Musica dal sud del mondo: Surealistas!

surealistas band italo argentina

Abbiamo conosciuto l’ensamble italo-argentino durante l’ultima edizione del Copula Mundi, ci siamo innamorati della loro musica e li abbiamo intervistati.

A far tornare il sole ci pensano le calde voci latine e le vibrazioni tropicali dei SuRealistas: alchimisti di un progetto musicale in cui Argentina e Italia non sono mai state così vicine.
La grande famiglia musicale e multietnica dei SuRealistas nasce intorno ai tre fratelli argentini Jeremìas, Joaquin e Agustìn Cornejo che, in Italia dal 2005, hanno riscoperto un profondo legame di appartenenza e condiviso questo progetto con cinque talenti strumentisti provenienti dalla Toscana e dal nostro Sud, ampliando l’attuale organico a otto eclettici elementi

Otto elementi che formano una grande famiglia

Jeremías Cornejo voce, chitarra, ukulele, Agustín Cornejo voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, Joaquín Cornejo al sax alto, pianoforte, diamonica, Mauro La Mancusa alla tromba, Gianni Valenti al sax tenore, Matteo Bonti al basso elettrico e contrabbasso e Pietro Borsò alle percussioni.K.C.

Tra ritmi afro-cubani e cadenze andine, tra nostalgici tanghi e frenetici flamenchi, tra passione di vita e un’intima saudade, si colloca la loro cosmovisione musicale fatta di una prorompente esuberanza e improvvisazione, in grado di coinvolgere fino all’ultima nota. Un’armoniosa commistione tra i suoni del Sur del mondo e la tradizione ispanica e ispanoamericana, nella quale affondano le loro radici, crea l’inconfondibile identità musicale dei SuRealistas.

Tutto questo era già chiaro nel loro esordio del 2016 ma trova completa realizzazione in Canta, secondo album concepito durante l’ultimo tour europeo tra Francia, Svizzera, Belgio, Olanda e Germania. Il risultato sono undici brani ricchi di riferimenti alla musica latino-americana e alle sue declinazioni nella musica popolare che vogliono restituire l’energia e l’esperienza dei loro live act. Il tutto eseguito con una delicatezza, leggerezza e spontaneità d’esecuzione tale che è impossibile restare fermi sin dal primo brano.

Incuriosisce molto la scelta del nome SuRealistas, raccontateci come nasce l’idea.

SuRealistas é un gioco di parole che declina il nostro atteggiamento artistico e politico. Vuol dire Realismo del Sud ma in chiave Surreale. La necessità di camminare a fianco delle persone che vivono nei diversi “sud” del mondo, che non sono una categoria geografia ma geopolitica, ovvero quei luoghi periferici che si trovano ai margini dei centri cosiddetti “sviluppati”, come il Sud d’Italia o l’Est di Europa e non per forza in America Latina o Africa. Ci sono centri ricchi e periferie abbandonate, ovunque, dove nasce la resistenza e dove si coltiva l’arte popolare, quella lontana dai circuiti globalizzati, cultura ancora genuina e autentica. Per noi il Sud, appunto, é quello lì e c’è ovunque. Inoltre quello dei SuRealistas é un atteggiamento che cerca d’incorporare la vita onirica e irrazionale nella vita calcolata di tutti i giorni. Vuol dire accettare il Materialismo Storico senza che diventi Materialismo Isterico, accettando che l’uomo é primo chakra, materialità, soddisfazione dei bisogni primordiali, ma é anche spiritualità, gioia, leggerezza, connessione con il cosmo, con l’inconscio e le sue manifestazioni archetipiche, con il mistero della vita che é appunto, surreale.

Com’è avvenuto il vostro primissimo approccio alla musica? E quali sono stati i vostri punti di riferimento?

Difficile dirlo. Siamo otto elementi, ognuno con una storia musicale diversa. Abbiamo avuto influenze, background e adolescenze diverse però da “grandi” sicuramente i Buena Vista Social Club e il cantautore Kevin Johansen ci hanno influenzato tantissimo. Dai Buena Vista abbiamo preso la semplicità, l’amore per la festa e per il rito popolare, mentre da Kevin la capacità di mescolare, di creare incontri fra generi e linguaggi diversi all’interno di una stessa proposta musicale.

Quando e come ha preso forma il vostro progetto musicale?

