Al Semiottagono delle Murate la mostra “Sergej Vasiliev, uno sguardo indiscreto sull’URSS sconosciuta“, visitabile fino al 4 ottobre dedicata al grande fotoreporter sovietico, membro dell’Unione dei giornalisti dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e cinque volte vincitore del World Press Photo Golden Eye.
L’allestimento di “Sergej Vasiliev, uno sguardo indiscreto sull’URSS sconosciuta“, curato da Marco Fagioli, tra i massimi esperti di arte figurativa russa, e ideato da Jan Bigazzi – promosso dall’Associazione Amici del Museo Ermitage insieme a MUS.E, MAD Murate Art District, Museo Sergej Vasiliev – vede un repertorio di oltre ottanta fotografie in bianco e nero scattate tra gli anni Ottanta e i primi Novanta. Le tematiche trattate nella mostra vanno di pari passo con le vicende biografiche e sociali dell’artista, purtroppo non semplici fin dagli inizi della sua vita quando i suoi ricordi infantili vengono trasformati in lunghe immagini di guerra.
Il maestro, infatti, nasce il 16 giugno 1936 in un villaggio della Ciuvascia a 80 km da Kazan, da una famiglia di contadini. Tutta l’infanzia dell’artista è segnata da una grande aspettativa verso il ritorno del padre che vide per l’ultima volta salire a cavallo per andare nella Grande Guerra Patriottica. I ricordi dei bombardamenti e dei meli del giardino distrutti dagli aerei non sono i momenti più brutti dell’infanzia di Sergej, infatti, nell’autunno del 1941, riceverà la notizia della scomparsa del padre.
Oggi, a distanza di anni, il fotografo spesso si definisce come “figlio della guerra”, che passò l’infanzia contando i giorni che mancavano alla fine di quel periodo buio. Quell’esperienza dolorosa si trasformerà, successivamente, in numerosissime fotografie che hanno come soggetti i veterani di guerra e le parate militari. Vasiliev stesso era iscritto al Partito Comunista e – grazie alla sua partecipazione nella vita politica – ha avuto la fortuna di immortalare personaggi storici del tempo di primo piano come Brezhnev e Eltsin, distinguibili anche nelle fotografie esposte alla mostra. Bisogna sottolineare però che, nonostante sia evidente l’estetica del realismo socialista nelle opere del maestro russo, quelle fotografie non sembrano essere scattate né da un osservatore indifferente e distaccato, né da un compagno o membro del partito, ma svelano invece lo sguardo di un caro amico che entra nell’intimità del soggetto fotografato.
Questa caratteristica, insieme alla comprensione e la compassione sono sicuramente alcuni dei tratti distintivi che appaiono nelle fotografie esposte alla mostra. Suddivisa in sette capitoli, spazia dai ritratti, dalla sauna russa, dal parto, dai tatuaggi, dagli incidenti fino alla vita in carcere. I ritratti si concentrano sullo sguardo e sull’essenza dell’uomo come essere organico e naturale, fuori dal contesto sociale e dalle esperienze vitali e ci mostrano come Vasiliev riesca a cogliere la bellezza e l’unicità dell’attimo.
Visto il suo amore per i contesti insoliti per scattare, Sergei si reca in una sauna dove realizza diverse fotografie, a metà strada fra finzione e reportage, che sorprendono per l’estetismo tecnico nelle loro armoniose composizioni e i giochi di luce e gli portano tantissimi riconoscimenti da parte dei critici di tutto il mondo che evidenziano la sua visione del corpo femminile. Immergendosi ancora di più nella natura dell’uomo e del ciclo vitale, l’artista tratta il tema del parto dove le espressioni di un forte dolore durante la messa al mondo di un bambino si trasformano nei dolci sorrisi e nella serenità durante l’allattamento.
Vasiliev decide di rappresentare la nascita insieme al suo contrapposto e ci dirige verso il tema degli incidenti con fotografie che raffigurano la sofferenza e la morte in seguito alle cause esterne e inaspettate. Probabilmente questa serie di fotografie nasce da riflessioni sulle prove vitali che incontra l’uomo lungo il corso della vita, visto che queste considerazioni vengono rimarcate anche nelle fotografie dei carcerati. Sarebbe stato difficile immaginare un posto più adatto per esporre queste ultime perché è proprio sulle mura dell’ex carcere fiorentino che i protagonisti delle opere di Vasiliev sembrano dialogare con lo spettatore, aiutandolo a sentirsi al posto del fotografo.
Le persone nei campi di reclusione diventano il tema principale della produzione artistica di Vasiliev durante i così detti selvaggi anni Novanta quando avvenne il cambio del regime e l’ingiustizia divenne la parola chiave del tempo. Essendo un periodo di transizione con le nuove leggi non ancora affermate, quel decennio rappresenta un periodo di grande criminalità, mortalità e di dovuto adeguamento alle nuove regole di sopravvivenza nella società.
Sono queste le fotografie più dolenti della mostra, che ricordano Vasiliev nelle prigioni degli Urali. Nella dimostrazione delle umilianti condizioni dei prigionieri, rimaste identiche a quelle descritte già da Fëdor Dostoevskij in “Memorie dalla casa dei morti”, l’artista annuncia a gran voce la necessità di un cambiamento.
Le immagini di Vasiliev trattano ancora una volta la durezza del destino e l’importanza del perdono quando fa emergere nei volti tatuati dei detenuti una ritrovata dignità umana e la sua umiltà davanti al prossimo. Quest’ultima è una caratteristica da sempre presente nella personalità del fotografo sovietico, che da giovane lo porta alla decisione di rimanere nella città di Čeljabinsk per tutta la vita dopo averci svolto il servizio militare, tuttora obbligatorio in Russia.
Come accade spesso ai veri artisti, Sergei Vasiliev è sempre rimasto insicuro riguardo al valore della propria attività artistica ed è proprio per questo motivo che decise di farsi strada in una città dalle dimensioni contenute, nonostante le numerose offerte di lavoro a Mosca e all’estero. Anche oggi, dopo numerosi riconoscimenti ottenuti, mostre e premi, l’artista continua a vivere nel suo piccolo appartamento a Čeljabinsk, mentre le sue opere continuano a viaggiare e a portarlo in tutto il mondo.
Articolo di Viktorija Carkina