Black History Month Florence 2018

Intervista all’artista newyorkese Justin Randolph Thompson, direttore e co-fondatore della ricorrenza che celebra la cultura “black”.

 
Artista visivo nato a Peekskill, New York, in Italia dal ’99, Justin Randolph Thompson è una personalità creativa, poliedrica e dinamica che ha deciso di portare in Italia, specialmente a Firenze, un progetto ambizioso per promuovere la cultura “Black” nel contesto italiano. Con l’aiuto della sua squadra e di preziosi collaboratori Justin ha organizzato, dalla prima edizione del 2016 a quella di oggi, un calendario di eventi con un programma vastissimo, che spazia dall’arte, la musica, il cibo e il cinema per permettere alle diverse culture afro-discendenti di esprimersi, raccontarsi, aprirsi e interagire con la comunità fiorentina. Ecco la nostra intervista.

Justin cos’è il Black History Month e come nasce? 

Si tratta di una ricorrenza, presente negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito, nata per celebrare la cultura “Black”e ricordare la storia afroamericana negli stati uniti e la diaspora Africana nei contesti della Canada e del UK. Negli Usa, dove orginariamente nacque negli anni ’20, e in Canada dal ’95 avviene nel mese di febbraio, nel Regno Unito dove è stato stabilito nel ’85 invece in quello di ottobre. Il precursore del “Black History Month” risale al 1926, quando lo storico Carter G. Woodson e l’associazione ASALH annunciarono che la seconda settimana di febbraio, che contiene i compleanni di Abramo Lincoln e di Frederick Douglass, sarebbe stata chiamata “Negro History Week” e sarebbe stata un’occasione per incoraggiare l’insegnamento coordinato della storia dei neri americani nelle scuole pubbliche della nazione. Il successo dell’iniziativa crebbe sempre di più, finchè nel 1976 il governo americano riconobbe ufficialmente il progetto e cambiò il nome iniziale di “Negro History Week” in “Black History Month”.

Perché hai deciso di esportare questo progetto in Italia? 

Fondamentalmente per illuminare la diversità di culture ‘nere’ presenti sul territorio italiano. Molto spesso c’è una percezione piatta e omologata degli afrodiscendenti ma, con questa serie di eventi, vorremmo far capire che esiste una vastità di culture e sottoculture differenti, spesso raggruppate sotto un’unica, quantomai scomoda, etichetta. Insieme al co-fondatore Andre Halyard abbiamo sentito la necessità di ampliare questa visione, di valorizzare le specificità e, in quanto artisti, abbiamo pensato di sfruttare varie forme artistiche come mezzo di espressione e comunicazione.

Così è nato, nel 2016, il primo Black History Month in Florence. Come è cambiato il festival nel corso delle successive edizioni? 

Da un calendario iniziale di 19 eventi nel 2016, con l’appoggio di 15 partner, una piccola squadra e nessun finanziamento, abbiamo cercato di creare fin da subito un modello espandibile. Attualmente, sono felice di dire che il festival è cresciuto sia numericamente che come diffusione. La III edizione di BHMF svoltasi a febbraio di quest’anno e organizzata insieme a Janine Gaëlle Dieudji e Matias Mesquita aveva 60 eventi in programma, ben 63 partner (tra cui il comune di Firenze come co-promozione e vari Istituti di Cultura) e più di 90 protagonisti. Sono dei bei numeri ma possiamo, vogliamo e dobbiamo crescere di più. Il nostro obiettivo è quello di espanderci sul territorio nazionale, non solo fiorentino o toscano.

Qual è stata, in questi anni, la risposta del pubblico? Quali sono state le difficoltà maggiori? 

La risposta è stata indubbiamente positiva: a Firenze c’è interesse e possibilità di dialogo a tutti i livelli. La difficoltà maggiore è stata quella legata alla comunicazione: molto spesso le persone non sono a conoscenza della quantità e varietà di eventi che popolano la vita culturale e sociale della città. Questo è un limite che cerchiamo di arginare il più possibile facendo network e cercando nuovi mezzi e canali di diffusione.

Un successo destinato a crescere: quali sono i vostri obiettivi futuri? 

A parte estenderci sul territorio nazionale e ampliare sempre di più la nostra panoramica di artisti, eventi e contatti, in futuro ci piacerebbe raccogliere tutto questo materiale in una biblioteca o in un archivio, da mettere a disposizione di chiunque sia interessato: studiosi, ricercatori, semplici curiosi. Vorremmo essere un supporto (che al momento in Italia manca) per chiunque voglia fare una riflessione storica, culturale, contestualizzata e specifica sull’argomento, espandendo oltre quello che spesso viene interpretato come l’unica “lente dell’immigrazione” che, molto spesso, più che far vedere con chiarezza, distorce. In questo senso, vorremmo davvero che il Black History Month Florence fosse uno spunto, l’inizio di un percorso di conoscenza, interazione e scambio reciproco.

A questo proposito, avete in programma due eventi che vertono proprio su questi temi, giusto?

Sì, nel mese di luglio inaugureremo la mostra Schengen a cura di BHMF, visitabile dal 12 luglio al 24 agosto presso Villa Romana che, avvalendosi delle opere di tre artisti contemporanei, Délio Jasse, Anna Raimondo e Jebila Okongwu, esplorerà i limiti e i confini identitari, in maniera fluida e partecipativa. Inoltre, sempre a Villa Romana co-promuoviamo e co-organizziamo un festival cinematografico, l’African Diaspora Cinema Festival fondato da Fide Dayo, che avrà luogo dal 5 all’8 luglio, con una selezione di film provenienti da 18 Paesi dal continente africano e oltre, che elaborerà, attraverso il linguaggio cinematografico, il tema della migrazione e dello scambio da un punto di vista il più possibile ampio e variegato. Eventi che saranno solo un assaggio di ciò che possiamo e vogliamo offrire per far conoscere le nostre culture, valorizzarle e favorire il reciproco scambio.
Testo di Rita Barbieri