Il caso di Julian Assange è una questione di democrazia

Free Julian Assange

L’Alta Corte di Londra deciderà a giorni se concedere l’estradizione negli USA del celebre giornalista australiano fondatore di WikiLeaks. È in gioco il diritto dei cittadini di essere informati e riguarda direttamente chiunque fa giornalismo, anche una realtà come FUL.

Julian Assange, il giornalista più famoso del mondo e fondatore di Wikileaks, meriterebbe il Premio Pulitzer ma rischia di essere condannato a più di un secolo e mezzo di carcere negli USA per aver rivelato crimini di guerra, uccisioni stragiudiziali e violazioni dei diritti umani commessi da diversi governi occidentali durante le guerre in Afghanistan e Iraq. Da Amnesty International alla Federazione Nazionale Stampa Italiani, dal Premio Nobel Adolfo Pérez Esquivel a tante associazioni del mondo dell’informazione e della cultura a cui noi di FUL ci accodiamo, la richiesta è unanime: tutte le accuse a carico di Assange devono decadere e lui rimesso in libertà.

L’Alta Corte britannica di Londra, nel processo d’appello sul ricorso presentato dagli USA contro la decisione di primo grado con cui la giustizia inglese ha negato l’estradizione di Julian Assange, potrebbe accogliere le richieste del Gran Jury americano della Virginia. L’allora ministro degli Interni britannico Priti Patel aveva già firmato nel 2021 l’estradizione e a Washington lo attenderebbe una condanna fino a 175 anni di carcere, praticamente una sentenza di morte.

L’ultimo grado di giustizia in caso di ulteriore ricorso del team legale di Assange sarebbe solo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che può bloccare il volo che lo porterebbe a giudizio negli USA, ma dopo la Brexit il rapporto tra la Gran Bretagna e l’istituzione della giustizia europea con sede a Strasburgo è cambiato.

Julian Assange: il giornalismo non può essere un crimine.

Julian Assange non è un hacker e tantomeno un criminale. Si tratta del più famoso giornalista al mondo arbitrariamente detenuto da anni – ufficialmente per “spionaggio” – e il fatto che questa detenzione sia perpetrata dal Regno Unito su pressione degli USA la rende particolarmente grave.

La vera “colpa” dell’attivista politico australiano Julian Assange è stata quella di rivelare al mondo tramite la sua organizzazione senza scopo di lucro WikiLeaks – che riceve in modo anonimo e protetto, grazie a una blockchain, documenti coperti da segreto di Stato, militare o bancario e poi li diffonde sul web – i crimini di guerra compiuti dall’esercito americano durante l’occupazione militare dell’Iraq e dell’Afghanistan.

La cronaca di questi giorni ci mostra le conseguenze di quegli sciagurati interventi militari, così è giusto prendere posizione a denuncia della verità dei fatti.

Antefatto: le guerre in Iraq e Afghanistan come disfatta di reputazione dell’”Impero Americano”.  

Nonostante il sito di controinformazione WikiLeaks fosse attivo dal 2006, il grande pubblico scopre Julian Assange il 5 aprile 2010. Durante una conferenza stampa a Washington, il giornalista diffonde un video di 17 minuti che mostra l’assassinio di dodici civili iracheni (tra cui due giornalisti dell’agenzia di stampa Reuters) in un attacco messo in atto da due elicotteri militari statunitensi il 12 luglio 2007. Pare avessero confuso la videocamera dei giornalisti con un’arma. L’autenticità del video, chiamato Collateral Murder, è confermata da un militare americano. Il mese successivo quel soldato, Bradley Manning, viene arrestato (sarà scarcerato nel 2017 graziato dal presidente Obama…) con l’accusa di aver divulgato il video e altre centinaia di migliaia di documenti riservati: sono gli Iraq War Logs.

Qualche mese più tardi WikiLeaks mette a segno il secondo colpo. Il 25 luglio svela ai quotidiani New York Times e The Guardian il contenuto di alcuni documenti riservati dai quali emergono aspetti nascosti dell’intervento in Afghanistan, l’altro fronte dove è impantanato l’esercito americano nella sua “guerra al terrorismo”, in risposta agli attentati delle Twin Towers.

