Il gruppo 9999 e la ventata rivoluzionaria e psichedelica che portò alla creazione dello Space Electronic, secondo i dettami dell’architettura radicale
Sono i rivoluzionari anni Sessanta: quelli della minigonna, delle manifestazioni in piazza, delle contestazioni nelle università, gli anni del sogno italiano risvegliato dal boom economico. Firenze è ancora una volta la capitale dell’arte. Si apre al contemporaneo come mai aveva fatto prima ed è il centro di una rivoluzione artistica di forte impatto internazionale: il movimento radicale dà inizio a una straordinaria stagione creativa nel capoluogo fiorentino, che si distingue per innovazione e sperimentazione soprattutto nell’architettura e nel design.
L’architettura radicale, così è stata definita dal critico d’arte Germano Celant negli anni Settanta, è un processo di ricerca e sperimentazione, visionario e tecnologico, che indaga un nuovo rapporto tra forma architettonica e funzione, laddove le formule rigide del Razionalismo avevano congelato l’architettura e la sua evoluzione. Il manifesto radicale Metabolism esce nel 1960 per mano di un gruppo di architetti giapponesi collaboratori di Kenzo Tange – tra cui spicca il nome di Arata Isozaki, colui che progetterà la loggia di uscita per gli Uffizi – ed esprime la volontà di un cambiamento globale per un nuovo approccio nella ricerca architettonica. È proprio l’elemento innovativo a guidare i gruppi sperimentatori che da lì a poco tracceranno le diverse linee di pensiero: dal gruppo londinese Archigram fino all’idea di Hans Hollein secondo cui “tutto è architettura” che scardina completamente i canoni della materia architettonica.
In Italia i gruppi fiorentini Archizoom e Superstudio affrontano la ricerca sperimentale mettendo in discussione le regole dell’architettura e puntano al contenuto ideologico del loro dibattito con una serie di scritti che riguardano i nuovi modi di vivere la casa e la città, i nuovi usi degli spazi e degli oggetti, concentrandosi in particolare sul design del mobile. In questo clima, l’architettura radicale fiorentina è anche l’unica che si occupa di progettare le discoteche e il 27 febbraio 1969 è inaugurato lo Space Electronic, uno spazio culturale e innovativo, ideato e progettato da Fabrizio Fiumi, Paolo Caldini e Paolo Galli, tutti studenti di architettura dell’ateneo fiorentino che, insieme a Giorgio Birelli, formano il collettivo chiamato Gruppo 9999.
Qualche anno prima, dopo aver girovagato a bordo di un camper per le regioni del continente asiatico, il gruppo aveva ottenuto un finanziamento per un viaggio-studio sulle strutture architettoniche dei campus universitari negli Stati Uniti: qui si immergono nella controcultura americana di Ferlinghetti e di Allen Ginsberg, visitano gli stati dalla East Coast alla West Coast, affascinati dalle luci di Las Vegas e dall’arte multimediale dell’Eletronic Circus di New York. Proprio quest’ultimo locale aveva suggerito, al loro rientro, la creazione di uno spazio fluido e libero, aperto a tutti, un luogo di sperimentazione totale e di cultura underground, in cui l’architettura è intesa come strumento di comunicazione elettronica e gli stimoli provengono dall’allestimento di performance di tutti i generi, installazioni, concerti musicali, mostre e convegni.
Il Gruppo 9999 compie una piccola rivoluzione in città e lo Space Electronic comincia a prendere forma in un’ex-officina di motori in via Palazzuolo, un ambiente di circa 800 metri quadrati posizionato su due piani. Caldini realizza un ponte metallico che va da un lato all’altro dell’enorme sala, dove si collocano monitor, lavagne luminose, cineprese e laser utilizzati durante la performance di Ponte Vecchio nel settembre del ’68. La sala è un’enorme scatola nera con pedane a scalino pensate per i live e balconate sopraelevate ai lati, mentre luci strobo e proiezioni d’immagini avrebbero inondato la folla; l’ingresso, progettato da Fiumi, è dotato di una televisione che proietterà i filmati delle persone che ballano nelle altre sale. Tutti collaborano alla progettazione dello Space e Galli si dedica all’arredamento recuperando vecchi frigoriferi e cestelli della lavatrice, riempie di gommapiuma dei sacchi di polietilene mentre nel bar posiziona una vasca tropicale colma di piranha e dei serpentoni di plastica come divani.
Il locale è inaugurato dal concerto zero dei Dik Dik e dei New Trolls: a partire da questo momento si esibiranno artisti di fama internazionale quali The Rokes, gli Audience, i Cannet Heat e persino i Queen si sarebbero esibiti se il loro successo non fosse scoppiato a livello mondiale proprio in quel momento. Non solo musica e concerti, ma anche luogo di incontro per i giovani, di dibattito e sperimentazione di novità culturali. Lo Space cambiava funzione a seconda dell’ora della giornata e la programmazione era appesa ai muri del bar: il giorno prevedeva studio e preparazione d’esami – spesso il Gruppo 9999 si riuniva lì per discutere progetti d’architettura – mentre la sera ospitava concerti anche di artisti italiani come L’Equipe 84 e la Premiata Forneria Marconi, ma soprattutto teatro con performance di Dario Fo e del Living Theatre.
Qualche anno più tardi in collaborazione con Superstudio, un altro collettivo di architetti, fu organizzato S-Space Mondial Festival, un confronto sull’architettura radicale che prevedeva diversi interventi: per l’occasione il Gruppo 9999 allestì all’interno dello Space un orto botanico sopraelevato mentre il piano inferiore, ricoperto da 30 cm d’acqua, era dotato di un ambiente naturale con pesci, piante e fiori. L’installazione faceva parte del progetto Casa Orto – Vegetable Garden House che vinse l’anno dopo il primo premio del concorso per giovani designer promosso dal Moma di New York.
Il Gruppo 9999 si sciolse ufficialmente nel 1972 e la gestione del locale passò nelle mani di Mario Bolognesi e Caldini che da lì a poco diradarono la programmazione dei concerti a causa delle proteste di alcuni gruppi estremisti che esigevano musica gratuita per tutti. Si avvertiva l’alba di una nuova era, quella della febbre del sabato sera e lo Space si trasformò in discoteca a tutti gli effetti, chiamandosi “Space Club”; perse così la ventata rivoluzionaria e psichedelica di quel periodo per adeguarsi ai toni dark degli anni Ottanta. Oggi è una delle più grandi discoteche a pochi passi dal centro di Firenze, un pezzo di storia della città che continua a essere frequentato senza quella libertà di abbandonarsi a una realtà in continua evoluzione.