Ufficialmente nasce in occasione del Senza Filo Music Contest 2014 che continua ad organizzare il cantiere San Bernardo di Pisa. Quell’evento ci ha dato l’opportunità di creare un repertorio di soli brani nostri tutti scritti in spagnolo. Quel concerto è stato una sorta d’iniziazione che ci ha dato la possibilità di guadagnare fiducia nel nostro modo di fare musica. Saremo sempre infinitamente grati a quel pubblico che ci trasmise il calore necessario per credere in noi e oggi vivere il presente che stiamo vivendo.

Fare musica in famiglia. Punto di forza o divergenze in vista?

All’interno del gruppo ci sono tre fratelli argentini: Joaquin, Agustin e Jeremias. Ognuno di loro ha una propria cosmovisione nel vivere la musica, hanno progetti individuali che coltivano parallelamente. Il gruppo SuRealistas unisce non solo i fratelli ma anche tutto il resto della band in un modo di stare insieme che precede e trascende il concerto stesso. Le divergenze sono esattamente quelle che arricchiscono lo spettacolo stesso. Non avendo un genere pre-definito né dominante, ogni mood, ogni stato d’animo é accolto nella scaletta, chi vuole esprimersi può sempre farlo, per questo le divergenze non sono state mai un grande problema.

Il vostro stile, fortemente caratterizzato dalla tradizione latino-americana, abbraccia diverse influenze musicali provenienti dal sud del mondo. Qual è la filosofia che muove la vostra musica?

La filosofia che muove la nostra musica nasce dalla pancia, dal nostro vissuto personale. Cerchiamo di allontanarci da quella corrente di “World music” che ha come obbiettivo quello di simulare tradizioni di altri popoli per essere esotici e interessanti. Essere originali non vuol dire essere “aboriginali”. Puntiamo al coraggio di raccontare quello che siamo, imperfetti e vulnerabili. Solo così il pubblico può identificarsi, solo così possiamo toccare il cuore e la pancia del pubblico, solo se il racconto musicale nasce dal nostro corpo, altrimenti é debole, cervellotico e non funziona. Per fare questo chiaramente ci serviamo di generi musicali che ci sono vicini come la Cumbia, il Son Cubano, il Jazz o anche il Rock psichedelico. Ma non cerchiamo di essere puristi, non potremmo mai esserlo. Possono essere strumenti della nostra soggettività e non il contrario.

Come avete vissuto l’esperienza del vostro ultimo tour europeo?

Con immensa gioia. E’ stato un Tour indimenticabile. Abbiamo provato immenso appagamento nel sentire che la nostra musica e il nostro spettacolo funziona in nazioni con culture e tradizioni così diverse. E’ stato un onore suonare in tempi dell’Arte come il Hagyományok Háza di Budapest o in Festival all’avanguardia mondiale come il Trefpunt Festival della fantastica città di Ghent. Non finiremo mai di ringraziare ogni festival, ogni persona che ha partecipato a un nostro concerto e sopratutto a Musicastrada, agenzia di booking management che ci ha dato l’opportunità di crescere a livello nazionale ed europeo. Siamo felici di poter lavorare con loro, é un team di grande umanità, siamo veramente grati.

La tappa che ricordate con più nostalgia, quella che vi ha emozionato e divertito di più?

Ogni tappa del Tour ci ha dato qualcosa però alcune ci hanno fatto vivere esperienze straordinarie. Abbiamo conosciuto popoli e tradizioni incredibili come quella del folk ungherese, genere fuori dal tempo, capace di farti sospendere in una realtà parallela, brani che durano 50 minuti con inquinamenti arabi, ebrei, gitani… Budapest rimarrà nei nostri cuori. Lo stesso l’ultimo concerto in Slovenia dove abbiamo scoperto il potere del circolo, del rito-concerto con il pubblico intorno a noi. E’ stata un’esperienza energetica fortissima e indimenticabile, a prova che le strutture circolari (come i Mapuche) hanno una carica e un impatto collettivo molto più potente di quelle esperienze a stampo patriarcale e piramidale come la nostra occidentale, che fanno scorrere l’energia solo dall’alto verso il basso (come il classico concerto) diminuendo di conseguenza l’impatto e la forza dell’esperienza collettiva. Impossibile non nominare l’apertura al mitico gruppo Compay Segundo di Buena Vista Social Club in occasione del festival di Chianciano Terme; leggende della musica afro-indo-latino americana ed ispiratori dello spirito musicale che ci rappresenta.

Prossimi progetti in cantiere?

Trasformare, travolgere completamente il repertorio, incorporare anche elementi elettronici e teatrali, nonché scenografici per aumentare l’impatto dei nostri concerti che per ora sono stati privi di sostegni extra musicali. Sarà una bellissima esperienza di rinascita, quindi seguiteci qui

Articolo a cura di Sara Coseglia