Batistuta, l’ultimo Re di Firenze

Gabriel Batistuta

«Un animale, un animale che, come dico sempre, grazie a Dio è argentino. Il nostro calcio non lo sa valorizzare e se non avessimo fatto il putiferio che abbiamo fatto tutti noi che lo volevamo, Passarella non l’avrebbe neanche portato ai Mondiali».

Diego Armando Maradona

La nostra storia inizia con un viaggio in America di alcuni audaci avventurieri, la nostra storia inizia con la fondazione di una città. Siamo nei primi giorni del 1879, l’Italia non è ancora maggiorenne, dopo un lunghissimo ed estenuante viaggio attraverso gli oceani, alcune coraggiose famiglie provenienti dal Friuli Venezia Giulia e dal Trentino approdano sulle coste dell’Argentina. I migranti approfittano della Ley 817 de Inmigración de Colonización, la legge che offriva vantaggiose condizioni per chi, dall’estero, si fosse trasferito entro i confini argentini.

Sono proprio questi pionieri a dare vita a un agglomerato che verrà intitolato al presidente in carica Nicolás Avellaneda. Esattamente 90 anni dopo, Avellaneda è una cittadina di circa 20 mila abitanti, il 1 febbraio del 1969 una di loro, una segretaria scolastica, moglie di un macellaio, partorisce un bambino. Questo neonato in un certo senso restituirà il favore all’Italia: non arriverà a fondare una città, ma ne conquisterà una, ne diventerà l’unico e inimitabile condottiero.

Il bambino ha due nomi, come da tradizione tipica del volgo latino, si chiama Gabriel Omar, nasce all’alba di un anno sconvolgente per il mondo, un anno in cui il popolo alza la voce e si scaglia contro i potenti e l’ordine costituito, un anno in cui l’uomo si spinge oltre ogni confine mai superato.

1 febbraio 1969: appena due giorni prima i Beatles si sono esibiti all’improvviso sul tetto della Apple Records, creando scompiglio, solo pochi mesi dopo l’Apollo 11 atterrerà sulla superficie lunare, segnando l’inizio di una nuova era. Il primo febbraio del 1969 a Firenze viene tutt’ora ricordato come il compleanno di Gabriel Omar Batistuta.

Questo piccoletto è nato per fare gol, ma non lo scopre subito. Pensate che per tutta la sua vita professionale, praticamente ne segnerà uno ogni due volte che giocherà una partita di calcio, batterà innumerevoli record e si prenderà il cuore della gente con la sua spontaneità e il suo sorriso contagioso.

Ma fino a 16 anni Gabriel è un ragazzino un po’ in carne che a scuola si cimenta con la pallavolo e la pallacanestro senza grandissimi risultati. I compagni lo chiamano “el Gordo”, se ne pentiranno qualche decina di anni dopo quando vedranno in mondovisione la sua statua ai piedi della Curva Fiesole.   

Il suo soprannome però diventerà presto “el Gringo”, con questo nomignolo gli ispano-portoghesi usavano indicare i ragazzini biondi, con tratti tipici degli anglofoni, provenienti dagli Stati Uniti. In pochissimi avranno un animo più latinoamericano e passionale di lui. 

Un giorno Batistuta riceve un regalo, un poster che molti in Argentina venerano come una reliquia, è l’immagine sacra più condannata dagli iconoclasti del perbenismo, è la foto di Diego Armando Maradona. L’immagine del Dio del Calcio nella sua cameretta spinge Gabriel a percorrere una strada che lo renderà famoso e glorificato, nel suo Paese e non solo. 

Siamo nel 1985, in una Campania devastata dal colera e dalla guerra alla Camorra, in una Napoli che combatte sbarca la Juventus, la Vecchia Signora. È un nuvoloso giorno di novembre quando al San Paolo l’arbitro concede una punizione da posizione vantaggiosa, ma piazza la barriera avversaria a una distanza irrisoria. Maradona guarda il compagno Bruscolotti e dice: «Tanto gli faccio gol lo stesso!». Con una traiettoria degna dei racconti epici di Omero, “el Pibe de Oro” buca Tacconi e segna un gol che apparirà nei libri di storia del futuro. 

