In occasione della partenza del Tour de France 2024 da Firenze, FUL ha voluto omaggiare, a modo suo, il grande ciclista.
Oh, quanta strada nei miei sandali
quanta ne avrà fatta Bartali
quel naso triste come una salita
quegli occhi allegri da italiano in gita.
E i francesi ci rispettano
che le palle ancora gli girano
e tu mi fai: “Dobbiamo andare al cine”.
E vai al cine, vacci tu!
Cantava così il grande Paolo Conte, in un suo brano storico che raccontava un’epoca, descriveva un eroe nazionale, dipingendo il quadro sociale e politico internazionale.
“I francesi che ci rispettano e le palle che gli girano” perché Gino Bartali prende la Bastiglia e conquista Parigi, vincendo il Tour de France. La rivalità, che ha origine al tempo in cui Giulio Cesare sottomise i Galli, si riaccende dopo gli eventi del dopo-guerra e lo sport si fa metafora di potenza. “Al cine vacci tu!” Il cinema, passione italiana, costume sociale, specchio e riflesso di un ritorno alla vita dopo anni di orrori e tragedie. Come si poteva andare al cinema mentre la radio trasmetteva l’impresa storica di Bartali? E pensare che quel ciclista dal naso triste e dagli occhi allegri il cinema lo farà, lo vivrà, lo ispirerà, anzi, tutta la sua intera vita, in realtà, sarà un grande, immenso film.
Ci piacerebbe, per una volta, rivivere il backstage di questo film, dicendo dell’uomo dietro all’eroe, della persona dietro al personaggio, ci piacerebbe raccontare la storia di un toscano, di un fiorentino, di uno di noi, che aveva il cuore del leone e le gambe d’acciaio inox.
Nel backstage del film di Gino Bartali s’aggiravano tutti i più importanti guru del cinema. Alberto Sordi impazzì per l’ironia pungente tipicamente toscana di Bartali, prendendo spunto dai suoi aneddoti preziosi, per le battute dei suoi film. Sophia Loren rimase stregata dalle imprese del campione; il maestro Federico Fellini, appassionato di ciclismo, raccontò di aver avuto l’opportunità di conoscerlo durante una serata mondana a Roma. Fellini parlò di lui come di un vero gentiluomo, con un fascino e un carisma che andavano oltre il mondo dello sport, lasciando un’impronta indelebile nella memoria di chi lo incontrava.
Lo schermo, “Ginettaccio”, lo bucava, con la sua naturalezza spiazzante. La scommessa di Antonio Ricci, braccio armato della rivoluzione comunicativa di Silvio Berlusconi, fu quella di chiamare Bartali a condurre il tg satirico più famoso d’Italia: Striscia La Notizia. Dal 6 al 18 gennaio del 1992 il campione toscano, quasi ottantenne ma ancora pieno di energie e carisma, conquistò milioni di italiani con la spigliatezza di un professionista della televisione.
L’uomo che attraversò le epoche: aveva poco meno di un anno al “passaggio dei primi fanti, il 24 maggio”, visse due guerre mondiali e si ritrovò catapultato in un mondo che cambiava giorno dopo giorno, in nome della tecnologia.
La tecnologia, dea, regina indiscussa del mondo contemporaneo. Gino Bartali spalanca la bocca di fronte alle nuove metodologie di allenamento dei ciclisti, lui che correva ai tempi in cui non esisteva neppure la “cyclette”, inventata da un ricercatore americano nel 1968. Lui che, per tenersi in forma durante l’inverno, attaccava la sua bicicletta a una ruota di macinazione in un mulino nella campagna fiorentina, pedalando contro la resistenza dell’acqua corrente e simulando le condizioni di una ripida salita. Precursore, innovatore, inventore, non tutti sanno che Bartali contribuì allo sviluppo della tecnologia nel ciclismo, ideando un nuovo tipo di impianto frenante, dimostrando che la sua smisurata passione e il suo talento, procedevano in volata con la sua straordinaria intelligenza.
Un’intelligenza accompagnata da una grande fede religiosa, papa Giovanni Paolo II lo definì “uomo di impareggiabile umanità”, alludendo anche alle sue imprese al di fuori dello sport. Chissà se il Santo Padre sapeva che Gino Bartali era anche un uomo che sfidava la superstizione. Il numero 13 portava sfortuna un po’ per tutti. I vichinghi anticamente adoravano dodici dei e si dice che un giorno apparse sulla Terra il tredicesimo, portando il male nell’umanità. Per non parlare dell’ultima cena di Gesù alla quale presero parte 13 commensali! Ginettaccio indossò il pettorale numero 13 in tutte le sue vittorie più esaltanti.
