Centro storico: 30 mila residenti in meno in soli 20 anni. L’identità perduta

bulgari firenze

“In tre modi muoiono le città: quando le distrugge un nemico spietato (come Cartagine, che fu rasa al suolo da Roma nel 146 a. C.); quando un popolo straniero vi si insedia con la forza, scacciando gli autoctoni e i loro dèi (come Tenochtitlán, la capitale degli Aztechi che i conquistadores spagnoli annientarono nel 1521 per poi costruire sulle sue rovine Città del Messico); o, infine; quando gli abitanti perdono la memoria di sé, e senza nemmeno accorgersene diventano stranieri a se stessi, nemici di se stessi.”

Questa citazione, ripresa dal libro di Salvatore Settis “Se Venezia muore” (Einaudi, 2014), anche se originariamente dedicata alla “Serenissima” città veneta, sembra proprio calzare a pennello alla situazione attuale di Firenze. Ferita gravemente dal Covid e prima assediata da folle iperattive di turisti maleducati, Firenze porta con sé il peccato originale di aver dimenticato da troppi anni se stessa, vendendo la propria storia per un piatto di lenticchie. Il fenomeno che ha investito Firenze e, a dir la verità, un po’ tutte le grandi città d’arte italiane, in questi anni è stato definito come “gentrificazione”.

Di cosa stiamo parlando?

Il dizionario Treccani la definisce come il processo di “riqualificazione e rinnovamento di zone o quartieri cittadini con conseguente aumento del prezzo degli affitti e degli immobili e migrazione degli abitanti originari verso altre zone urbane”.

E’ un fenomeno che interessa Firenze almeno dalla metà del secolo scorso ma che nell’ultimo quarto di secolo ha avuto una progressiva accelerazione, parallelamente alla chiusura dei grandi stabilimenti industriali e alla conseguente terziarizzazione dell’economia. Tutto ciò ha portato le amministrazioni comunali delle città d’arte, come Firenze, a dare sempre più peso al flusso economico generato dal turismo di massa e dai relativi consumi. Solo tra il 2008 e il 2018, il flusso turistico a Firenze è aumentato del 51%, arrivando alla cifra “monstre” di 13 milioni di visitatori annui. Così, anni di politiche di gentrificazione e turistizzazione forzata del centro storico hanno avuto come conseguenza il progressivo smantellamento di buona parte di quel tessuto sociale ed economico che rendeva Firenze una città invidiata dal mondo intero e che adesso sembra ricevere il definitivo colpo di grazia dovuto a un anno di pandemia.

Non solo. Gli artigiani, le botteghe, i piccoli commercianti al dettaglio, gli uffici ma soprattutto gli abitanti autoctoni rendevano il centro storico non solo uno dei più belli del mondo, ma costituivano anche l’ecosistema primario capace di trasformare una batteria di freddi edifici in una città piena di calore umano. Quell’ecosistema cittadino, ovvero la sua comunità, nel corso degli anni è stato cacciato quasi interamente nelle periferie o nei comuni limitrofi, per permettere l’installazione della monocultura turistica. Si è spezzato, parcellizzato, frantumato, divenendo infine “straniero a se stesso”, secondo l’affermazione di Settis. Come chiunque può facilmente vedere sull’archivio online della Città di Firenze, ci si accorge, infatti, che soltanto a partire dal 1999 il quartiere 1 della città, cioè grosso modo il centro storico, ha perso oltre 30 mila abitanti passando da una popolazione residente di circa 95 mila abitanti ad una inferiore ai 65 mila. Il tutto in poco più di 20 anni(!).

Quel prezioso ecosistema cittadino nei fatti ha lasciato posto a un paese dei balocchi, dove la bellezza della città e dei suoi cittadini viene svenduta un tanto al chilo al miglior offerente. In questo paese dei balocchi, il ruolo del Pinocchio, cui si allunga il naso per le troppe bugie, lo abbiamo ricoperto un po’ tutti, ma qualcuno più degli altri: da una parte le istituzioni, perse in una retorica di finta valorizzazione culturale della città. Dall’altra, i grandi brand e le multinazionali, millantatori di novità e nuovi posti di lavoro, ma in realtà causa di omologazione e della chiusura di numerose attività evidentemente impossibilitate a resistere a una concorrenza sleale quanto spietata.

La pandemia non ha fatto altro che accelerare questi processi, in corso ormai da tanti anni, e ha mostrato la miopia delle numerose amministrazioni comunali che si sono susseguite. Puntando tutto su un’economia estremamente fragile, basata esclusivamente sul turismo, le varie giunte comunali hanno trasformato il centro storico in una sorta di museo del kitsch, fruibile dai ricchi e accessibile a tutti gli altri nei termini frustranti e patologici di un rapporto  voyeuristico. I vari Prada, Foot Locker, Mc Donald’s  divengono moderni totem da contemplare e meccanicamente ammirare, a scapito del piccolo “lampredottaio” o del vecchio calzolaio di quartiere, loro sì creatori di prodotti veramente unici nel mondo ed ora commercializzati (il lampredottaio) o in via di estinzione (il calzolaio).

Il Covid sta così spazzando via tutte le ultime attività “a misura di cittadino” del centro storico, facendo pagare la crisi sociale a chi onestamente vive del proprio lavoro e non ai grandi marchi, molti dei quali, soprattutto nell’ambito dell’e-commerce (basti pensare ad Amazon), hanno addirittura aumentato notevolmente il proprio fatturato nel corso della pandemia. E quando la pandemia sarà (speriamo presto) finita, il timore è che, nonostante alcuni parziali provvedimenti già presi in discontinuità rispetto al passato – per esempio lo stop ai nuovi alberghi in centro contenuto nel nuovo “Piano Operativo” – le future amministrazioni comunali possano tornare alle politiche pre-Covid, rendendo ancor di più il centro un turistificio a scapito di tutta la comunità fiorentina. Sotto questo profilo, è esemplare l’ok dato ad aberranti operazioni edilizie programmate prima del Covid, ma ancora tutte da costruire, come il nuovo super resort in Costa San Giorgio.

Forse la città dovrebbe essere ripensata dalle sue fondamenta. Il turismo dovrebbe restare una risorsa chiave per una città dalla bellezza indefinibile come Firenze, tuttavia incanalato in un disegno di città vivibile per tutti – e non solo per i turisti – e capace di riannodare la fitta rete di relazioni umane e sociali che compongono il cuore pulsante di una comunità cittadina; la quale nell’ultimo anno ha espresso la sua compattezza tramite iniziative di sostegno al reddito, spese solidali e molte altre pratiche di mutualismo compiute dai più svariati enti presenti sul territorio, dai movimenti politici veri e propri (Potere al Popolo Firenze) ai sindacati (Cobas), dai centri sociali e i collettivi (La Polveriera Spazio Comune, Laboratorio Diladdarno) fino ai gruppi ultras (Curva Fiesole, Rude Boyz Rifredi).

Da questo punto di vista, le azioni di solidarietà verso i più bisognosi compiute nel corso della pandemia rappresentano un faro di speranza in questa martoriata comunità fiorentina, tanto ferita ma ancora così resiliente.

Articolo a cura di Giuseppe Scavo
Foto di copertina Gaia CarnesiLockdown del lusso