Il 12 maggio è uscito Plush and Safe, l’ultimo disco di Godblesscomputers edito da Tempesta Records e Fresh Yo!. Lorenzo ed io ci conosciamo da un po’, ma era tanto tempo che non ci sentivamo. Questa intervista è stata più una chiacchierata intima con un vecchio amico che l’incontro con uno degli artisti più interessanti dell’attuale panorama italiano di musica elettronica. Plush and Safe conferma non solo la sua grandezza artistica ma anche la sua evoluzione musicale e spirituale.
Plush and Safe, il tuo ultimo disco, come lo descriveresti?
Plush and Safe non è un disco pigro, è qualcosa che avevo bisogno di fare, volevo raccontare delle storie ed esprimere sensazioni…
Sono d’accordo. Una cosa che ho notato subito dopo aver ascoltato il disco è il divario che c’è con Veleno (il disco precedente, ndr), sia per quanto riguarda ciò che racconti che per le emozioni che riesci a trasmettere… è un disco profondamente intimo.
È un disco più autobiografico di Veleno, che invece raccontava un percorso di suoni nei quali perdersi. Questo ha una struttura differente. È composto da più tracce: in parte ho mantenuto il mio stile, i miei suoni e il mio approccio malinconico, ma mi sono misurato anche con pezzi e ritmiche differenti, come Somewhere away from me che è suonato solo col piano e non ha batteria.
Il piano elettrico è molto presente nel disco. Cosa ti ha avvicinato tanto a questo strumento?
Il piano elettrico ha delle sonorità che mi piacciono molto, forse perché viene utilizzato nella musica soul. Emotivamente parlando è lo strumento con cui riesco meglio ad esprimermi e che sento più vicino: da bambino l’ho suonato per molti anni. Nel live che presenterò in questo tour ce ne sarà uno sul palco.
Il nome Plush and Safe si ispira liberamente ad una scritta di Basquiat che recita: «Plush safe he think». Come è nato questo collegamento?
In realtà Basquiat è un artista che mi affascina ma non più di altri e nel disco non mi ispiro alle sue opere. Il nome è nato mentre stavo sfogliando un libro con alcuni dei suoi primi lavori. L‘obiettivo della frase era quello di criticare la perenne ricerca di sicurezza e stabilità da parte degli esseri umani, perché, a suo avviso, tenere tutto sotto controllo non ti permette di creare, come se il prerequisito necessario alla creatività fosse non essere mai tranquillo e sicuro. La frase si adattava molto bene al periodo che stavo vivendo sia emotivamente che umanamente: nuove insicurezze sono entrate nella mia vita e questa perdita di controllo mi ha dato stimoli per creare cose differenti. Per questa ragione Plush and Safe è un disco molto sentito, intimo e ogni brano rappresenta un momento particolare dell’ultimo anno.
Closer è il primo singolo del disco, di cui il 6 maggio è uscito il video. È sicuramente uno dei pezzi dell’album che preferisco, lo trovo molto coinvolgente ed emozionante, me ne parleresti un po’?
È un pezzo al quale sono molto legato ed è il primo che ho composto di questo album. L’estate scorsa è stata per me un periodo molto difficile, ha segnato una linea di demarcazione, un prima e un dopo. Closer rispecchia a pieno questo sentimento. È un pezzo che mi piace davvero tanto e ogni volta che lo riascolto mi emoziona e mi stupisco di averlo scritto io. È come se fosse esistito già prima che lo componessi…
Un’affermazione molto michelangiolesca…
Be’ un po’ sì ed è una cosa alla quale ho pensato molto in questo periodo. Ho come l’impressione che tutti i pezzi di Plush and Safe esistessero già, cose che risuonavano nella mia testa, emozioni che in qualche modo dovevano trovare una forma, un canale espressivo che, nel mio caso, è la musica. Durante l’estate 2014 ho buttato giù tante idee e le ho lasciate sedimentare, fino a che non ho sentito che era arrivato il momento di riprenderle in mano e costruirci intorno il disco.
Com’è nata la collaborazione con Francesca Mati?
