Dopo alcuni rinvii causa maltempo, finalmente è stato inaugurato il grande murale del giardino Samb Modou e Diop Mor nel rione di San Jacopino
Nell’ultimo periodo, e soprattutto a seguito della pandemia, si sente sempre più parlare di “rapporto uomo-ambiente”, di “modelli di città resiliente” e di “obiettivi di sviluppo sostenibile” ma in concreto come si attuano questi buoni intenti? A volte, piuttosto che mettere in atto quei grandi progetti di riqualificazione, argomento ormai all’ordine del giorno a Firenze, buoni a creare solo nuovi ecosistemi turistici o ad uso esclusivo basterebbe ascoltare le esigenze del quartiere. Aree verdi per attività ludico, sportive e culturali: forse è questo ciò che manca a quella sostenibilità ambientale e sociale di cui tanto si parla? Forse colmare i buchi urbanistici non è sempre necessario? Forse lasciare che il vuoto resti vuoto è la scelta realmente green. Per prendere in prestito le parole della professoressa Adriana Dadà della Rete Antifascista di San Jacopino-Puccini-Porta a Prato “ci serve mantenere e incrementare gli spazi verdi e vuoti dove far ricrescere gli elementi di un verde più naturale possibile che riporti un livello di inquinamento più basso, che permetta il godimento collettivo della natura e di spazi sociali non mercificati come elementi che ci accomunano e che possono creare davvero una città diversa”.
In quest’ottica il progetto del murale del giardino di San Jacopino credo possa acquistare l’importanza che merita. Per chi non la conoscesse, l’Associazione il “Giardino di San Jacopino” nasce negli anni Settanta grazie alla ferma determinazione di un gruppo volontario di genitori e cittadini che ha voluto fare di tutto per strappare questo spazio verde alla speculazione edilizia negli anni ’60-’70. Da allora l’Associazione provvede giornalmente all’apertura e alla chiusura del giardino, effettua miglioramenti e interventi di recupero della parte verde abbandonata e promuove attività ludico-culturali per bambini, adolescenti, adulti e anziani. Il progetto del dipinto murale nasce nel 2020, quando l’Associazione si era interessata ad un intervento sulla parete del giardino che lo delimita dal fabbricato retrostante e aveva aperto un bando interno per proposte di valorizzazione a cui hanno risposto gli artisti Lorenzo Tonda e Federico Niccolai. Abbiamo fatto due chiacchere con Lorenzo, pittore e ideatore del progetto che ci ha raccontato il significato e la genesi di questo lavoro.
“L’idea dell’opera ha le sue basi proprio nella storia del giardino, di cui siamo stati informati dalla professoressa Adriana Dadà, che per anni ha raccolto informazioni e documentazioni sul giardino di San Jacopino. È una storia di occupazione e democrazia dal basso che nasce negli anni ’70, quando venne delocalizzata una fabbrica e si creò un buco di abbandono e la conseguente volontà di lottizzarlo per farne appartamenti; gli abitanti del quartiere si opposero, occupando e chiedendo la costruzione di un giardino pubblico e una scuola, obiettivo raggiunto poi negli anni ’80. Scoprendo la storia del giardino e le attività dell’Associazione, l’idea per il dipinto è ricaduta subito su un’iniziativa spontanea che per molti anni si è svolta nel Giardino di San Jacopino: si chiama “Mangia come parli”, e consiste in pasti conviviali condivisi, in cui gli abitanti del quartiere, che come sappiamo è un quartiere multietnico e tra i più colorati della città, erano invitate a portare cibi tipici del loro paese di origine per condividerlo insieme agli altri. Da lì è nata automaticamente l’idea iconografica: dare vita a questa sorta di banchetto molto movimentato ricco e di eventi, inserendo anche ispirazioni a personaggi che hanno preso parte nel corso del tempo alle attività di occupazione del giardino. È una scena di festa e convivio!” – ci spiega Lorenzo.
