Il “Calcio Sociale” nasce come progetto socio-educativo del Centro di Accoglienza di Empoli, oggi direttamente gestito dalla cooperativa sociale Il Piccolo Principe. Nel 2023 ha festeggiato i dieci anni di attività.
«Hai già fatto tre gol, basta, ora gioca per la squadra.» Accanto all’ex mercato ortofrutticolo di Empoli, da qualche anno è stato costruito un campo da calcio in sintetico. Ci si allenano i giovani della Avane ASD 1948, lo affittano gli amici per le partitelle della sera, ogni tanto c’è qualche torneo. Il lunedì pomeriggio, però, questo campetto nel quartiere di Avane diventa il luogo dove il pallone prova a tornare un divertimento senza distinzioni. Ogni lunedì, dalle 15:00 alle 17:00 non è più calcio, o meglio, non è più solo calcio: è Calcio Sociale. Giocano ragazzi e ragazze di qualsiasi età, etnia, religione e quant’altro. Il calcio è solo un pretesto per superare i pregiudizi e le brutture di una società troppo arcigna.
Juri Stabile, empolese di Monterappoli e tifoso dell’Empoli, ha un passato da esterno sui campi da calcio della zona e adesso fa l’educatore. Braccia conserte, sempre sorridente, è al bordo del campo a guardare i suoi ragazzi. Se arriva un pallone lo stoppa, rigorosamente di sinistro, e lo ributta sul terreno di gioco, ma non smette mai di incitare. Nonostante il caldo, in panchina c’è solo lui, in borghese. Gli altri sono tutti dietro al pallone: c’è Alessandro, cresciuto lì ad Avane e conosciuto da tutto il quartiere e non solo, c’è Johnny, che in porta è un gatto, c’è Davide, che ormai è un rigorista infallibile, c’è qualche richiedente asilo, alcuni ragazzi hanno una disabilità, altri arrivano da realtà difficili e altri ancora, invece, vengono a giocare solo per giocare. Uno di loro è accompagnato dal papà, che in quel momento non è al lavoro, che si diverte a tirare due calci.
Sarebbe un campo da sette contro sette, ma ci giocano quasi in venti, a volte anche di più. Non è la tecnica a interessare Juri: «Da loro voglio una crescita morale e di fiducia, non tanto tattica e tecnica, non siamo allenatori. Per quello ci sono le polisportive. Se uno in due anni non impara a tirare un rigore, pace. Voglio che i miei non facciano cavolate, che crescano come persone».
Le regole sono semplici. Ogni calciatore può fare al massimo tre gol. Se una squadra è in vantaggio di quattro o più reti ed è in evidente difficoltà, si mischiano i giocatori. Non esiste la panchina, niente titolari o riserve. Non ci sono arbitri, ogni ragazzo deve assumersi la responsabilità di quello che fa, senza simulare o cercare di fare il furbo. Il calcio di rigore lo tira chi ha meno possibilità o chi ha più bisogno di tirarlo in quel momento, sia perché viene da un periodo nero sia perché è stato più in disparte. In ogni squadra c’è un educatore che si occupa della parte relazionale e un capitano, scelto tra i ragazzi. L’educatore ha il compito di tirare le fila, di far sentire tutti importanti.
Si sarà intuito che il Calcio Sociale è qualcosa di particolare. Ma, in definitiva, di cosa si tratta? La risposta la dà la scritta sulle casacche dei giocatori. Un sole, bianco e azzurro come l’Empoli F.C., con la didascalia “Calcio Sociale, tutti sono protagonisti”. Quando si dice che il calcio può abbattere le barriere spesso si incappa in frasi fatte e in manciate di retorica. Non ad Avane, non con il progetto portato avanti dal Centro Giovani e dal centro di accoglienza di Empoli gestito dalla Cooperativa Il Piccolo Principe.
Qui il calcio è davvero una livella sociale, racconta Stabile: «Quando si entra in campo si azzera quel che succede fuori. Non c’è più il ragazzo che ha una disabilità o quello che arriva con il macchinone, non c’è quello che ha problemi in famiglia così come quello che ha fatto la scuola calcio. Il calcio deve essere la molla per l’aggregazione, tutti devono giocare e sentirsi uniti».
L’obiettivo del progetto è, dunque, far crescere i ragazzi che altrimenti avrebbero difficoltà. Come si rende possibile? Attraverso l’inclusione e l’integrazione. Il fine è nobile e per niente facile. Juri, educatore da una vita e “folgorato” dall’obiezione di coscienza, sa bene che serve molto lavoro, ma si gode i frutti di anni di presenza sul territorio: «Siamo partiti da Avane, considerata il ghetto di Empoli. Andavamo a suonare i campanelli e a portare la gente a giocare in piazza. Volevamo andare contro i pregiudizi, anche se ancora oggi c’è chi ci bolla come calcio degli sfigati». I risultati ci sono: «Siamo passati da qualche rissa a gruppi di grandi amici.
La nostra vittoria è vederli che escono tutti assieme il sabato. La soddisfazione più grande è sentire i genitori quando dicono “mio figlio ora ha degli amici”». Il punto è proprio quello, Avane. Un quartiere che nella sua storia ha assunto una nomea probabilmente immeritata e che oggi sta cercando se non di gentrificarsi, almeno di mostrare miglioramenti. Anche grazie al lavoro del Calcio Sociale – o di personaggi come don Renzo Fanfani – gli abitanti di Avane prima e gli empolesi poi, sono riusciti a sentirsi parte di un tutto. Ma, attenzione: il Calcio Sociale non nasce a Empoli.
