana che non ci riguarda, ma la libertà, la tutela dei diritti, l’uguaglianza sono gli elementi necessari sui quali si fonda una comunità che aspira a definirsi civile, perciò questa storia è la storia di ogni essere umano nel suo microcosmo.
Migliaia di rifugiati afghani sono arrivati in Italia grazie a persone e ad associazioni che hanno attivato corridoi umanitari per accogliergli. Alcuni di questi ‘viaggi della disperazione’ sono terminati a Firenze grazie a COSPE, un’associazione privata, laica, senza scopo di lucro che da circa trentacinque anni ha lavorato in 25 paesi del mondo con 70 progetti di sviluppo equo e sostenibile nel rispetto dei diritti umani, garantendo giustizia tra popoli e sostenendo la diversità come valore.
COSPE ha lavorato in Afghanistan dal 2008 al 2018 con i progetti “AHRAM” e “Vite preziose”. Grazie alla collaborazione con associazioni di civili radicate nel territorio e attive nella lotta per i diritti delle donne; in questo modo sono stati sostenuti centri donne, case protette a Kabul e a Herat, e tutelato le avvocate e le psicologhe che hanno seguito le vittime di violenza.
Negli ultimi tre anni il lavoro è stato interrotto avanti per ragioni di sicurezza e salvaguardia degli operatori attivi sul territorio afghano, anche se il rapporto con le associazioni ha continuato ad andare avanti.
La storia di questi ultimi mesi è raccontata da Pamela Cioni, responsabile della comunicazione di COSPE e parte attiva della rete di accoglienza dei rifugiati. “Ad agosto abbiamo ricevuto le prime richieste di sostegno da parte delle persone del luogo con cui collaboriamo: servivano dei visti per lasciare il paese, prima che i talebani arrivassero a Kabul”.
Da questo momento è iniziato un rapporto di coordinazione tra le varie ONG, il ministero degli Esteri e della Difesa e AOI per portare in salvo quante più persone possibili tra collaboratori e collaboratrici, comprese le loro famiglie. “Le difficoltà che dovevamo fronteggiare erano molte, tra cui il modo per arrivare all’aeroporto di Kabul: sono stati giorni di insonnia e veglia per noi, queste persone sono nostri amici ormai da una vita” -continua il racconto Pamela – “per fortuna dopo qualche giorno è arrivato un gruppo di circa 30 persone, tra cui una decina di bambini.
Tra loro le calciatrici partite da Herat lunedì mattina all’alba, e delle cicliste, seguite in Italia dall’associazione Road to Equality. In una settimana sono state costrette a lasciare famiglia, casa e amici”.
Il gruppo delle calciatrici di Herat conta tre ragazze di circa vent’anni, di cui due sono arrivate con la famiglia, e l’allenatore; una parte della squadra è riuscita a scappare in Iran prima dell’arrivo dei talebani, mentre l’altra è rimasta a Herat. “Queste ragazze hanno vissuto per tanto tempo sotto la nuvola pesante della minaccia perché hanno formato una squadra di calcio: si allenavano alle 5 del mattino per non essere viste e sono state oggetto di rappresaglia continua. Nonostante tutto quello che hanno vissuto, non vedono l’ora di scendere in campo”.
Le tre giocatrici sono state ricevute a Coverciano dalla Nazionale femminile italiana e tutto il mondo dello sport in generale ha dimostrato un forte interesse verso la loro storia. “Ora necessitano di pace e tranquillità, hanno ricevuto una grande attenzione mediatica e sono in attesa, come gli altri rifugiati, della documentazione per lo stato di rifugiato politico. Nel frattempo vivono a Firenze in tre alloggi differenti offerti dalla Caritas, spiega Pamela parlando dell’attuale vita di chi si trova in Italia, mentre ancora altri stanno aspettando di mettersi in salvo.
“Mancano ancora 30 persone tra attivisti e attiviste, giornalisti, avvocate, collaboratori a vario titolo con le organizzazioni internazionali e tutti coloro che hanno lavorato per un’Afghanistan diverso nelle scuole, nella sanità, nella società e si sono da sempre opposti al regime totalitario dei talebani. I corridoi umanitari sono chiusi e questa gente può solo nascondersi, cambiare alloggio di frequente o scappare illegalmente dall’Afghanistan verso i paesi vicini”.
Per aiutare l’associazione nel sostegno ai rifugiati e a coloro che ancora vivono nella disperazione della guerra, COSPE ha lanciato la campagna “Emergenza Afghanistan”, una raccolta fondi per provvedere ad alloggi, corsi di formazione, abiti ma anche per biglietti aerei e visti internazionali. Donare a COSPE è sicuro: tutto va direttamente alle persone che aiutiamo. Siamo molto preoccupati perché da qualche mese l’interesse generale è sceso e dobbiamo mantenere alto il livello di attenzione; siamo davanti a un dramma che avrà grandi ripercussioni anche sulle nostre vite” conclude Pamela.