Beatrice Viti e l’arte dell’encausto

Beatrice Viti

Pietrasanta è nota come “Piccola Atene” per le tante gallerie d’arte e buen retiro di Fernando Botero. L’artista colombiano dagli anni ‘90 l’ha eletta a dimora per il suo studio di scultura e vi ha pure decorato la Chiesa della Misericordia con due grandi affreschi. La cittadina Versiliese si è evoluta molto negli ultimi tempi, adesso attira turisti italiani e stranieri, qui sono stati proprio bravi a rivalutare le vecchie botteghe e la tradizione artigianale. Ovviamente il marmo ha giocato la sua parte, come la posizione geografica – tra le montagne e il mare – favorendo il richiamo di artisti da ogni dove. A Pietrasanta FUL è in trasferta per conoscere meglio un’amica del nostro magazine (la trovate all’ultima pagina del numero 28, dicembre 2017…), ovviamente anche lei è un’artista. 

Beatrice Viti, classe 1991 e pietrasantina doc, incontra l’arte al liceo per non abbandonarla più, sperimentando nel tempo varie tecniche pittoriche e oggi è una pittrice emergente che si esprime con pittura a olio su resina epossidica. A FUL presenta una tecnica antica riletta in chiave moderna: l’encausto

In ottica sostenibile peraltro, dato che Beatrice realizza i suoi quadri recuperando materiali di scarto dai cantieri navali di Viareggio. Ha esposto in gallerie ed eventi in Italia – tra cui il Cibart di Seravezza a cui partecipano artisti emergete che internazionali – di cui l’ultimo proprio questa estate, accettando l’invito a prendere parte ad una collettiva alle Officine Garibaldi di Pisa.

Baatrice Viti

Come nasce la Beatrice Viti artista?

Fin da piccola sono stata ispirata da mio zio pittore e sono cresciuta tra i suoi quadri. Ho studiato all’Istituto d’Arte di Pietrasanta, ma è stato con il mio trasferimento a Firenze a 18 anni che – nella città d’arte per eccellenza – ho subito il fascino del mondo degli artisti. Qui ho imparato veramente a dipingere a olio e acrilico. Passavo da temi personali a scorci notturni della città mischiati in un unico quadro.

A Corte Lotti a Pietrasanta ho partecipato alla mia prima esposizione d’arte contemporanea – dedicata a giovani artisti – e qui ho avuto i primi riconoscimenti. Ma la spinta vera l’ho avuta quando mi sono trasferita in Spagna nel 2013. Sono rimasta lì tre anni, ho fatto un corso di pittura per affinare la tecnica e migliorarmi, avendo anche la possibilità di esporre nell’importante contesto dell’Auditorio Municipal de Valencia

Quindi Firenze è in qualche modo centrale nella tua formazione?

Sì, in senso lato: le emozioni, gli eventi, una comunità artistica internazionale… Mi ha dato la voglia di esternare qualcosa, perché credo l’arte sia molto “sentimento” e “cura”. Io sentivo proprio il bisogno di dipingere e a Firenze si è manifestato in maniera dirompente. Poi, in Spagna, dai temi personali sono passata a quelli che mi permettevano di migliorarmi tecnicamente, paesaggi ad esempio.

Siccome in quel periodo spopolava il fluid painting, il caso ha voluto che finissi per riscoprire e innamorarmi della tecnica dell’encausto, affinandola sempre più. L’encausto è un’antica tecnica pittorica applicata per mantenere meglio gli affreschi, nata nell’Antica Grecia e poi diffusasi tra i Romani. Prevede che i colori siano mescolati alla cera attraverso il calore.

Puoi spiegare i passaggi di questa tecnica e come hai personalizzato l’encausto? 

Faccio una premessa, ricollegandomi alla moda della fluid art, o la liquid art, che accennavo prima. In queste tecniche, basate sull’acrilico, si usa il colore allo stato liquido e poi con la fiamma ossidrica lo si espande ottenendo una serie di figure astratte. Vengono fuori quadri belli esteticamente ma, aldilà della bravura nell’utilizzo della tecnica in sé, a mio avviso non trasmettono emozioni. Anche perché il risultato finale è totalmente casuale. Qualcuno ricorderà che su Instagram ne giravano molte di queste immagini qualche anno fa. Io invece ho provato a recuperare la cera e la resina, come si faceva un tempo, ma dipingendoci poi un soggetto.

Per l’encausto solitamente si usa un pannello di legno – sul quale si stende uno strato di gesso per impedire prenda fuoco quando si passa la fiamma ossidrica – dove la cera si amalgama ai colori che bollono per il calore. L’acrilico a contatto con la cera calda crea delle bolle e dei giochi di colore affascinanti. Infine, personalizzo il quadro aggiungendoci con il pennello una figura umana o altro.

Chiaramente all’inizio ho chiesto parere a chi era più esperto sui dosaggi e ho sperimentato nel garage di casa quasi per gioco. E così ho scoperto quanto ero affascinata dal risultato! L’opera che è stata selezionata per esporre alle Officine Garibaldi è di questo tipo.

Un’esposizione importante, mi è giunta voce che a presenziare l’evento c’era un critico del calibro di Vittorio Sgarbi.

Sì è vero! Sgarbi era lì per la premiazione dei finalisti e lo scultore Aron Demetz, nostro comune amico, ci ha presentato. In seguito abbiamo visitato proprio la mostra di Demetz, avendo così l’occasione di partecipare a una cena assieme. Posso dire che è stato un piacere sentire Sgarbi parlare d’arte, ci ha raccontato del periodo in cui curava l’itinerante Mostra della Follia, che vitai a Lucca nel 2019. Un personaggio diverso da come può apparire in televisione, stravagante agli occhi comuni, certo, ma si è rivelato anche una persona divertente a cui piace scherzare e stare in compagnia.

A proposito di Aron Demetz, raccontiamo che tu hai fatto da modella proprio per una sua nota scultura! 

Esatto, tra l’altro l’amicizia con lui è nata proprio quando seppi che al Simposio di Carrara cercavano delle figure longilinee per posare. Avevo 18 anni all’epoca e mandai la mia foto, così fui scelta insieme ad altre due modelle. Arrivai a Carrara in questo studio e ci fecero posare, non sapevo chi fosse l’artista e tantomeno che godesse già di fama internazionale. Comunque rimasi subito colpita dalla sua grande professionalità e da allora siamo sempre rimasti in contatto.

Cosa si prova ad essere resi immortali con una statua che tra l’altro è stata esposta in giro per il mondo?!

Posso dirti che provo un po’ d’invidia per quella statua… Ha girato il mondo più di me!