Dopo il Grand Palais di Parigi e il Tokyo Metropolitan Art Museum, è la volta di Firenze: presso il Salone di Donatello, all’interno del Complesso Mediceo Laurenziano, dal 19 aprile all’8 maggio 2018, cinquanta artisti internazionali del gruppo Open Art Code esporranno le loro opere più rappresentative. La mostra è gratuita, a ingresso libero.
Una bella scommessa quella di portare l’arte più contemporanea e attuale possibile negli stessi spazi dove hanno operato Brunelleschi, Michelangelo, Donatello, Ammannati e Vasari, come dichiarano gli stessi organizzatori: “Rivivere questi spazi oggi significa creare un dialogo tra la cultura del rinascimento e la ricerca di linguaggi e stili tipici dell’arte contemporanea. Il Complesso Mediceo Laurenziano è indubbiamente un luogo affascinante ed emozionante: costituito da diverse strutture, ognuna ricca di riferimenti storici, culturali e artistici.”
Infatti, proprio lo scorrere del tempo e i suoi effetti, sembra essere l’elemento di comunicazione tra lo spazio e le opere.
Ne è un esempio chiaro l’installazione di Sandra Muss: sette gigantesche porte lignee, corrose dal tempo, dal vento e dalla sabbia, a simboleggiare il mutamento e la successiva restituzione.
Anche il design, nelle sue espressioni più di tendenza, è protagonista nelle creazioni di Susanne Sjögren e di David Wiener, famoso designer di casa Ferrari, che dedica alla Formula 1 (non a caso tra i suoi collezionisti ci sono Michael Schumacher, Kimi Räikkönen e Jean Todt) opere su alluminio in stile Optical Art.
Anche la fotografia, di viaggio, di guerra o ritratto, abilmente destrutturata e manipolata attraverso l’uso del digitale, trova il suo spazio nei lavori più realistici e toccanti di Etienne Pierart e in quelli più fantasiosi di Jane Sager con i suoi coccodrilli che inseguono farfalle.
Arti di tutti i tipi, compresa la danza e il teatro, con le installazioni dell’artista olandese Marianne Jansen, dedicate al ballerino siriano Ahmad Joudeh (protagonista di Dance or die, documentario del giornalista Roozbeh Kaboly), che ha ballato in una Siria dilaniata dalla guerra, nell’antico anfiteatro romano a Palmira.
Naturalmente non possono mancarealla chiamata scultura e pittura.
Abbiamo avuto il piacere di rivolgere qualche domanda all’artista francese Jacques Demotier che ci ha permesso di comprendere meglio i suoi quadri:
Signor Demotier, cosa vuole rappresentare il quadro “Reflexion”?
“Si tratta di una ragazza, al centro della composizione, assorta nei suoi pensieri, con la testa appoggiata sulla mano. Intorno a lei danzano sogni e pensieri, belli e brutti, rappresentati da immagini fantasiose e metaforiche.”
Che valore hanno per lei i colori in questa tela?
“C’è una prevalenza di quelli che sono i miei colori preferiti: il turchese, l’oro, il rame, con venature di nero avorio. Il turchese rappresenta la fluidità del pensiero, sfumato da tinte preziose e macchiato da schizzi scuri. D’altronde il pensiero è così: non è mai univoco, monocromo o lineare”.
Quanto tempo le serve per creare un’opera di questo tipo?
“Almeno 7 mesi. Inizio a dipingere e davvero non so cosa verrà fuori. Passo tutto il giorno pensando e riflettendo sulla composizione e cercando ciò che potrebbe completarla. Vado a tentativi finchè poi, improvvisamente, dal nulla, trovo ciò che stavo cercando. Ma non posso mai prevedere in anticipo l’esito finale di uno dei miei quadri, lo scopro dipingendolo pezzo dopo pezzo, pennellata dopo pennellata.
Insomma un’esposizione davvero ricca, variegata, multiculturale e scenografica. Artisti diversi radunati tutti da un unico comune codice, un linguaggio franco: quello dell’Arte che si apre e dialoga con il suo pubblico, in una comunicazione aperta e limpida, all’interno di un contesto espositivo che è, a sua volta, arte pura”.
Rita Barbieri