L’occupazione della Palazzina del ponte all’Indiano, delizia architettonica in stile liberty sul finire del parco delle Cascine.
Sono i ragazzi del cavalcavia, occupanti della Palazzina dell’Indiano. Vivono la loro vita in un esperimento sociale dall’esito incerto ma, senza paura, ancora lottano.
«Chi non okkupa preoccupa» – scritta in oro su palazzina, Firenze, 2014.
Il 2016, anno di questo articolo, appartiene al periodo che, come ormai in città quasi tutti sanno, determina nella dimensione della libera espressione una crisi mai superata, nella sua importanza senza limiti.
Ho conosciuto una sera alcuni degli occupanti di Via Toselli. Li ho conosciuti all’occupazione di Viale Corsica, dove si erano trasferiti dopo un violento sgombero. Cucinavano, mi hanno offerto una cena vegana e in una dimensione irreale, uno leggeva Sun Tzu, l’idea di lotta gli regalava un sogno, e tutti hanno bisogno di un sogno. Il loro, passa dal singolare al plurale. E come il capitano non abbandona la nave, una ragazza il suo sogno l’aveva seguito fin sul tetto del palazzo, resistendo allo sgombero da lassù, inerme sotto il sole e le notti di agosto, 30 ore filate. Ho parlato con un altro, conosce così bene le dinamiche politiche attuali che ha la capacità di farmi credere più stupida di quello che già credo di essere: del tutto aderente agli scenari della vita politica, padroneggia i princìpi in base ai quali è spinto ad agire, e ora vuole finalmente libera espressione in liberi spazi.
Appartenenti all’area antagonista anarchica, giovanissimi (voci di bambini e toni appassionati da adulti) e meno giovani, anche fuori delle etichette politiche… proseguono oggi con determinazione la lotta di protesta contro il sistema del «Paese “civile” dove ormai è prassi vendere la salute dei cittadini, il diritto di esistere di migranti e profughi di guerra, la dignità di chi non ha una casa, il diritto allo studio, la vita di tanti, lavoratori e lavoratrici», come scrivono nei volantini.
I compagni hanno occupato da poco più di un mese la Palazzina del Ponte all’Indiano. E non si tratta della prima occupazione nella storia di questo stabile.
Delizia architettonica in stile liberty, l’edificio si affaccia sul fiume Arno, sul finire del Parco delle Cascine. Una palazzina le cui vicende in termini di concessioni, affitti, passaggi, gestioni e inadempienze sono poco chiare. Una palazzina per cui erano stati pubblicati bandi, l’ultimo recente: il bene, assegnato mediante atto di concessione, «dovrà essere adibito ad attività di somministrazione di alimenti e bevande, oltre che allo svolgimento di attività e servizi funzionali alla fruizione del Parco delle Cascine, al fine della valorizzazione e qualificazione del medesimo nel suo complesso».
«Una delle tante storie metropolitane a cui il potere politico ci ha da sempre abituato», scrivono gli occupanti: «…una storia di abbandono, di gravi speculazioni economiche, di progetti commerciali, di promozioni propagandistico-elettorali e contemporaneamente di repressione verso coloro che nel corso degli anni hanno tentato di dare un verso senso sociale all’Indiano».
Gli occupanti si sono presentati: «Abbiamo deciso di occupare…», spiegano le loro ragioni, che affondano nei nomi della socialità e della condivisione, le parole sul volantino suonano consuete. Ma sempre più urgenti.
Mensa sociale, laboratori, corsi di italiano per stranieri, cinematografo, benefit, giochi per bambini, workshop, tanta buona musica (tra tutti, il collettivo Machine Funk). Ancora, vengono trattati temi quali la questione dei migranti, la politica del medioriente con particolare attenzione alle vicende del Kurdistan, la trasformazione del sistema sanitario e di quello scolastico. E poi, l’arte sui muri: Mario Itler, James Boy, Holly Heuser, HOPNN ed altri.
Contro la noia, la banalità, i confini, i padroni e le religioni. Verso la fantasia.
E tutti chiedono adesione, sostegno, partecipazione.
Come disse Donna Ermina Mattarelli: «Chi fa, sbaglia sempre. Ma sbaglia sempre di più quello che non fa niente, perché non ha neanche il diritto di reclamare».
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