Grandi installazioni, sculture, video, fotografie: inaugurazione con blitz vandalico e distruzione di un’opera.
Per la prima volta a Bologna: il 20 settembre a Palazzo Fava è stata inaugurata la mostra del dissidente Ai Wei Wei, artista e attivista cinese di fama mondiale, celebre per i suoi lavori provocatori che combinano arte contemporanea e critica sociale. La curatela è di Arturo Galansino, già curatore nell’anno 2016 della mostra di Wei Wei “Libero”, tenutasi nel fiorentino Palazzo Strozzi che Galansino dirige verso il contemporaneo.
L’artista Wei Wei si misura con temi capitali legati alla condizione umana contemporanea, così intende indagarla e fare da microfono ad istanze urgenti: rapporto tra passato e presente, valore della memoria, progresso, produzione di massa, condizione di oppressione, dimensione di migrante. Il titolo della mostra riprende una domanda, “Who Am I?”, che Ai ha rivolto ad AI, l’intelligenza artificiale, in un’opera che sviluppa una conversazione fatta di domande e risposte circoscritte.
In mostra opere iconiche come “Dropping a Han Dynasty Urn”: immortalato in tre scatti il gesto di distruggere un vaso risalente a circa duemila anni fa, su cui l’artista ha impresso il logo Coca-Cola. In esposizione anche la vetrina contenente i pezzi del vaso distrutto. Dichiarate le citazioni al pop di Andy Warhol e il ready made di Duchamp (in questo senso, anche la riflessione sul cambiamento sociale e urbano cinese espresso con “Forever Bicycle”, l’installazione di biciclette immobili assemblate in strutture dorate). In esposizione anche reperti del passato collezionati come gesto politico: centinaia di asce neolitiche, oggetti antiquari, porcellane pregiate o mobilio tradizionale, evocano il legame tra cultura e tradizione.
Di contro, la condizione presente: grandi protagoniste le opere formate da mattoncini LEGO® che riprendono, mutandole, alcune importanti opere della tradizione pittorica occidentale. Così la “Venere Dormiente” di Giorgione viene riprodotta in pixel fatti di mattoncini e nell’immagine viene aggiunta una gruccia, alludendo agli aborti clandestini, tema su cui la politica è tornata a scontrarsi. E ancora in LEGO è riprodotta, tra le altre opere (un Raffaello, un Morandi…) un’Ultima cena di Leonardo, dove l’artista sostituisce in modo provocatorio il proprio volto a quello di Giuda.
L’artista dichiara: “Uso il LEGO come materiale di creazione in gran quantità dal 2014. Utilizzare il LEGO è sia naturale che accidentale, perché è il giocattolo con cui mio figlio giocava da piccolo. Una vita individuale può essere rappresentata da un mattoncino colorato. Il LEGO viene usato per trasmettere messaggi personali; le storie legate a me, alla mia infanzia e alla mia educazione sono racchiusi in essi”. Mi chiedo: l’utilizzo del LEGO è davvero un atto di rottura con la cultura ufficiale, o piuttosto una perfetta sintonia con i simboli del consumismo contemporaneo…?
L’artista affronta anche il tema ambientale, lo fa riproducendo la Gioconda in mattoncini “macchiata” dal lancio di zuppa dei manifestanti sull’opera, attivismo che caratterizza la protesta generazionale contemporanea. Ancora, negli “Study of Perspective”, il soggetto “uomo” è collocato al centro dell’immagine, ridotto a un dito medio alzato di fronte a vari scenari: l’artista dichiara di voler porre delle domande piuttosto che fornire risposte univoche, invitando alla discussione e al dibattito.
In mostra anche i cocci della demolizione dello studio Left Right di Ai Wei Wei avvenuta a Pechino nel 2018, testimonianza degli abusi e le ritorsioni da parte del regime nei confronti dell’artista cinese, colpevole di aver denunciato sui suoi canali digitali i casi di corruzione e inefficienza governative che avevano favorito l’immane catastrofe del terremoto dello Sichuan del 2008, nel quale persero la vita migliaia di ragazzi, uccisi dal crollo di edifici costruiti al risparmio e nell’inosservanza delle norme antisismiche.
La riflessione sulla dimensione dei migranti è resa invece su carta da parati e piatti di porcellana: scene di migrazione disposti in fregi, citazione di vasi attici o bassorilievi babilonesi, a contatto con gli affreschi tardo Cinquecenteschi raffiguranti storie di migrazioni e viaggi per mare come le storie di Enea dei Carracci, di Bartolomeo Cesi e Francesco Albani.
L’artista dichiara: “Ho la fortuna di esprimermi con un linguaggio ancora in grado di entrare in sintonia con le contraddizioni del mondo odierno e con il dolore dell’umanità. Questo legame rafforza le ragioni del modo in cui mi esprimo e ne giustifica l’esistenza”.
Ma c’è chi non ci sta: si tratta di Vaclav Pisvejc, pittore, agitatore, lo stesso che ha già spaccato un quadro in testa a Marina Abramovic, è salito nudo sulla statua di Ercole e Caco in piazza della Signoria a Firenze e che lì ha imbrattato la statua del ‘Leone rampante’ con vernice gialla e blu in sostegno all’Ucraina. Václav Pisvejc è un artista e attivista di origine ceca, noto per le sue azioni provocatorie spesso contrarie alla legalità: a Bologna ha distrutto, in occasione dell’inaugurazione della mostra, l’opera “Porcelaine Cube”, con cui l’artista cinese dichiara di indagare l’identità culturale e la tradizione.
Pisvejc ha protestato contro la corruzione, l’autoritarismo e l’abuso di potere, e le sue azioni sono spesso volte a sfidare il conformismo e a mettere in discussione l’atteggiamento della società verso la libertà di espressione. Anche la sua arte e il suo attivismo, come quella del più noto maestro cinese, si collocano in un territorio ambiguo tra provocazione e protesta, cercando di sollecitare una riflessione critica su temi sociali e politici.
Penso quindi alle parole di Maurizio Pallante – fondatore e presidente del Movimento per la decrescita felice – scritte in un volume certamente poco virale, ma interessante: “Sono io che non capisco. Riflessioni sull’arte contemporanea di un obiettore alla crescita” (Edizioni per la decrescita felice, 2013): “La vittoria culturale della lobby dell’arte contemporanea – scrive Pallante – non si misura col consenso di coloro che danno a vedere di apprezzare le opere esposte nei suoi musei, bensì con l’umile rassegnazione di coloro che li frequentano per non apparire retrogradi e parrucconi, anche se non riescono a vedere nulla di ciò che vedono, nonostante l’impegno che ci mettono, e tra sé e sé, senza esternarlo per non fare la figura degli idioti, si dicono ‘sono io che non capisco’. Non sono nemmeno sfiorati dal dubbio che non ci sia niente da capire oltre la speculazione finanziaria in corso”.
“Ai Weiwei. Who am I?” – Bologna, Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni, 21 settembre – 4 maggio 2024
Prodotta da Fondazione Carisbo nell’ambito del progetto culturale Genus Bononiae e realizzata da Opera Laboratori con il supporto di Galleria Continua, l’esposizione è curata da Arturo Galansino.
Orari: Martedì – domenica ore 10:00-19:00 (ultimo ingresso ore 18:00)
maggiori informazioni al sito: www.genusbononiae.it