La data del 27 novembre 2020 segna i cent’anni dalla morte di Vamba, al secolo Luigi Bertelli, giornalista, educatore, bibliofilo e padre del personaggio Gian Burrasca, il monello di tutti i tempi.
Nato a Firenze nel 1858, si fa conoscere con lo pseudonimo di Vamba, dal nome del cavaliere protagonista di Ivanhoe di Walter Scott. Il suo interesse per la letteratura e il giornalismo ha radici adolescenziali quando alle Scuole pie fiorentine dei padri scolopi scrive con alcuni compagni il giornalino “La Lumaca”. Qualche tempo dopo si trasferisce a Roma e collabora come redattore per le riviste “Il Capitan Fracassa” e “Don Chisciotte” distinguendosi per la sua penna irriverente e satirica.
Ritornato a Firenze, lavora con diverse testate che si occupano di politica e di costume; la sua ironia lo porta a pubblicare un testo satirico e nel 1895 dà alle stampe “Ciondolino”, un libro di genere educativo e didattico che racconta la storia di un bambino trasformato in formica.
La svolta avviene nel 1906 quando fonda la rivista per ragazzi “Il Giornalino della domenica” in cui pubblica Il Giornalino di Gian Burrasca.
La testata si rivolge soprattutto alle famiglie piccolo borghesi e in anni di forte dibattito politico, rappresenta uno strumento di propaganda di valori liberali e patriottici. Vi collaborano gli scrittori più noti del momento come Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Grazia Deledda, Luigi Capuana e le immagini sono a cura di raffinati illustratori quali Umberto Brunelleschi e Filiberto Scarpelli.
Il giornalino di Gian Burrasca tiene viva l’attenzione dei giovani lettori per 55 puntate settimanali, raccolte in un volume edito da Bemporad nel 1915; il libro ha un grande successo di pubblico e si qualifica come un best seller posizionandosi al terzo posto nei libri più venduti dopo Pinocchio e Cuore. Lontano dal moralismo di Collodi e dal sentimentalismo di De Amicis, Il giornalino di Gian Burrasca, alias Giannino Stoppani, è un diario dove il giovane racconta quotidianamente ogni sorta di disastri, piani machiavellici e insubordinazioni che combina nel collegio in cui è stato rinchiuso dai genitori.
Ribelle solo come gli adolescenti sanno essere, vivace e scanzonato, non risparmia critiche al “mondo dei grandi” fatto di ipocrisie e compromessi. Reclama le sue azioni compiute senza malizia, anzi come lui stesso dichiara, sono fatte a fin di bene e il suo motto, ripetuto come un mantra alla fine di ogni catastrofe, recita “Io vorrei sapere che gran male ho fatto alla fin fine.
Ristampato moltissime volte, il libro è stato trasposto in diversi sceneggiati tra cui il più famoso quello per la televisione diretto da Lina Wertmuller nel 1964 con protagonista una giovanissima Rita Pavone che cantava “Viva la pappa al pomodoro”, un inno alla ribellione.
Negli anni a seguire Vamba continuerà a pubblicare e collaborerà anche con “Il Corriere dei piccoli”; si spegnerà nel 1920 a Firenze e verrà sepolto nel Cimitero delle Porte Sante a San Miniato (ve ne abbiamo parlato qui).
La sua eredità è un ragazzino libero e scanzonato che non invecchierà mai e farà la vera rivoluzione, quella dei fatti e delle parole scritte, non quella delle storie sui social.