Chissà che non sia stato proprio quel gol a convincere il giovane Batistuta a dedicare la sua vita al pallone.

Sta di fatto che in questi anni inizia la parabola ascendente di un calciatore speciale, che avrà poco in comune col suo idolo in quanto a caratteristiche tecniche, ma farà della potenza e della fisicità il manifesto di uno sport che, anche grazie a lui, vivrà una svolta epocale. 

Il calcio è stato ed è il palcoscenico dei talenti purissimi, dei Cruijff e dei Pelé, dei Maradona, dei Platini, il sogno di ogni bambino che tiri i primi calci è quello di indossare la maglia numero 10, di fare dribbling e disegnare parabole bellissime. 

Giocatori come Batistuta stravolgeranno questo concetto, spostando la gloria dal numero 10 al numero 9, dal tocco sopraffino al missile terra-aria, dall’assist elegante al gol dirompente, dal fantasista al bomber.

La carriera del giovane Batistuta comincia nel Newell’s Old Boys, club chiamato così in onore del suo fondatore Isaac Newell, un immigrato inglese dei primi del ’900, un “Gringo”: è il destino. 

Lo stadio dei Newell’s Old Boys adesso è intonato a un personaggio molto particolare, eroe proletario, ex calciatore emozionante, attualmente allenatore eclettico, famoso in tutto il mondo per i suoi metodi pittoreschi e per una sagacia tattica più unica che rara: Marcelo Bielsa

Sarà proprio “el Loco” uno dei primi personaggi che Batistuta incontrerà sulla sua strada segnandone il carattere e la personalità. Dal Barrio di Avellaneda, dove si giocano partite interminabili dall’alba al tramonto e le urla che si sentono sono quelle delle madri che richiamano all’ordine perché è pronta la cena, Gabriel Omar Batistuta si ritrova a esordire nel massimo campionato argentino. 

Ed è subito Batigol: 4 reti in 16 scampoli di partita a 19 anni, in un campionato crudo e difficile, il River Plate si accorge di lui e lo va a prendere a Rosario, per portarlo a Buenos Aires. Pochi anni prima, esattamente il 26 settembre 1986 avvenne un’altra svolta nella vita di Gabriel: ha 17 anni quando conosce una ragazzina di poco più giovane di lui, si chiama Irina Fernández, da quel giorno la sua vita cambierà per sempre. 

Si conoscono durante la quinceañera di Irina. Nella tradizione latinoamericana la quinceañera è una sorta di rito di passaggio dalla pubertà all’età adulta, il compleanno dei 15 anni rappresenta la prima tappa verso la maturità. Da quel giorno di settembre, solo pochi mesi dopo aver festeggiato la vittoria dell’albiceleste nella Coppa del Mondo, non si lasceranno mai più e la bellissima Irina rappresenterà il perno imprescindibile della parabola del campione. 

Batistuta sarà uno di quei pochi coraggiosi a passare da una sponda all’altra del quartiere La Boca, dopo difficili rapporti con l’allenatore del River Daniel Passarella, sarà infatti acquistato dal Boca Juniors, squadra di cui era tifoso il suo idolo Maradona.

Alla “Bombonera” Batistuta esplode, diviene capocannoniere del campionato dominando il torneo di clausura con uno strapotere fisico che fa drizzare le antenne ai grandi club europei. Chi crederà in lui maggiormente sarà un personaggio folkloristico e indimenticabile, nel bene e nel male, un rampollo di una famiglia protagonista della scena economica e politica italiana, croce e delizia di una Firenze che sogna e poi sprofonda. 

Vittorio Cecchi Gori regala un idolo al popolo fiorentino, arriva in città come una promessa e se ne andrà semplicemente come “Il Re Leone”, con la bellezza di 207 gol in 332 partite, come lui nessuno mai. Ciò che questo attaccante formidabile ha regalato alla città intera è negli occhi di tutti, tifosi e non, la passione, la grinta, la mentalità, la caparbietà, la tenacia, il ritratto di un guerriero che conduce il suo popolo su vette mai raggiunte. 

Le lacrime che lascerà cadere sul suo viso dopo un missile che buca il suo passato, saranno il solco indelebile dell’amore di un uomo vero per la sua gente.