Ci conosciamo da tanto tempo ed è un’artista che apprezzo moltissimo: al di là delle sue doti vocali è una persona molto sensibile e abbiamo un’ottima sintonia. Quando lavoriamo insieme non mi serve dirle niente, perché lei sa già dove andare. Nel disco ci sono due featuring con lei; il primo è Light is Changing, un pezzo che abbiamo abbozzato due anni fa. L’ho riascoltato mentre Plush and Safe stava prendendo forma e ho deciso di riaprirlo e registrarlo nuovamente, anche perché il testo si adattava molto bene al mood dell’album. L’altro pezzo è Clouds che invece è scritto appositamente per Plush and Safe: Francesca ha scritto qualcosa, me lo ha fatto sentire e ho trovato che fosse perfetto per il disco.
Mentre ascoltavo Lotus Flowers and Tears, mi sono tornate in mente le atmosfere evocate da Yuan (un pezzo che si trova in Veleno, ndr), probabilmente per il richiamo a sonorità orientali…
Sì, è vero, in parte le atmosfere sono simili, anche se il campionamento della chitarra in Lotus Flowers and Tears l’ho preso da un disco di musica tradizionale cilena che mi ha portato un mio carissimo amico da un viaggio. Lo avevo ascoltato molte volte, fino a che non ho pensato di utilizzare quel campione, tagliarlo e risuonarlo: è così che è nato Lotus Flowers and Tears, altro pezzo che parla di una rottura.
Veleno è stato il disco che ti ha lanciato sulla scena, con la sua freschezza e immediatezza di suoni, un disco giovane che arrivava dritto all’ascoltatore, Plush and Safe è completamente diverso. Ha avuto una gestazione lunga e tu hai fatto un percorso interiore che ti ha portato a scavare nella profondità dell’essere per poi trasformarlo in musica. C’è qualcosa in particolare che ti aspetti da questo nuovo modo di produrre e comporre?
Quando è uscito Veleno non mi aspettavo niente, tanto meno di ricevere un feedback positivo sia dalla stampa che dalle persone. Plush and Safe è molto diverso, così come lo sono le mie aspettative. Sono molto più sereno rispetto all’anno scorso, perché sono davvero felice di essere riuscito a mettere in musica quel percorso interiore. Spero che possano arrivare a qualcuno, ma non ho nessuna pretesa. Vorrei solo far capire che Plush and Safe non è un disco pigro e che io non faccio musica tanto per farla, ma che in realtà è un prolungamento di me stesso. Tento di comunicare ciò che sono nella maniera più diretta e autentica possibile. Ciò che verrà scritto, come verranno recepiti questi pezzi è secondario; la cosa che conta per me è che quando li riascolto continuano ad emozionarmi e a stupirmi, quindi va bene così.
Aver messo così tanto di te stesso in Plush and Safe, mostrando parti profondamente intime e private, svelando un percorso personale così profondo, che sensazioni ti dà? Ti imbarazza un po’?
Non è questione di imbarazzo, è l’unico modo che ho in questo momento, non riuscirei a fare le cose diversamente, non avrei potuto scrivere un disco differente cercando suoni e atmosfere diverse da quelle che ho scelto, perché non è quello che ho vissuto e sentito in questo periodo. Sarebbero stati dei pezzi che non mi avrebbero rispecchiato e le persone se ne sarebbero rese conto. Una cosa che ho capito è che i dischi nati da movimenti profondi dell’essere, che hanno un’urgenza li riconosci subito. Mentre quelli che provengono solo dall’entusiasmo, che vengono composti solo per fare roba figa, magari sono dei bei dischi, ma arrivano solo fino a un certo punto, rimangono lì, in superficie…
… e sono proprio quei pezzi che hai eliminato dalla tracklist, composti in studio sull’onda di un giro carino di note…
Esattamente. Mi rendo conto che a volte, facendo musica nella vita, mi metto in studio non con le giuste intenzioni, che sto suonando solo perché devo farlo. Magari faccio dei pezzi, ma li compongo col pilota automatico, e in fondo per me non rappresentano niente, tanto che a volte non ricordo neanche di averli scritti. Quando sento questa cosa, non va bene ed è proprio questo quello che non si trova in Plush and Safe.
Marta Pintus