Le informazioni riguardano l’uccisione di migliaia di civili e l’occultamento dei loro cadaveri; l’esistenza di un’unità segreta americana dedita a “fermare o uccidere” i talebani anche senza un regolare processo; il doppio gioco del Pakistan — ufficialmente paese alleato degli USA — ma i cui servizi segreti tessono rapporti di collaborazione con i capi talebani per ostacolare l’operato militare statunitense. Il mondo conosce anche i metodi illegali di detenzione dei prigionieri di guerra che gli americani trasferiscono al carcere di massima sicurezza di Guantánamo.

L’immagine degli USA nell’opinione pubblica mondiale è gravemente compromessa. Tutti adesso possono conoscere le gravi violazioni commesse durante i due mandati del presidente repubblicano George W. Bush (2000 – 2008), reo di aver trascinato il paese in guerre dispendiose che hanno devastato Iraq e Afghanistan. Nei due paesi, rimossi i regimi che gli americani volevano abbattere, non c’è stata nessuna esportazione di democrazia, ma solo il precipizio della guerra civile tra etnie e confessioni religiose (sciiti e sunniti). Centinaia di migliaia di morti e una brutalità medioevale che ricorda quanto avvenuto dieci anni prima in Jugoslavia. 

A partire da novembre 2010 la fuga di notizie travolge anche la nuova amministrazione del presidente Barack Obama e capi di stato di tutto il mondo, tra cui Sarkozy e Berlusconi. WikiLeaks distribuisce ad alcuni quotidiani europei – tra cui El PaisLe Monde – e ai settimanali Der Siegel e L’Espresso, altri documenti riservati. Sono i cablaggi delle ambasciate americane che mettono in cattiva luce i loro servili alleati.

In particolare noi italiani scopriamo che i nostri servizi segreti hanno operato nell’interesse degli americani, per creare nel 2003 condizioni militari facilitanti l’attacco all’Iraq in spregio all’ONU.

L’arresto di Assange a Londra e l’asilo politico nell’ambasciata dell’Ecuador.

Il colpo di scena arriva il 18 novembre 2010. Il tribunale di Stoccolma spicca un mandato d’arresto in contumacia nei confronti di Assange con l’accusa di stupro, presentata da due ragazze che l’avevano conosciuto ad un evento di WikiLeaks nel paese scandinavo. Lui – in quel momento a Londra – nega l’accusa sostenendo che è solo un pretesto per estradarlo dalla Svezia agli Stati Uniti, a causa del suo ruolo nella pubblicazione dei documenti statunitensi segreti.

La Svezia, infatti, ha presentato una richiesta di estradizione alle autorità britanniche. Forte è il sospetto che tale richiesta sia finalizzata a estradarlo in realtà negli USA, dove lo attendono 16 capi d’imputazione ai sensi della Legge sullo spionaggio e uno ai sensi della Legge sulle frodi e gli abusi informatici. I servizi segreti americani hanno messo in moto la macchina che stritola Assange.

Free Julian Assange

Il 16 dicembre, dopo nove giorni di carcere a Londra, è rilasciato su cauzione e la decisione sulla richiesta di estradizione in Svezia rinviata. L’accusa per spionaggio negli Stati Uniti può costargli l’ergastolo, o addirittura la pena di morte. Quando nel giugno 2012 la Corte Suprema britannica rigetta il ricorso presentato contro il via libera all’estradizione, il giornalista viola la libertà condizionata e sceglie di recarsi presso l’ambasciata dell’Ecuador chiedendo asilo politico. Il presidente ecuadoriano Rafael Correa glielo concede e Assange, nella condizione di rifugiato, vi rimane per quasi sette anni!

L’attività di WikiLeaks continua. Nel 2016, durante le primarie presidenziali del Partito Democratico in USA, pubblica delle e-mail inviate e ricevute dalla candidata Hillary Clinton dal suo server  privato, quando era Segretario di Stato, dimostranti il coinvolgimento di Arabia Saudita e Qatar – ovvero due fedeli alleati americani – in varie azioni di supporto ai terroristi dello Stato Islamico (ISIS).

