Big Clay, l’opera di Urs Fischer in Piazza della Signoria, sarà un Big Fail?

Ebbene sì: abbiamo Big Clay, il mastodonte che campeggia, da qui al 21 Gennaio, in Piazza della Signoria. Sicuramente, se l’intento dell’installazione era quello di creare senso critico negli spettatori, non c’è dubbio, possiamo dire che è stato un successo indiscutibile.

 
Sul fatto che, per smuovere tali coscienze, fosse necessario mettere ciò che, ai più, sembra “la gigantografia d’un coprolite” (per dirla con i termini eleganti di “Finestre sull’arte”) in una delle piazze più importanti d’Italia, troviamo di che discutere. E, sul fatto che per tale installazione si siano investiti almeno 100.000 euro (a quanto dichiara, a denti stretti, uno dei curatori), altrettanto.
Niente da eccepire alla genialità di Urs Fischer che ha un profilo professionale e artistico di tutto rispetto e niente da eccepire nemmeno alla scultura, in quanto libera espressione del suo indubbio estro creativo, che, attraverso quel cumulo di argilla e metallo, vorrebbe simboleggiare la creazione di una materia primigenia: il gesto primordiale dell’artista, che è uomo ancor prima d’essere artista, e che utilizza la materia per plasmarla e darle una forma: lo stadio embrionale della creazione” (n.d.r.: seguiamo citando i critici d’arte esperti perchè vi confessiamo che, così su due piedi, non ci saremmo arrivati… tanto più che non c’è nemmeno mezza spiegazione illustrativa a darci lumi per portarci fuori dal buio dell’ignoranza e della misconoscenza).
Da eccepire però, giusto qualcosina ci sarebbe, almeno sulla collocazione… Concordiamo pienamente sul fatto che arte contemporanea e arte rinascimentale possano e debbano dialogare, quando però esiste un filo conduttore che le colleghi in modo evidente tra loro. L’esposizione di Jeff Koons di due anni fa ne fu un esempio: le statue potevano piacere o meno, ma vi si riconosceva una continuità nei temi e nelle forme. Un’interpretazione della mitologia e della classicità da un punto di vista antico e contemporaneo, comprensibile ai più.

Infatti un altro punto dolente è che, piazzandola così senza nemmeno due righe didascaliche adeguate, di tale scultura non se ne capisce il senso, il significato e la funzione. Se c’è un messaggio (come in ogni opera artistica), così non passa. Almeno alla media dei frequentatori della piazza che, purtroppo, non sono tutti dotati di una specializzazione in arte contemporanea. Sicuramente un critico in questo avrebbe da obiettare ma facciamo presente che, se si mette una statua gigantesca in uno dei luoghi simbolo di Firenze, il pubblico che se la trova davanti deve poter essere messo nelle condizioni di capire ciò che vede, altrimenti subisce l’opera come un’invasione, uno ‘spregio’ o almeno un elemento di disturbo.
Ovviamente qualcuno che avrà gradito c’è ma, dalle nostre ricerche, risulta che la maggior parte dei fiorentini (e non) interpellati in merito, alla domanda “Cosa pensi della statua in Piazza della Signoria?” ha risposto citando il compianto ragionier Ugo Fantozzi che, parlando della corazzata Potemkin e dell’occhio della madre (sempre di arte, in fondo, si trattava), si espresse in maniera talmente chiara da suscitare, se memoria non ci inganna, svariate ore di ovazioni. Tale battuta è passata alla storia, tanto da essere riesumata, in tutta la sua limpidezza, in questo frangente.
Note di colore a parte, il punto è che la comprensione del messaggio di Big Clay è inaccessibile ai più e che questo, invece di avvicinare cittadini e passanti all’arte attuale (come ci pareva fosse l’intento), li allontana. Ecco quindi frotte di spettatori sbalorditi e delusi, di fronte all’evidente gap tra loro e l’arte.
Messa su questo piano allora, davvero si rende pienamente giustizia a un’opera? Davvero si celebra il lavoro, la straordinarietà, il talento di un artista? Mah, non ne siamo sicuri.
Quello che è mancato, secondo noi, è il racconto: come leggere una pagina a caso di uno scrittore visionario, senza avere l’opportunità di integrare con il libro. Difficilmente si apprezza, raramente si capisce, generalmente non piace.
Inoltre, Firenze è ricca di contesti sicuramente più adatti e idonei alle esposizioni contemporanee: spazi dove con la giusta illuminazione e le giuste didascalie si rende pienamente fruibile, comprensibile e apprezzabile ciò che si mostra. Senza aumentare, invece che diminuire, il divario tra il cittadino medio e sua maestà l’Arte che altro non è (o non dovrebbe essere) se non manifestazione e espressione proprio dei tempi e dell’uomo moderno…
Insomma, senza scomodare troppo il critico americano Jeremy Sigler che all’esordio definì l’opera come “the most expensive turd in the art casino”, diremmo che per ora e per fortuna Firenze ha ospitato anche mostre ‘diverse’. Aspetteremo la fine per dire se Big Clay sia stato anche un Big Fail.
Rita Barbieri