E che dire della superstizione del “gatto nero”? Si narra che, durante una tappa del Tour de France, il campione toscano si ritrovò improvvisamente con un gatto nero seduto sul manubrio della sua bicicletta. Invece di spaventarsi decise di portare con sé il felino per tutto il tragitto, considerandolo di buon auspicio. Si narra che, sorprendentemente, il gatto rimase tranquillo per l’intera corsa!
Questa è la poesia di e su Gino Bartali, poesia che era per lui una passione unica, talvolta indispensabile, tanto da portarlo, prima delle grandi corse, a ritirarsi in una tranquilla, segreta stanza d’albergo per leggere le strofe di Gabriele D’Annunzio, attraverso cui trovava l’ispirazione del campione e la concentrazione dell’atleta. Durante le corse più lunghe e impegnative, Bartali portava sempre con sé un kit di sopravvivenza molto insolito. Oltre a cibo e acqua, nel suo zaino si potevano trovare una piccola canna da pesca e un libro di poesie, per affrontare le lunghe attese durante le pause, senza mai annoiarsi.
Ma un uomo vero è fatto anche di piccole cose, di abitudini nascoste, capricci, vizi e passioni insolite, come lo speciale rito pre-gara con il caffè. Prima di ogni grande corsa, Bartali aveva un’abitudine particolare: bere un caffè espresso lungo, da lui stesso preparato, con una moka personale, che si portava sempre appresso. Questo gesto rituale non solo lo aiutava a concentrarsi, ma diventava anche un momento di tranquillità e riflessione prima della sfida imminente. Oppure il gelato alla fine delle salite.
Dopo aver scalato le vette più impegnative, Ginettaccio aveva una tradizione molto caratteristica: fermarsi alla sommità e gustarsi un gelato! Si diceva che fosse il suo segreto per recuperare le energie e affrontare le discese con rinnovato vigore. E che dire del suo bizzarro segreto sulla velocità? La leggenda narra che Bartali avesse un trucco per aumentare la velocità durante le discese: stendere del miele sulla sella della sua bicicletta. La viscosità del miele riduceva l’attrito dell’aria, consentendo al campione di scendere più velocemente e con maggiore sicurezza.
Gino Bartali era anche un cuoco sopraffino, che sorprendeva i compagni di corsa con preparazioni gustose e genuine, amava trascorrere il tempo nel suo giardino di piante esotiche rare che collezionava copiose. Ma le piante non erano la sola cosa che custodiva gelosamente, era anche matto per i cappelli. Indossava un cappello diverso per ogni occasione: uno per le giornate di sole, uno per la pioggia, e persino uno per le vittorie più memorabili.
Quella di Gino Bartali è l’epopea di un supereroe, sono i fatti a dimostrarlo, come quando durante una gara particolarmente infuocata si presentò al via indossando un costume da supereroe, completo di maschera e mantello. L’effetto sorpresa destabilizzò tutti i suoi avversari e trionfò col suo stile unico e inimitabile.
Si dice che Gino Bartali fu l’uomo che trasformò la bicicletta in un sogno. A proposito, si racconta che Bartali avesse il dono della preveggenza attraverso i sogni. Prima di alcune delle sue vittorie più memorabili, aveva sogni premonitori che lo guidavano durante la gara e gli fornivano forza e determinazione necessarie per raggiungere il successo. E poi? Sapete che fece quello strano ciclista fiorentino “dal naso triste come una salita e dagli occhi allegri da italiano in gita”?
Un giorno fu contattato dal monsignor Elia Angelo Dalla Costa, arcivescovo di Firenze, che gli chiese di entrare a far parte dell’organizzazione clandestina DELASEM, la Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei. Tra il settembre del ’43 e il giugno del ’44 prese parte alla corsa più importante della sua vita. Partendo dalla stazione di Terontola, vicino a Cortona e giungendo, a volte, addirittura fino ad Assisi, realizzò svariati giri in sella alla sua bicicletta trasportando documenti e fototessere all’interno dei tubi del telaio, in modo che una stamperia segreta potesse poi falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati.
Ma questa è un’altra storia, la storia di un uomo leggendario col cuore del leone e le gambe di acciaio, il racconto di una vita che ispirerà per sempre, grandi, immensi film.
“Un eroe silenzioso”, per dirla con Primo Levi.
Illustrazione di Rame 13