Il celebre fotografo fiorentino Guido Argentini ha concesso a FUL un testo in cui svela il suo nuovo progetto, che segna il passaggio dall’immagine fissa a quella in movimento.
Il cambiamento è la cosa che ci spaventa di più ma è anche l’unica cosa che ci dà veramente la possibilità di crescere. Più volte ho preso delle decisioni che hanno dato un cambio repentino alla mia vita. La più drastica è stata probabilmente quella che ho preso a 23 anni, quando ho deciso di lasciare gli studi di Medicina per dedicarmi alla mia vera passione, la fotografia.
Sono partito per Los Angeles, il mio inglese era allora davvero elementare, non conoscevo nessuno in città e non avevo molti soldi. Eppure non mi sono lasciato spaventare, anzi, ero fortemente attratto da questo nuovo mondo e da questa nuova avventura. Ho iniziato scattando le modelle per i loro portfolios e poi a lavorare per delle riviste. Lavorare per i giornali e per i clienti in generale non è mai stata la mia priorità.
Il mio vero obiettivo è stato sempre quello di pubblicare dei libri. Il libro è qualcosa che resta per sempre; e sono stati proprio i libri la mia scuola di fotografia. Io ne ho pubblicati sei fino ad oggi: Silvereye (2002), Private Rooms (2005), Reflections (2007), Shades of a Woman (2010) Argentum (2013) e Eros (2018).
Silvereye è la testimonianza del mio grande amore per la scultura, per la danza e per le forme del corpo femminile. I nudi raccolti in questo libro sono scattati sullo sfondo di paesaggi: le spiagge vulcaniche di Big Island nelle Hawaii, le rocce di granito della Sardegna e le dune di sabbia nella Death Valley. In questo libro ci sono anche le mie prime foto “silver”; donne completamente coperte da un body painting metallico in pose dinamiche ispirate ai disegni di Auguste Rodin e alle sculture di Constantin Brâncuși.
Argentum raccoglierà poi, nel 2013, l’intera collezione Silver. I due progetti successivi, Private Rooms e Reflections, mostrano un lato totalmente diverso della donna e della mia fotografia. Le immagini raccolte in questi due libri non mostrano più solo dei “corpi e delle forme”, come nel mio primo progetto, ma delle vere e proprie “donne”.
Il volto diventa protagonista e accessori come tacchi a spillo, corsetti, calze e guanti contribuiscono a creare un immaginario più intimo e più sensuale. Con Shades of a Woman ho voluto iniziare a raccontare delle storie: una storia racchiusa in una sola immagine, una foto che potesse suggerire allo spettatore un “prima e un dopo”.
Per ogni spettatore una storia diversa, lasciata completamente alla sua immaginazione. Le immagini storytelling trovano il loro sviluppo maggiore nel mio ultimo progetto: Eros. Ogni immagine del libro è un dittico: due fotografie unite insieme, una donna e un paesaggio o uno still life. Ho impiegato mesi a mettere insieme le fotografie, spesso scattate in continenti diversi e in epoche della mia vita molto lontane fra loro.
Il mio nuovo progetto fotografico – che non è stato ancora pubblicato – è ancora in fase di editing ed è totalmente diverso da tutto ciò che ho fatto in passato. È un tentativo di avvicinamento alla pittura. Le mie ultime fotografie sono infatti molto più astratte: sfocate, mosse, scattate attraverso tessuti o vetri bagnati. Un tentativo di allontanarmi dalla troppa precisione della macchina fotografica.
Da tre anni sto lavorando a un progetto di film, un documentario sul mio lavoro.
È stato un lavoro impegnativo perché creato senza una sceneggiatura, come comporre un puzzle con immagini fisse e immagini in movimento: fotografie, backstage e interviste a modelle e proprietari di gallerie. Una sorta di volo fatto con un drone sopra tutto ciò che ho realizzato negli ultimi 35 anni.
Scrivere e comporre questo documentario mi è servito a capire come ogni scelta che ho fatto in questi anni ha dato forma alla mia vita. Perché sono sempre e solo le nostre scelte che determinano la nostra esistenza. Dirigere dei film è sempre stato il mio più grande desiderio insieme a quello di creare libri di fotografie, non a caso scelsi Los Angeles come destinazione negli USA e non New York.
Quello che ha rallentato il naturale passaggio dall’immagine fissa a quella in movimento è stato il dover collaborare con molte persone e il bisogno di denaro, che è imprescindibile per realizzare un film. Il mio lavoro è sempre stato “one man’s business”, salvo rare eccezioni ho sempre realizzato i miei lavori da solo: io con la mia macchina fotografica e una donna.
