La giornalista Irene Machetti ha intervistato per noi Clara Woods, giovane artista che a soli tredici anni ci insegna il vero significato di libertà, inclusione e tenacia.
Clara Woods, appena tredicenne, ha intrapreso già da qualche anno un percorso d’artista per poter comunicare i suoi stati d’animo con il mondo esterno. La bambina, infatti, a causa di un ictus prenatale, non può parlare e ha difficoltà motorie. Questo, però, non ha impedito né a lei, né alla sua famiglia, di scoraggiarsi. Sfidando le previsioni dei medici, che avevano annunciato per lei una vita da vegetale, Clara ora, fra le altre cose, dipinge senza sosta quadri che emanano un’incredibile gioia di vivere e lanciano un forte messaggio d’inclusione e di forza. Sebbene la sua storia sia ormai virale, pochi degli articoli scritti su di lei hanno avuto l’occasione di intervistare Clara in prima persona. Alle prime domande di quest’intervista, invece, risponde proprio lei che, con l’aiuto di mamma Betina, papà Carlo, e soprattutto del fratellino Davi, riesce a comunicare tramite gesti ed espressioni facciali le sue risposte. Clara ha inoltre creato due nuove opere apposta per quest’intervista, sempre come risposta alle mie domande.
Ciao Clara, come stai?
Bene! [Clara mi lancia un sorriso a trentasei denti. Il fratello intanto le chiede nuovamente come sta, distinguendo ‘bene’ col dito pollice, e ‘male’ con pollice e indice. Clara alza il primo dito.]
Com’è nata la tua passione per la pittura? Come hai capito che sarebbe stata la tua via per comunicare i tuoi pensieri?
È un modo per esprimere le mie emozioni. Quando dipingo sento qualcosa che viene da dentro. [Qui Clara è aiutata da Betina, che le fa una serie di domande alle quali lei fa intendere se è d’accordo o meno.] Mi dà anche più energia [aggiunge Clara insieme al papà].
Cosa provi quando dipingi?
Libertà. [La mamma le chiede poi se sia felice quando dipinge, al che Clara risponde un sì un po’ titubante e subito dopo aggiunge che non è sempre così.] Non è sempre facile!
Ti è più facile esprimere rabbia o gioia mentre crei i tuoi quadri?
Tutte e due. [Per Clara è tutto o niente, aggiunge suo padre].
Per te la pittura è un’occasione per stare in solitudine e riflettere, o è più un evento sociale e di condivisione?
Solitudine? Ma sei matta? Condivisione, ovvio!
A cosa pensi ora? Qual è il tuo sogno?
Fare una mostra a New York. Voglio anche avere tre bambini [Clara mi fa il gesto di un pancione, e poi mi mostra il numero tre con la mano]. Magari una casa grande, in Italia.
Come vedi il tuo sviluppo artistico?
Vorrei provare a dipingere quadri di formato più grande
Betina, passiamo a te. Mi racconti la storia di Clara?
Clara ha avuto un ictus quando era ancora nella mia pancia. Io non ne sapevo nulla e alla nascita nessuno si era accorto di niente. Poi, col tempo, ci siamo accorti che Clara aveva la mano destra sempre chiusa e che non gattonava bene, allora abbiamo iniziato a preoccuparci. Io ero da poco arrivata in Italia [Betina viene dal Brasile] e i dottori mi trattavano da extracomunitaria, è brutto dirlo, ma è così. I medici mi dicevano di non preoccuparmi perché ogni bambino ha i suoi tempi. Una delle figlie del primo matrimonio di Carlo, però, ha un’atrofia muscolare, una malattia degenerativa. In famiglia abbiamo iniziato a preoccuparci che Clara potesse avere la stessa cosa, ma era difficile parlarne. Io, peraltro, sono stata molto ingenua e non ho fatto gran parte degli accertamenti di routine. Ero così giovane!
Quanti anni avevi?
