La poliedrica artista torna a Firenze il 19 settembre in occasione del suo esclusivo dj set “Rocket girls on Vinyl” che si terrà presso l’hotel Mercure Firenze Centro
Sei dj, speaker radiofonica, scrittrice, giornalista, podcaster, direttrice artistica del festival La città delle donne e molto altro ancora. Come ha avuto tutto inizio?
Tutto è nato da questa grande passione per la musica che mi accompagna da sempre. Il mio percorso non è altro che una declinazione di questa passione. Ho la fortuna di fare un lavoro che mi piace, però è anche una sfida quotidiana perché cerco di non perdere mai di vista gli obiettivi e i traguardi, al fine di continuare a fare questo mestiere per tutta la vita. C’è una sorta di fil rouge che lega tutte le mie attività. Io l’ho ben chiaro questo fil rouge, ma mi rendo conto che a volte possa esserci difficoltà nel comprendere cosa può legare La città delle donne alla mia esperienza pregressa. In fin dei conti, c’è sempre questa voglia di condividere quelli che possono essere dei modelli di riferimento.
Lo dico spesso: avere dei modelli di riferimento è importantissimo, soprattutto da giovani, perché ti offrono una prospettiva e ti vengono incontro anche con una visione laterale, non ordinaria. Io ho trovato questi modelli di riferimento nella musica e dunque, attraverso le mie varie attività, non mi sono lasciata scappare l’occasione di condividere storie che vale la pena conoscere.
Hai scritto libri e tenuto podcast riguardo le storie d’amore, di sesso e di ribellione dei musicisti di tutti i tempi. Quali sono quelle che ti hanno affascinato di più?
Mi piace raccontare storie di artiste rivoluzionarie: questo è ciò che ho fatto nel libro Rocket girls. Storie di ragazze che hanno alzato la voce. Ci sono rivoluzioni che iniziano tra le pareti domestiche, ci sono rivoluzioni invece che arrivano nelle strade, magari grazie a una canzone. Una delle attuali declinazioni di questo libro sono i laboratori che svolgo nelle scuole. Alcune storie in particolare appassionano ragazze e ragazzi, magari perché sono io la prima ad appassionarmi al racconto di esse, e di conseguenza trascino anche loro in questo viaggio.
Racconto spesso la storia di Nina Simone, rivoluzionaria artista afroamericana impegnata nella lotta per i diritti civili. La sua lotta è passata anche attraverso i suoi capelli. C’è stato un periodo molto complicato nell’America segregazionista degli anni ‘50/‘60, durante il quale le persone afroamericane non potevano esibire i propri capelli naturali ed erano costrette a ricorrere a pesanti parrucche. Nina Simone ad un certo punto si libera pubblicamente di questa parrucca, in un’epoca in cui la pettinatura afro non era ancora di moda. Parliamo di una rivoluzione che inizia anche dalla propria acconciatura, dal modo di apparire. Inoltre, parliamo naturalmente di brani meravigliosi che non passano mai di moda, anzi, che ritornano spessissimo in spot, film, serie tv: è una riscoperta continua.
Molte artiste di cui racconto la storia sono state riscoperte anni dopo la scomparsa: penso, per esempio, alla storia di Betty Davis, che tra il 1973 e il 1975 scrive, arrangia e produce 3 dischi di puro funk incendiario. C’è un’industria che non è pronta per la musica di un’artista nera che non va per il sottile e racconta le cose esattamente come stanno, utilizzando un linguaggio schietto, un’artista che sul palco ama esibire il proprio corpo ad un pubblico non ancora pronto. I suoi dischi non vengono trasmessi alla radio, in un momento nel quale per vendere era fondamentale che le canzoni passassero proprio da lì. La storia di Betty Davis, un’artista in anticipo sui tempi, è una storia che cade nell’oblio, ed è un grandissimo peccato. Vale la pena conoscerla, perché Betty Davis preferisce lasciare quel mondo anziché presentarsi per la persona, per l’artista che non è. Credo che possa essere una grande lezione di vita: non scendere a compromessi e avere la consapevolezza di compiere una scelta importante che cambierà la tua vita.
Il Mercure Firenze Centro è un hotel fiorentino che, grazie alla sensibilità del suo direttore Matteo Tognozzi, presta molta attenzione ad eventi di natura culturale. Raccontaci il tuo prossimo appuntamento a Firenze.
Ho intitolato il dj set che suonerò al Mercure Rocket Girls On Vinyl perché si tratta dell’ennesima declinazione del mio libro. Quando è uscito, ho subito pensato di affiancare alla lettura una playlist su Spotify con tutte le canzoni citate. Ogni capitolo racconta una rivoluzione di un’artista partendo da un suo brano. A volte può essere celebre, a volte meno celebre, a volte non è nemmeno un pezzo così conosciuto. Però credo che sia fondamentale ricordare il germoglio da cui tutto è scaturito.
Quando ho iniziato a fare le presentazioni del libro, ho immaginato di accompagnare il testo a un dj set. Lavoro da diversi anni in questo ambito, per cui ho pensato che fosse il caso di omaggiare queste artiste. Trovo interessante l’accoglienza di questo set che presenta artiste dagli anni ‘50 fino ai giorni nostri e di diversi generi (hip-hop, soul, blues, funk e rock naturalmente).