L’opera è davvero imponente, lunga ben 25 metri, e raffigura un banchetto che si svolge in un giardino delimitato da un porticato dalle forme rinascimentali: al centro della scena una tavola imbandita popolata di numerose figure, umane e animali, mentre ai due lati altre figure sono in piedi, nell’atto di lanciare verso l’esterno, al di là dei confini degli oggetti. “Apparentemente potrebbero sembrare dei sassi, come richiamo all’esigenza di difesa di qualcosa di bello e virtuoso che c’è stata in passato e anche oggi, sebbene in maniera diversa” -spiega Lorenzo-. “In realtà sono delle statuette di argilla, uguali a quelle che hanno realizzato i bambini del quartiere coinvolti nel progetto. Il soggetto è moderno insomma, il richiamo iconografico, nello stile e nell’uso dei colori, è invece all’arte rinascimentale. Il banchetto crea un riferimento spontaneo a Veronese e altri pittori veneti e al rinascimento in genere, al recupero delle idee coloristiche e compositive come la prospettiva centrale e l’espediente del colonnato rinascimentale fiorentino; il dipinto segue infatti le necessità strutturali della superficie, un muro stretto e lungo, da cui l’idea del fregio, in cui l’elemento dell’architettura, e in particolare del colonnato sembra reggere la struttura sovrastante con cielo dipinto che fonda nel vero cielo”.
Si tratta non di un’opera di street-art dunque, ma di un vero e proprio dipinto murale tradizionale, per cui sono stati necessari quattro mesi di lavoro, a cominciare dalla rimozione dell’intonaco e della pittura al quarzo sovrastante, una successiva intonacatura, la realizzazione di un fondo e la battitura cartoni stampati a plotter dimensioni 1:1, fino allo strato pittorico. “La volontà di recuperare l’idea rinascimentale del dipinto è legata all’esigenza di recuperare e mettere in uso certe soluzioni che per secoli hanno contribuito a rendere il centro storico quello che è oggi, un patrimonio ricco e unico, ma ci serve anche a ricordare che possiamo e abbiamo diritto di godere di tutti quei luoghi che fanno parte della città. La pittura è e deve essere anche una forma d’arte che pensi agli spazi in senso di riappropriazione; Firenze è piena di luoghi in cui non possiamo andare o non ha senso andare, l’arte può dare il suo contributo affinché ciò non accada”.
Ma c’è dell’altro: in quest’opera la componente artistica “tradizionale” si integra ad un moderno apparato digitale di arte virtuale e in 3d e elementi multimediali (foto e testi) “celati” all’interno della scena – che rinviano e richiamano alla storia del Giardino, che è anche la storia del rione e della sua comunità. “Grazie all’uso di speciali visori 3d infatti, è possibile esplorare il dipinto in formato realtà virtuale, come una sorta di videogioco e grazie ad una serie di Qr code è possibile fruire una serie di contenuti fotografici e testuali sulla storia del Giardino, del quartiere e della città, dall’ appropriazione del giardino da parte della sua comunità, fino all’intitolazione alla memoria di Samb Modou e Diop Mor, le due vittime del raid xenofobo di piazza Dalmazia dell’13 dicembre 2011. Insomma un mezzo moderno per godere della storia passata ma di un’importanza più che attuale, come a dire che senza la memoria non ci sono le basi per il futuro di un luogo, di una comunità, di una società.
Assieme all’inaugurazione del dipinto, sarà possibile assistere alla presentazione del progetto digitale e fruire dell’esperienza di realtà virtuale attraverso degli appositi visori presso la Libreria Marabuk (via di Maragliano, 29e).
Gli artisti ringraziano Gold Productions, la casa di produzione cinematografica del circuito Gold con sede a Firenze, per i visori in realtà virtuale e Arti&Mestieri per la fornitura dei colori e delle vernici.
Il progetto è promosso dall’Associazione Giardino di San Jacopino e finanziato dal Comune di Firenze.