Nascere donna nei Balcani è una sfida, ma l’attualità ci ricorda che l’emancipazione femminile è battaglia globale.
Dieci anni fa, nella performance Principe di Montenevoso, ho attraversato con un cavallo nero la città di Fiume, oggi Rijeka, in Croazia. Impersonavo un Gabriele D’Annunzio – che qui nel 1919 compì una spregiudicata impresa di difesa dei territori italiani – trasformato in donna perché era il mio corpo femminile a incarnarlo. Anche nel mio cortometraggio Sèlysette, proiettato al Museo di Arte Contemporanea di Rijeka in contemporanea alla performance, il poeta era proiettato nel corpo di donna.
Mi sentivo come se tutti gli opposti politici fossero in armonia attraverso le mie due opere e la battaglia per la parità di genere vinta dalla libera scelta. Avevo liberato anche il D’Annunzio dalla sua immagine di superuomo e finalmente poteva scegliere la propria identità! Queste idee non erano nate in me, alcune le avevo ereditate ed altre imparate crescendo.
Sapete, le donne nel mio Paese, l’ex-Jugoslavia, sono state coraggiose. Durante la Seconda Guerra Mondiale combatterono a fianco degli uomini la lotta partigiana di liberazione. A casa, nonna Divna mi ha influenzato profondamente. È sopravvissuta alla guerra da ragazza ebrea che aveva perso la maggior parte dei suoi parenti nei campi di concentramento nazisti e il padre ucciso per tradimento dai comunisti senza processo. Molto giovane sposò mio nonno, un musulmano divenuto partigiano e ateo comunista. Vivevano in difficoltà economiche ma si amavano profondamente. Lavorò come contabile a tempo pieno, libera e insofferente al regime jugoslavo. Non a caso il Partito Comunista teneva regolarmente mio nonno in libertà vigilata perché non sapeva domare la sua splendida e ribelle moglie dalle idee “inopportune”!
Divna non ebbe un’infanzia a causa della guerra ma, tre figli e una carriera dopo, era diventata una vera signora. Credo non fosse consapevole che attraverso i suoi quotidiani atti ribelli, lottava anche per quella che un giorno sarebbe stata la mia indipendenza e libertà. Il suo spirito mi ha plasmato come persona e artista. Mi ha insegnato che potevo scegliere, il mio corpo è scelta, non dovevo avere figli per essere una donna compiuta e che l’unica via per la libertà personale è l’indipendenza emotiva e finanziaria.
Oltre alla nonna, nella mia eredità ci sono le artiste Marina Abramović, Katalin Ladik o Sanja Iveković, che rappresentarono gli ideali delle ragazze a Belgrado, Novi Sad o Zagabria negli anni ’70. La loro arte continua a influenzare la vita delle donne nei Balcani, e non solo, per generazioni a venire.
I Balcani sono una terra di dominio maschile da secoli, tra guerre, disordine politico e difficoltà economiche. Tuttavia, la creazione della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia portò cambiamenti significativi al patriarcato. I diritti delle donne, comunque, non furono attuati intenzionalmente, ma piuttosto accidentalmente cancellando le classi sociali, conseguenza della natura ambigua del regime comunista nel periodo dal 1945 al 1990. Un’emancipazione ideologica, con le donne relativamente uguali agli uomini in termini di retribuzione e, talvolta, in mansioni di lavoro.
Quando nel 1978 si tenne ufficialmente la prima Conferenza Femminista in Jugoslavia, le sopracitate Abramović, Ladik e Iveković avevano già raggiunto un livello artistico al pari dei loro colleghi maschi, codificando lo standard dell’artista femminista: fare arte e vivere la vita alle proprie condizioni. Dare l’esempio è estremamente raro e quindi oltremodo prezioso!
Ora però non posso esimermi da chiedervi – come ha scritto il sociologo Taylor Whitten Brown – perché il lavoro delle artiste è valutato meno di quello degli artisti maschi? Il mondo dell’arte non è quello della parità di genere, a giudicare dalla quota di opere di artiste nelle principali collezioni permanenti in Stati Uniti e Europa. Inoltre, statisticamente, all’asta le opere d’arte delle donne vengono battute a prezzi più bassi rispetto a quelle degli uomini.
Un ambito artistico dove le donne sembrava fossero affermate è il cinema, ma poi nel 2017 tutti abbiamo visto come Harvey Weinstein è stato inchiodato dal movimento #MeToo… Trent’anni di regno assoluto sul corpo e la carriera delle donne a Hollywood! Questo mostra il livello di dominazione maschile nel mondo contemporaneo, è evidente come nessun ambito sia immune da comportamenti che io definisco “ordine sociale paleolitico”!
Oggi, non dimentichiamo che la nostra nuova generazione di artisti è nata poco prima, durante o subito dopo la sanguinosa guerra civile dei primi anni ’90. È impossibile districare i numerosi fili di rivendicazioni politiche, storiche, religiose, etniche e culturali alla base degli innumerevoli conflitti che hanno devastato i Balcani per secoli e che ancora spiegano il suo carattere politicamente complesso.
Ma, al di là dei dubbi sull’emancipazione delle donne sotto il regime comunista, questa eredità vive nella performance e nell’arte concettuale contemporanea. Sopravvissuta alla Jugoslavia, alla crisi economica e politica e soprattutto al malfunzionamento delle istituzioni che dovevano sostenere gli artisti: l’università e i musei.
Le artiste che scriveranno gli standard per le femministe a venire sono le mie colleghe Marina Marković in Serbia, Selma Selman in Bosnia o Nora Turato in Croazia. Donne che elaborano con coraggio questioni d’importanza universale come l’identità, il corpo femminile, l’anoressia, o gli effetti dei media sulla cultura. Usano i loro corpi per liberare tutte noi e ribadire che per quanto veniamo ricacciate indietro dall’ordine sociale paleolitico, non rinunceremo a lottare per i nostri diritti.
Al momento, con il Covid-19, vediamo quanto le donne stiano perdendo conquiste. Da inizio pandemia, dei 9,8 milioni di posti di lavoro persi, il 55% erano occupati da donne, come riportato della CNBC. Le più povere inoltre hanno un rischio maggiore di ammalarsi, perdere i mezzi di sussistenza e soffrire la violenza domestica. Senza contare che «[…] a livello globale, il 70% degli operatori sanitari sono donne, eppure non hanno parità di trattamento con i loro colleghi maschi», come ricorda un articolo di UN Women. Sembra sia sempre la stessa battaglia da combattere. Ma lo faremo, con tutta la nostra forza e gli strumenti che abbiamo. Siamo donne, artiste, o chiunque vogliamo senza giudizio e paura.
Testo di Marta Jovanović
Foto di Sanja Stefanovic, Petar Vujanic e Igor Crnkovic