Trovo interessante anche la reazione degli ascoltatori, perché a volte si stupiscono quando gli ricordo che abbiamo ascoltato per ore soltanto artiste. C’è addirittura chi pensa non sia possibile! Certo che lo è, e potremmo andare avanti ancora per ore e ore. Le artiste nella storia della musica ci sono sempre state. Questo stupore nasce perché questi nomi sono stati cancellati dalla storia a causa di una narrazione prettamente maschile.
Dunque, si tratterà di un set completamente al femminile. Collegandoci ad un’altra delle cose di cui ti occupi, credi che ci sia una stretta connessione tra musica e femminismo?
La musica può certamente essere un mezzo grazie al quale il femminismo si propaga. È chiaro, però, che ci può essere sia musica impegnata sia disimpegno. Questo è un altro aspetto che amo indagare con le ragazze e con i ragazzi sui banchi di scuola. Mi piace scoprire che cosa nasconde il testo. A volte un testo desidera trasmetterci un messaggio e altre volte semplicemente c’è un puro divertimento. Il fatto di appartenere a un genere non significa abbracciare per forza una battaglia. Ci sono artiste che hanno scelto altre strade e ci sono artiste come M.I.A. che affermano «Se ho davanti un microfono lo devo utilizzare, affinché la mia voce possa essere amplificata. Ho necessità di offrire un messaggio importante, altrimenti questo potere che ho risulta vano».
Ci sono state molte artiste che hanno utilizzato questo potere. Penso anche a un brano come People Have the power, scritto da Patti Smith, brano che ancora oggi le campagne elettorali si contendono, perché diventa colonna sonora di manifestazioni, di piazze, di strade piene di persone che hanno voglia di rivendicare i propri diritti.
Le classifiche odierne sembrano dominate dalle artiste. In realtà, un recente studio (https://assets.uscannenberg.org/docs/aii-inclusion-recording-studio2021.pdf) ha dimostrato che anche nel mondo della musica c’è una netta prevalenza maschile. Il gender gap, dunque, è presente anche nella top 100, nonostante si sia portati a credere il contrario.
È un divario che occorre sempre segnalare, ed è quello che faccio con Equaly, la prima realtà italiana a occuparsi di disparità di genere nell’industria musicale. Equaly cerca di rendere visibile l’invisibile, e lo fa attraverso la raccolta dati. È una ricerca costante, importante proprio perché, se non si ha davanti questo tipo di lettura, la visione può creare difetto. Ci sono artiste che influiscono sul PIL di un paese: pensiamo a Taylor Swift o a Beyoncé. Però, se andiamo a leggere le classifiche, se parliamo di percentuali di artiste, autrici di testi, produttrici, lì avremo altri numeri. Se analizziamo un’intera classifica e non soltanto quei due/tre nomi eclatanti (a livello internazionale ma soprattutto a livello italiano), i dati che riguardano il lavoro delle artiste sono allarmanti.
In Italia abbiamo una grandissima carenza di autrici di testi, e le produttrici non arrivano al 3%. Parlando di classifiche, posso offrire un altro dato: se nel 2012 la percentuale di artiste italiane in classifica era al 27%, dopo dodici anni questo numero si è ridotto all’11%. Questo significa che continuiamo ad avere una percezione errata: pensiamo che ci sia un miglioramento, e invece assistiamo ad un netto peggioramento. È ovvio che, per altri aspetti, il lavoro che è stato fatto in questi anni è stato importante, perché ha messo al centro del discorso questa problematica. Si discute riguardo la presenza di artiste sui palchi estivi, nelle lineup, nei festival.
Il rapporto odierno al Festival di Sanremo è di un’artista donna ogni tre uomini. Il Festival, tra l’altro, non ha mai accolto una direttrice artistica, e nemmeno il prossimo anno la accoglierà. In questo caso parliamo anche di posizioni apicali: è un dato di fatto che se quelle posizioni sono occupate da uomini, si tenderà sempre a selezionare più uomini. Quando alle donne vengono offerte le stesse possibilità che hanno gli uomini, ecco che riescono tranquillamente a farcela. È quello che è accaduto nell’ultima edizione del Festival di Sanremo, nella quale ha vinto un’artista, seguita da una manager, con un brano scritto da un’altra artista. Parliamo di un team di sole donne che non ha assolutamente nulla di meno rispetto ad altri team formati da soli uomini. Sembra superfluo ribadirlo, ma non lo è.
Per concludere, consigliaci un album e un singolo di questo 2024 che ti hanno particolarmente colpito.
Si è conclusa da poco l’ultima edizione del Mercury Prize, un premio della critica della musica inglese e irlandese. Quest’anno il premio è andato all’album d’esordio della band English Teacher. Il disco di debutto si chiama This Could Be Texas. Mi piace questa nuova realtà che sto ascoltando da un po’ di tempo su BBC 6, la radio del cuore che mi fa scoprire nuova musica quotidianamente. C’è un brano invece dal quale sono ossessionata in questi giorni: si intitola Sick of the Blues ed è della band Porridge Radio. Può essere un invito ad ascoltare musica nuova, perché parliamo di artisti ed artiste molto giovani.
Foto di copertina Pietro Baroni
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