Milija Čpajak, nato a Pietrasanta e cresciuto a Belgrado, torna in Toscana con una mostra a Firenze dove il paradosso degli elementi viventi e non viventi si intreccia. Tramite le sue opere, presentando un metodo per congelare e prolungare le esperienze, l’artista serbo incoraggia la contemplazione e la riscoperta.
Milija Čpajak, classe 1994, è un giovane e versatile artista che si muove attraverso diverse forme espressive. Nato in Versilia, a Pietrasanta, dove ha passato l’infanzia, è cresciuto in Serbia e ha conseguito una laurea magistrale in Scultura presso la Facoltà di Belle Arti di Belgrado. Nel 2017 ha vinto una borsa di studio del governo francese per trascorrere un semestre di studi di laurea magistrale presso l’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi. Nello stesso anno ha vinto il secondo premio del concorso della Fondazione d’Arte di Niš e in Corea del Sud ha ricevuto un riconoscimento per una scultura che ha realizzato partecipando a una mostra collettiva.
Nel 2020, come artista ospite dell’evento Marble and Sounds ad Aranđelovac, ha creato una scultura per uno spazio pubblico della città. Ha avuto numerose mostre collettive e cinque mostre personali in Serbia: ULUS (2019), Novembar Gallery (2021), Rima Gallery (2023) e Salon del Museo della Città di Belgrado (2023). Nel 2024, dal 12 aprile all’8 giugno, le sue opere sono esposte a Firenze presso Aria Art Gallery.
Milija Čpajak, esponendo le sue opere e partecipando a diversi progetti artistici, è diventato presto un membro attivo della scena artistica in Serbia e le sue opere d’arte fanno parte di collezioni private nel suo Paese e all’estero. Nella sua arte, il paradosso degli elementi viventi e non viventi si intreccia in modo intricato e, presentando un metodo di congelare e prolungare esperienze, incoraggia la contemplazione e la riscoperta. Fondendo approcci poetici e analitici, le opere di Milija si distinguono per le eccezionali qualità formali e la precisione nella forma finale.
La sua narrazione artistica approfondisce un dialogo profondo tra l’immaginazione visionaria e le forme apparentemente naturali. Simile a uno scienziato, grazie alla convergenza di elementi organici e artificiali, costruisce un paesaggio visivo in cui la natura serve sia come genesi che come culmine. Attraverso il meticoloso processo artistico, si sforza di catturare l’essenza effimera di elementi naturali come foglie, insetti o pelle di serpente, collegando i regni della vita e della morte. Estrarreo elementi dalla natura per trasmettere l’essenza del tutto e mostrare regolarità e specificità contemporaneamente, enfatizza il ruolo dell’artista nel discernere tra forme naturali e artificiali.
Ogni opera rappresenta una “istantanea” senza tempo, immortala momenti fugaci e sospende efficacemente precisi segmenti per perpetuare la loro esistenza. E nella sua capacità di suscitare una reazione viscerale e profonda risiede il fascino del pericolo. È una ribellione estetica contro il banale, che agita i nostri sensi con il fascino avvincente dell’ignoto.
Il pericolo porta con sé un’intensità innata che svela contrasti sorprendenti e armonie impreviste. Ci invita all’avventura al di là dei nostri confini di comfort, dove vulnerabilità ed eccitazione si fondono. In questo enigmatico gioco, la bellezza del pericolo non solo sfida le nostre percezioni, ma incide anche un’impressione duratura che trascende l’ordinario, spingendoci ad abbracciare appieno lo straordinario. Questa critica platonica svela una sfida epistemologica sottostante alla psicologia etica della bellezza.
Il motivo ricorrente di spine e prolungamenti appuntiti nel lavoro su larga scala Nido di Vespe – ammirabile alla mostra – porta un significato duplice, simboleggiando sia la protezione della bellezza che il potenziale pericolo. Attraverso questo approccio artistico meticoloso, l’osservatore si confronta con diverse domande su come dovrebbe rispondere alle attrazioni che sono al tempo stesso affascinanti e pericolose, mettendo in evidenza la sfida nel distinguerle dalle mere apparenze di bellezza.
La sintesi dei materiali, che favorisce un dialogo dinamico tra passato e futuro, è evidente nel lavoro scultoreo Maenad, materializzato incorporando elementi organici e inorganici: resina, fiori secchi e spine di rosa. L’artista non solo immortalizza, ma trasforma anche il modello classico, con le spine di rosa che simboleggiano sia la protezione che la fragilità della bellezza. Ecdysis è il processo di cambiamento della pelle esterna morta nei rettili, necessario per la crescita. Il termine ecdysis deriva dal greco antico ἐκδύω (ekduo) che significa “togliere, spogliare”. Le opere d’arte Ecdysis e Shed sono realizzate con esuvia di serpente.
L’esuvia – che riproduce fedelmente la forma esterna del serpente e viene abbandonata ogni anno dall’animale con il cambio della muta – è un residuo naturale e nessun rettile è stato danneggiato nel processo. Lo spogliarsi della pelle da parte del serpente emerge come un simbolo potente, racchiudendo un processo trasformativo al contrario. Milija Čpajak, da qualcosa di transitorio e scartato, crea un monumento al cambiamento, simboleggiando l’essenza perpetua e fondamentale della trasformazione.
L’artista “ravviva” e rende immortale l’effimera delicatezza della pelle di serpente scartata, trasformando contemporaneamente il simbolo del pericolo in un oggetto altamente estetizzato. Il dialogo senza soluzione di continuità tra materiale e immateriale, storia e fisica, diventa evidente a livello microscopico, dove la natura serve come nostra stessa fondazione. Il lavoro di Milija Čpajak racchiude questa prospettiva monistica in cui la realtà è fondamentalmente interconnessa e c’è un unico principio o sostanza sottostante che costituisce l’essenza dell’esistenza.
“The Beauty of Danger” funge da toccante promemoria sull’indispensabile coesistenza degli opposti, sottolineando la natura eterna e trasformativa della vita. Ogni legame che connette gli enti al mondo è una parte intrinseca di questa natura avvolgente. Il cambiamento è la vita stessa, un prerequisito per l’esistenza.
Testo a cura di Nataša Radojević; foto di Marijana Janković
MILIJA ČPAJAK
The Beauty of Danger
12/04/24 – 08/06/24
Aria Art Gallery, Borgo Santi Apostoli 40r, Firenze
Exhibition curator: Nataša Radojević
Partners: Drina Gallery, Logic Art Space
Articolo a cura di Pier Luca di Fazio