Il secondo arresto, il trasferimento nel carcere di Belmarsh e la campagna per la liberazione.

Nel 2017 il nuovo presidente dell’Ecuador è Lenín Moreno e l’atteggiamento nei confronti del loro scomodo rifugiato politico cambia. Il 1° maggio 2019, sicuramente su pressione americana, viene ritirato lo status di protezione e Scotland Yard può procedere all’arresto di Julian Assange. Condannato dal tribunale di Westminster al massimo della pena – 50 settimane di prigione – per aver violato nel 2012 la libertà su cauzione, è trasferito in isolamento nel carcere londinese di Belmarsh. Benché la Svezia a fine 2019 abbia archiviato il caso, Assange rimane in cella – in un limbo ai limiti del diritto – in attesa della decisione di estradizione negli USA.

Le sue condizioni di salute psico-fisica si deteriorano e nel frattempo, il 23 maggio 2019, il governo statunitense lo ha accusato ulteriormente della violazione dell’Espionage Act, una legge del 1917 (che provoca le proteste anche della stampa americana): è il 18° capo d’accusa!

Il Relatore dell’ONU sulla Tortura e Trattamenti Inumani, l’avvocato svizzero Nils Melzer, esorta i governi coinvolti nella vicenda giudiziaria ad astenersi da ulteriori atti pregiudizievoli per i diritti umani del recluso. Inoltre, sollecita l’Australia ad essere più attiva e non abbandonare il suo cittadino.

Il sostegno a Assange vede l’organizzazione di manifestazioni in tutto il mondo. Non manca ovviamente il supporto di Amnesty International, al pari di personalità dello spettacolo e intellettuali per la sua liberazione: il musicista Roger Waters, il regista Ken Loach, l’attrice Pamela Anderson, l’economista Yanis Varoufakis, il filosofo Srećko Horvat, la stilista Vivienne Westwood. In Italia, tra gli altri, si distinguono la giornalista Stefania Maurizi (grande esperta della vicenda, ha scritto per Chiarelettere il libro-inchiesta Il potere segretoNdR) e l’ex magistrato Antonio Ingroia

Il caso Assange oggi: una questione di verità e giustizia. 

L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 28 gennaio 2020 ha approvato la Risoluzione 2317 in cui chiede il rilascio immediato di Julian Assange, ai sensi della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Nel gennaio 2021 il tribunale distrettuale britannico nega la richiesta di estradizione da parte degli USA a causa delle sue condizioni mentali: il regime di isolamento al quale sarebbe sottoposto negli Stati Uniti potrebbe portarlo al suicidio, data la sua depressione clinica. Ma continua ad essere detenuto, a quanto pare esclusivamente a scopo preventivo, per garantire la sua presenza durante il secondo processo in corso di estradizione negli Stati Uniti. Il procedimento però potrebbe durare diversi anni. 

Free Julian Assange

Amnesty International sostiene che la pubblicazione di documenti da parte di Julian Assange nell’ambito del suo lavoro con Wikileaks non dove essere punita, perché tale attività riguarda condotte che il giornalismo investigativo svolge regolarmente nell’ambito professionale. Processarlo per questi reati potrebbe avere un effetto devastante sul diritto alla libertà di espressione, spingendo i giornalisti all’autocensura per evitare procedimenti giudiziari. Questo potrebbe riguardare anche il lavoro del nostro magazine.

La triste realtà è che quando uno Stato cerca di cancellare la verità e mette in carcere un giornalista questo atto si chiama tirannia. Nessuno può ritenersi non coinvolto per la vicenda, perché questo è un caso che ha a che fare con uno strumento base della democrazia: il diritto d’informazione. Non lasciamo vincere ai “cattivi” questa battaglia.

Parafrasando Bertold Brecht, “prima vennero a prendere Assange e io non dissi niente perché non ero un giornalista”. 

Noi di FUL ci uniamo al coro e diciamo a voce alta: “free Julian Assange!”

Foto: @John Englart via Flickr.