Era il 2012, in tv Dribbling mostrava le immagini del Corviale, il serpentone di Roma nato come progetto di architettura avveniristica e divenuto col tempo un quartiere dalla dubbia fama. «Vidi il servizio, parlava del pallone come strumento di unione» dice Stabile «e proposi l’idea di portare il progetto a Empoli. Caricammo un po’ di ragazzi su un pulmino e partimmo alla volta di Roma. Lo scambio coi romani fu proficuo perché noi importammo il piano calcistico, loro invece presero spunto dal nostro Centro Giovani per il doposcuola».
Come detto il lavoro degli educatori empolesi non è venuto fuori solamente lì, ma da tempo Stabile e i suoi collaboratori suonavano campanelli per portare i cittadini a vivere Avane: «Abbiamo rimesso a posto il pallaio e ora se ne occupano gli anziani. Abbiamo portato un campo da basket. Facevamo e facciamo feste e iniziative perché gli abitanti sentissero più loro quella zona, la rinascita del comitato di quartiere è un esempio concreto».
Il progetto prende il via ufficialmente nei primi mesi del 2013. Per riuscire nell’impresa di aggregare tutti, il pallone è l’asso nella manica: «C’erano dei ragazzi che non erano stati presi dalle scuole calcio, altri che avevano difficoltà mentali o a inserirsi con i loro coetanei. Abbiamo messo delle porte in piazza dei Cavalieri, distribuito le casacche, e da lì è partito tutto. Iniziavamo le partite in dieci, si avvicinava qualcuno che timidamente voleva iniziare a giocare e finivamo in trenta. Questa costante, questo agganciare continuamente nuove persone è stato bellissimo e lo facciamo tuttora».
Riccardo Maestrelli della Avane ASD 1948 è il propulsore. Offre al Centro Giovani lo spazio – il campo regolamentare di via Magolo – e anche spogliatoi e attrezzatura. Dal 2014 a oggi ne è passata di acqua sotto i ponti, si sono aggiunti anche il basket e il volley, è passato il Covid, ma tuttavia qualcosa può migliorare. Ne è testimonianza l’estensione del progetto alla frazione di Fontanella, dove le cose non sono andate benissimo: «Non abbiamo attecchito perché in molti non capiscono che si può giocare solo per il gusto di giocare, non per forza con il massimo dell’agonismo». Il fine principale del Calcio Sociale – l’inclusione – non è forse stato recepito da tutti. Nemmeno quando a giocare sono i migranti. Ogni anno tre o quattro richiedenti asilo si uniscono al gruppo di Avane per giocare a calcio. Alcuni di loro hanno stretto nuove amicizie in via Magolo e hanno partecipato a Mediterraneo siamo noi, una kermesse di Empoli dedicata alla multiculturalità, con partite miste.
I tempi moderni non vengono incontro a Stabile e al Centro Giovani. Domina la paura – se non l’odio – per il diverso, le etichette fioccano con facilità e anche il Calcio Sociale rischia di averne una: «Non vogliamo essere il calcio degli sfigati. Abbiamo migranti, giovani che arrivano da una “messa alla prova”, ragazzi con disabilità o che vengono da ambienti difficili, ma bisogna fare calcio con loro e non facendolo fare solo a loro. Combattiamo l’idea di ghetto. Il positivo prevaricherà, sono ottimista, ma c’è del lavoro da fare.
Come per tutti i pregiudizi, poi, basta venire a Avane e accorgersi che la realtà dei fatti è ben diversa». Mentre i ragazzi giocano sul campo, ad esempio, succede che un giovane, con problemi mentali, prende palla e salta tutti per andare a fare gol. La difesa lo lascia passare, ma Juri non è troppo d’accordo. «Bisogna stare attenti a non fare diventare il tutto una falsità. Il campo da gioco deve essere una palestra di vita, non di pietismo. Dobbiamo cercare di far fare un gradino in più a tutti. Non siamo ruffiani».
A proposito di soddisfazioni, grazie alle amministrazioni comunali della zona o anche alle realtà sportive locali, il Calcio Sociale ha tagliato traguardi di spessore. I ragazzi, in un momento di pausa dalla partita, ricordano volentieri quando salirono sul palco per il “Premio Albano Aramini – Una città per lo sport” 2015, ricevuto dal sindaco di Empoli, Brenda Barnini. Parlano degli incontri con l’ANED per il “Viaggio della memoria” o, ultima ma non per importanza, tirano fuori la giornata allo stadio Castellani. L’Empoli guidato da Marco Giampaolo nella stagione 2015/16 veleggiava a metà classifica di Serie A, i giovani del Calcio sociale incontrarono gli idoli “azzurri” e scambiarono il pallone con Massimo Maccarone, Daniele Croce, Leandro Paredes e compagnia bella. «Penso sia una delle cose più belle che abbiamo fatto. Portare tutti a fare “il torello” con dei giocatori di Serie A è qualcosa che rimane» commenta Juri, mostrando alcuni ritagli di giornale che custodisce gelosamente nel suo ufficio.
Quando la partita ad Avane finisce, Juri Stabile fa i complimenti ai suoi giocatori, senza parlare del risultato. Si vede che è contento e si nota che per questi ragazzi vorrebbe ancora di più: «Se siamo riusciti negli anni ad avere uno spazio fisico con più ore, collaborare con scuole e realtà del Terzo settore, fare anche la partita “extra-campo” come al Corviale, essere invitati per un intervento alla Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Roma Foro Italico, partecipare al progetto europeo Erasmus Cross per la formazione di nuovi Calcio Sociale, allora siamo cresciuti in tutto e per tutto. Ma l’obiettivo principale rimane comunque intatto, il progetto deve restare aperto a tutti».
Foto © Francesco Sani