Avevo 23 anni e mi ero appena sposata. Non capivo l’importanza di questi esami e mi ero detta «quel che viene, viene». Il primo che poi feci fu per accertarmi che Clara non avesse ereditato il gene dell’atrofia. Ho aspettato tre settimane per il risultato e sono forse state le settimane peggiori di sempre! Alla fine gli esami risultarono negativi. Quando capimmo che Clara non era affetta da questa malattia, provammo a fare una risonanza ma tutti continuavano a ripeterci che non era nulla di serio perché, in fin dei conti, stava bene. Dopo qualche tempo i medici mi chiamarono di nuovo dicendomi che la situazione era molto grave e che Clara sarebbe stata condannata a una vita da vegetale. Mi dissero di aver trovato una brutta malformazione, probabilmente dovuta a un ictus, e che non ci sarebbe stata alcuna speranza.
Voi però non gli avete dato retta e non vi siete persi d’animo…
No, al contrario, abbiamo iniziato subito la riabilitazione. Carlo è sempre stato molto bravo a spingere Clara oltre i suoi limiti, a dire “sì” quando tutti dicevano “no”. Io in generale ho un po’ più di paura. Clara ha sempre avuto una gran voglia di vivere, fin da bambina. All’asilo nido era l’unica che non piangeva. L’unica! Questo ti fa capire la sua gioia di vivere. Clara non poteva camminare a quel tempo e per muoversi doveva usare una macchinina. Ha iniziato a camminare a tre anni, quasi miracolosamente.
Come ha imparato?
È stata una cosa abbastanza inaspettata. All’inizio camminava solo tenendo per mano qualcuno, ma appena la lasciavi cadeva subito. Poi, un giorno, mio padre è andato a prenderla al nido e le maestre lo hanno chiamato perché andasse a vedere cos’era successo: Clara stava camminando da sola. Quindi è successo un po’ tutto per caso. Una volta tornata a casa, parlandone, lei ha indicato il cielo, come a voler dire che era un segno di Dio. Già molte volte, e in diversi aspetti della vita, sono successe queste cose un po’ imprevedibili, dove Clara esprime, magari anche subconsciamente, il desiderio di creare qualcosa e poi inizia a farla senza che ci siano degli spunti precisi prima. A volte non ce lo spieghiamo da dove arrivino i suoi gesti, ma ha una forza di volontà incredibile.
Come comunicate con Clara?
Clara è molto comunicativa. Abbiamo provato vari software ma per lei sono troppo complicati. Non riesce a gestire bene la mano destra e qualsiasi apparecchio le risulta molto difficile da manovrare. Immagina solo di dover aprire e chiudere un tablet per poter parlare – prima di riuscirci ha già perso la pazienza! Abbiamo quindi sviluppato un nostro linguaggio. All’inizio abbiamo anche provato a studiare la lingua dei segni ma è difficile, è una lingua vera e propria, non è universale, è un mondo a sé.
E con gli amici come si esprime?
È stato difficoltoso, soprattutto nel suo ultimo anno alle medie, e continua a esserlo tuttora. Comunicare richiede, ovviamente, pazienza e non abbiamo visto nessuna apertura da parte dei suoi coetanei. Le persone devono capire le difficoltà che Clara riscontra nel dialogare, ma se non lo fanno, non può esserci uno scambio. Clara non è sola, però ha più che altro amici adulti, perché questi hanno più pazienza.
In qualche modo mi ero illusa che Clara, trasmettendo un esempio di forza, fosse accolta con più solidarietà…
Sì, lo so, lei è piena di energia ma i ragazzini davvero non hanno pazienza. Con i telefonini di adesso poi, ancora meno. Quindi i suoi rapporti sono principalmente con persone più grandi. I genitori dovrebbero spingere i figli ad andare al di là, a provare a capire e a interagire, ma forse non c’è questa forza di volontà. In questi anni abbiamo, ahimè, capito com’è fatto il mondo. Ogni tanto, ovvio, Clara ci rimane male, piange, dice che vorrebbe conoscere più suoi coetanei. Noi proviamo a consolarla, ma come si fa? Io come mamma a volte non so cosa dirle.
