Viaggio gastronomico tra le strade e i vicoli del Bel Paese, per (ri)scoprire delizie e sapori delle pietanze preparate – e consumate – fuori dalla cucina.
Sarà per via del nome anglicizzato – street food – o per qualche strano immaginario collettivo: il cibo da strada è spesso associato alle grandi avenue americane, alla labirintica medina delle città magrebine, o al caos delle metropoli dell’Estremo Oriente. Eppure, in Italia, lo street food ha origini antichissime ed è così radicato nella tradizione gastronomica da non essere quasi più percepito come tale. Mangiare mentre si è “di passaggio” è qualcosa che abbiamo forse messo da parte negli ultimi mesi (poco pratico mangiare con la mascherina in faccia e il disinfettante a portata di mano…) ma che in Italia è sempre stato naturalissimo, per motivi pratici ma anche sociali e storici. Per ricordare il piacere di addentare una gustosa pizza fritta mentre si passeggia per le strade di Napoli o un succulento panino al lampredotto prima di visitare un museo fiorentino, ecco una piccola guida ai cibi di strada più diffusi in Italia. Con l’augurio di tornare presto a fare scorpacciate all’aria aperta, fosse anche un semplice cono gelato.
- Cartocci e fritti
Se si parla di street food, come non partire dalla categoria più ampia, più diffusa e più golosa della tradizione gastronomica “di strada” italiana? Parliamo del fritto, ovviamente: in cartoccio o nel cono, dolce o salato, misto o in un unico, ancora caldo, pezzo, il fritto avvolge un’infinità di ingredienti diversi in una croccante panatura o in una soffice pastella, per soddisfare ogni languorino. I golosi bocconcini di formaggio fritto in pastella di grano saraceno, conosciuti come sciatt in Valtellina, ad esempio, si servono in cono di carta assorbente proprio come, di solito, lo scartosso de pesse veneto, ovvero il cartoccio di pesce fritto: quest’ultimo, in realtà, è conosciuto in tutta la penisola con nomi diversi: in Campania, per esempio, c’è il cuoppo, a Venezia si fa con i pesci di laguna, a Genova si propone il baccalà, magari accompagnato da croccanti panisse e frisceu (frittelline in pastella con erbette tagliate sottili).
Tappe obbligate dello street food passato in olio caldo, sono anche le città di Ascoli Piceno – dove hanno origine le celebri olive ascolane – e Palermo e Catania, patria rispettivamente di arancine e arancini, ormai divenuti un must della cucina siciliana. E già che siamo in tema di cibo di strada a base di riso,non si può fare a meno di citare i cugini romani, i celebri supplì (detti “al telefono” per via della golosa mozzarella filante). Risaliamo infine lo Stivale per una tappa anche a Parma, per un assaggio al volo di torta fritta; o, se preferite, potete gustare un esemplare molto simile a Reggio Emilia e Modena, ma in questo caso fareste meglio a chiamarlo gnocco fritto
2. Pizze e focacce
Sulle varietà di pizze e focacce italiane, si potrebbe scrivere un libro intero (e molti l’hanno fatto): noi ci limiteremo a ricordare solo le varianti intramontabili, come la pizza al taglio del Lazio, la pizza a portafoglio campana, panzerotti e focaccia barese – alta e morbida – e la focaccia genovese – sottile e con i “buchi” –, per finire in bellezza con lo sfincione siciliano, spugnoso e abbondantemente condito.
3. Piade, piadine
Anche quello delle piade e delle piadine è un terreno insidioso: generazioni e generazioni di fornai e secoli di tradizioni hanno stabilito “regole” ben precise per la realizzazione di questo particolare street food, che variano non solo di regione in regione, ma anche di paese in paese. Tra tigelle e crescentine modenesi, la classica piadina romagnola (sottile nel riminese, ben più spessa nell’entroterra), le varianti del crescione, si rischia di far confusione, con sommo disappunto di romagnoli ed emiliani. Per complicare il tutto, inoltre, non crediate che simili cibi d’asporto esistano in una sola regione di Italia! Che dire, ad esempio, della golosa crescia di Gubbio, farcita con gli ottimi salumi locali, e – ovviamente – da non confondere con la torta al testo di Perugia, che può sembrare simile solo ai palati non umbri.
4. Polente e farinate
Già che ci siamo, meritano un rapido accenno anche le varie preparazioni a base di farina, che si collocano a metà tra le focacce e fritti, spesso a base di farine di mais o di ceci. È il caso, ad esempio, delle sgagliozze pugliesi, una polenta tipica di Bari Vecchia, servita per strada in sottili striscioline fritte; il che ci porta inevitabilmente in Sicilia, a gustare pane e panelle, ormai tanto celebri da non aver bisogno di presentazioni, oppure in Liguria, per un’abbondante porzione di farinata, altro caposaldo della cucina regionale prêt-à-porter.
5. Frutta e semi
Se il tour gastronomico si sta facendo troppo pesante, per i vostri gusti, sappiate che nel tempio italiano dello street food non si scappa alle calorie nemmeno mangiando frutta e semi. Qualche esempio? Che dire delle favolose caldarroste, che scaldano le mani (e lo stomaco) nelle gelide strade invernali? O, se gradite qualcosa di più regionale, perché non un cartoccio di fave del Sinis, una penisola sarda in cui le fave si preparano ancora come una volta (lessate e ben condite) e sgranocchiate come noccioline.
6. Spiedini e dintorni
Un altro tipico cibo da strada (e, si direbbe, da strada di montagna) sono gli arrosticini, i tipici spiedini abruzzesi di carne di pecora, che si cuociono su bracieri di montagna ma che, nel corso del tempo, sono scesi volentieri fino alle coste dell’Adriatico. Nei mercati di Palermo, invece, ci si imbatte spesso nei venditori di stigghiole, spiedini arrostiti a base di interiora di ovino, accuratamente arrotolate. Le interiora di agnello sono invece alla base dei gnumaridd’, involtini preparati nelle zone dell’entroterra lucano o pugliese.
7. Panini
Impossibile non terminare questa breve rassegna con il re dello street food: il panino. E tra le mille varianti con cui accontentare il palato, particolarmente care alla tradizione italiana sono quelle che contengono la succulenta porchetta (quella laziale di Ariccia, che si fregia del marchio IGP, o quella di Campli, in Abruzzo, che non è da meno), il lampredotto – che a Firenze è una vera e propria istituzione – oppure la milza, che nella forma del pani ca’ meusa inSicilia è diventata proverbiale.