Il dover collaborare con una infinità di persone ha sempre “bloccato” questo mio naturale progresso dall’immagine fissa a quella in movimento. Questo film mi ha dato l’opportunità di ripercorrere la mia vita, pensare al perché delle scelte che ho fatto e raccontare, a me prima di tutto, e poi agli altri, il pensiero che è sempre stato alla base del mio lavoro. Ciò che è indispensabile per le mie fotografie è naturalmente indispensabile anche per questo ultimo lavoro: avere un pubblico.
Sono gli occhi dello spettatore, quelli di una persona che sfoglia un mio libro o che vede il mio lavoro sullo schermo di una tv, di un computer o di uno smartphone, che costituiscono l’elemento finale, l’ultimo atto creativo di ogni cosa che io ho fatto in passato e che farò in futuro. Senza lo sguardo di qualcuno ogni creazione artistica perde ogni valore. Il film mi ha fatto capire come la mia vita sia stata sempre una rincorsa verso la bellezza.
La bellezza, come dico nel mio film, non è qualcosa che esiste per sé stessa, non è la qualità di un oggetto, di una persona o di un fiore, ma è l’effetto che queste cose straordinarie hanno su di noi.
La bellezza è dappertutto se hai la sensibilità per vederla e “sentirla”. Questa sensibilità è preziosa, ma è per me al tempo stesso una condanna; perché all’estremo comporta la volontà di voler “fermare, congelare” ogni cosa bella che i miei occhi incontrano.
Non poter “fermare” tutta la bellezza che mi circonda, per poterla poi regalare ad altri attraverso una foto o attraverso un film, crea in me una sofferenza continua. La sensibilità e la cultura nei riguardi della bellezza e nei riguardi della donna cambiano a seconda del Paese, della cultura e del momento storico. Pensiamo a come la bellezza femminile è stata percepita negli anni e nei secoli e a come la donna è vista nei diversi paesi oggi: in Europa, in Giappone, a Cuba o in Brasile.
Ho viaggiato molto in questi anni e posso confermare che le differenze sono davvero molto grandi. Viaggiare e vivere in Paesi diversi mi ha aiutato ad avere una visione più ampia e meno provinciale di ogni cosa. Ho un grande rimpianto, quello di non aver partecipato agli anni migliori della fotografia, in particolare della fotografia di moda.
La fotografia di moda dagli anni Cinquanta agli anni Novanta è stata straordinaria. Oggi i giornali e le riviste non hanno più lo stesso valore di un tempo; penso al Vogue Italia di Franca Sozzani e al Vogue France dove pubblicavano ogni mese le loro foto Helmut Newton e Guy Bourdin.
Oggi, purtroppo, la carta stampata è obsoleta e perfino i libri che io ho sempre considerato come obiettivo finale del mio lavoro non si vendono più come un tempo. Ho imparato la fotografia guardando i libri dei grandi fotografi venuti prima di me – Richard Avedon, Irving Penn, Helmut Newton, Guy Bourdin – e ho voluto realizzare dei libri per regalare ad altri le emozioni che i fotografi che mi hanno preceduto hanno regalato a me.
Fare un libro richiede un grande coraggio; una volta che è stato stampato il libro, non si può più tornare indietro. Il progetto è completato e rimarrà per sempre così senza possibilità di fare cambiamenti o correzioni.
Sulle pagine stampate e rilegate dei miei libri c’è la mia visione della donna e della fotografia in quel momento della mia vita: la scelta della composizione, della luce e dei colori è cambiata moltissimo negli anni e ogni libro rimane una testimonianza di un certo periodo storico. Internet e il digitale hanno cambiato radicalmente il modo in cui si fanno le fotografie e il modo in cui il pubblico le percepisce. Con l’intelligenza artificiale (AI) la rivoluzione è radicale.
La AI sta già invadendo ogni settore della nostra vita. Personalmente non sono contrario alla tecnologia, sia i computer che l’AI possono “supportare” in molti modi la nostra creatività; l’importante è saper usare questi strumenti e non diventarne schiavi.
Le idee, quelle geniali, possono solo venire dagli esseri umani.
Text & photos courtesy of ©Guido Argentini
*Guido Argentini è un fotografo fiorentino di base a Rio de Janeiro dopo aver vissuto 30 anni a Los Angeles, dove i suoi più importanti progetti hanno preso forma. Fashion e beauty sono i temi principali della sua opera e la bellezza femminile al centro dell’obiettivo. Le sue foto sono state esposte nelle gallerie di tutto il mondo e apparse in alcune delle più celebri riviste, tra cui Vogue, Playboy o Marie Claire.