La cucina di Edoardo Tilli è potente e spregiudicata, coerente e strabordante di identità. Il suo Podere Belvedere è poesia pura, fin dal viaggio in quella “selva oscura” attraverso cui lo chef, saggio Virgilio, ci guida alla volta di un percorso dei sensi.
Siamo a Pontassieve e quindi nel Chianti Rufina. Una “selva oscura” ci conduce a una casa torre del XVIII secolo circondata dal tipico paesaggio toscano di ulivi e vigneti. È proprio qui che si sviluppa l’isola felice del nostro Virgilio, Edoardo Tilli, e della sua amata Klodiana Karafilaj, compagni nel lavoro e ancor prima nella vita, che hanno scelto consapevolmente di rifuggire dalla grande città per cercare altrove la loro dimensione. Nel verde della campagna, tra alberi, piante e animali, per mettere sulla tavola solamente (o quasi) ciò che loro stessi piantano, allevano, creano.
Edoardo, chef, e Klodiana, sommelier e responsabile di sala, portano avanti il progetto Podere Belvedere mossi essenzialmente da tre cose: amore, passione e un pizzico di follia. In cucina prevale la ricerca sulla materia prima, sulle lavorazioni e sulle combinazioni dei sapori. La coerenza con tutto quello che un tempo fu, che oggi non c’è più e che per esistere ha bisogno di adattarsi alla contemporaneità. In sala vige invece il rigore del servizio unito all’empatia quasi materna che coccola il cliente, proponendo un’accurata selezione di etichette vinicole da tutta Italia e dal resto del mondo, con tante referenze di nicchia anche fuori dai soliti binari. Il risultato è un viaggio multisensoriale che non ha paura di andare oltre. Oltre le aspettative, oltre i trend gastronomici del momento, per certi versi oltre l’immaginabile.
óltre avv. e prep. [lat. ŭltra]. – Più là (o più qua) di un certo limite, spaziale, temporale o ideale; anche, semplicem., più avanti. Più avanti. È la stessa etimologia e definizione del termine “oltre”, citando testualmente l’Enciclopedia Treccani, a riassumere in una sola parola la filosofia di Edoardo Tilli. Edoardo è uno chef giovane e autodidatta che vuole andare oltre, ovvero portare la sua cucina più avanti rispetto a quello che è possibile trovare nella maggior parte dei ristoranti. Guardando al futuro senza dimenticarsi però del passato, di quell’eredità ancestrale e di quelle radici contadine di cui Edoardo è estremamente orgoglioso, così come di quella “cucina del ricordo” che oggi il suo Podere Belvedere è in grado di far sbocciare ancora in tutti noi.
Del resto, varcando la soglia del ristorante in via San Piero a Strada 23, sembra quasi di andare a cena da Edoardo e Klodiana. Sembra quasi di stare a casa loro, nel loro salotto, mentre ci raccontano l’uno i piatti e l’altra i vini con la genuinità e gli occhi lucidi di chi fa le cose con amore, e non come un atto dovuto o forzato. Non sorprende che gli spazi interni comprendano poco più di dieci posti a sedere, permettendo così agli ospiti di vivere un’esperienza intima, profonda e molto introspettiva.
I due menù degustazione, “Terra” da 110 euro e “Fuoco” da 150 euro, portano i commensali a riflettere a fondo su cosa viene considerato commestibile e perché, inaugurando una serie di prime volte gastronomiche che rendono questa esperienza qualcosa di indelebile per la mente e il palato. Se nel primo caso abbiamo sette portate che raccontano l’essenza più intrinseca di Podere Belvedere (Musetto, Tartare, Carota, Rognone e scampo, Tortello, Anatra e Girella), nel secondo ne abbiamo altrettante che ci consentono di sperimentare addirittura oltre (Verza, Anguilla, Ostrica e Daino, Colombaccio, Cervo, Tagliatella, Dessert).
Piatti che guardano al di là degli abbinamenti tradizionali, con un perfetto gioco di texture, sapidità, dolcezze e acidità, come nel caso della Tartare di cinghiale con lunga frollatura a media umidità, crepes di sanguinaccio, pesto al finocchietto, scaglie di mandorle tostate e koji lactofermentato, o delle Carote grigliate e lactofermentate, polvere di olive e kefir con sciroppo di sambuco e olio di foglie di carote con vellutata di carote. Lo stesso vale, citando altri esempi concreti, per la Tagliatella con ragù di cervo e garum di cervo, al pari della Bistecca Wet Age (vacca vecchia) o della ormai iconica Coscia di cervo tagliata direttamente al tavolo che lascia tutti a bocca aperta.
Ma lo shock forse più grande lo abbiamo provato degustando l’insolito pairing Ostrica e Daino, un’armoniosa unione fra ostrica, erbe selvatiche amare e daino frollato ad alta umidità. Per chi non lo sapesse, le erbe selvatiche, le interiora e le frollature hanno molto in comune con l’acredine del mare: amaricante e salso. Il connubio terra-mare qui si presenta sotto specie d’un boccone di coscio di daino frollato in alta umidità così da estrarre sentori salmastri di alga marina, plasmando un piatto simbolicamente esplicativo.
La ciliegina sulla torta? Il Lime inoculato di aspergillo, gel di lime fermentato, crumble salato e marmellata di fichi con cui si è concluso il nostro percorso. Le muffe nobili, unite alla frollatura e alla conservazione della carne, sono d’altronde proprio le più grandi passioni della casa. Senza dimenticare la poesia, come mettono subito in chiaro le splendide parole del poeta Derek Walcott con cui si apre il menù:
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,
e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
“Amore dopo Amore” di Derek Walcott, poesia scelta da Edoardo e Klodiana per aprire il loro menù.
Foto di Lido Vannucchi