[A questo punto Davi, il fratellino di Clara, prende in mano il telefono e inizia a dirmi con fermezza che non c’è nulla da vergognarsi nel piangere o nel non avere molti amici. «Anche a me è successo lo stesso» racconta. «Anche a me hanno voltato tutti le spalle, molti hanno smesso di scrivermi e contattarmi quando hanno scoperto che volevamo andare negli USA.»].
Magari con Clara possiamo fare la differenza, io mi auguro questo. Noi vogliamo aprire porte, far capire ai bambini che ci sono altre strade. Certo, ci rendiamo conto di essere una famiglia multiculturale e aperta e per questo vogliamo essere un esempio positivo. Vogliamo che chi ci guarda dica «va bene, anche se mia figlio ha delle difficoltà, di qualsiasi genere e natura, possiamo farcela».
Com’è cambiata la tua vita nel percorso con Clara?
Oh, è cambiato tutto! Quando ho deciso di seguirla gestivo un’azienda ben avviata nel settore medico. Avevo 13 dipendenti e l’anno prima di abbandonare avevamo avuto il miglior fatturato di sempre. Ho deciso di vendere e lasciare tutto per seguire Clara. All’inizio lavoravo quasi tutto il giorno per poter gestire contemporaneamente azienda e famiglia, ma non era sostenibile. Con mio marito, allora, ci siamo persuasi di cambiare vita, soprattutto per poter dare il 100% a nostra figlia.
Lo chiedo anche a te, come è nata la passione di Clara per la pittura?
Clara è sempre stata molto indipendente, per quanto possibile. È sempre andata a scuola, dove necessita solo di un sostegno. Quando aveva sei anni, Carlo ha conosciuto un’insegnante privata di pittura e ha pensato che sarebbe stata una buona idea iscriverla a uno dei suoi corsi. Tutto ebbe inizio lì, più o meno.
Perché più o meno?
All’inizio Clara frequentava le lezioni senza troppa voglia. Non aveva uno scopo preciso, si capiva che dipingere non era esattamente il suo sogno. Pitturava un po’ per riempire il tempo, per fare qualcosa, ma nulla di più. Infatti lei stessa, poco dopo, ha chiesto di smettere perché voleva provare a fare uno sport. Abbiamo tentato di assecondare i suoi desideri ma trovare un’attività motoria che potesse svolgere senza problemi è stato a dir poco impossibile. Clara ha una funzionalità molto ridotta al lato destro del corpo, e anche la parte sinistra ha difficoltà a eseguire certi gesti e sforzi.
Come ha reagito Clara?
Le è dispiaciuto, anche perché ha sperimentato molti sport: scherma, basket in carrozzina, nuoto. Per fortuna, è sempre stata molto positiva. Quando una cosa non va, magari si fa un pianto, però poi si tira sù e accetta le cose per come stanno. È molto perseverante, quando vuole una cosa fa di tutto per ottenerla, ma se capisce che davvero non la può avere si adatta alla realtà.
Dopo quest’avventura con lo sport Clara è tornata alla pittura: com’è successo?
Sì, tra il 2015 e il 2016 Clara ha ricominciato a dipingere. In principio, la sua relazione con l’arte era abbastanza turbolenta e per nulla serena. Distruggeva tutti i quadri che creava, oppure li ricopriva di densi strati di pittura nera.
Credi che non fosse pronta? È stata sua l’iniziativa di provare nuovamente a dipingere?
Abbiamo preso questa decisione insieme, in famiglia. Dopo aver visto che con gli sport non aveva funzionato, le abbiamo chiesto perché non riprovasse con la pittura. Io ero molto vicina alla sua maestra d’arte e ne abbiamo discusso anche con lei. Alla fine Clara è tornata a prendere il pennello in mano. Pian piano i colori e le forme sono iniziate a venire fuori. Non le nascondeva più sotto mani di nero! La cosa più importante è che lei tornava a casa dalle lezioni molto rilassata e tranquilla. Si vedeva che avevano un effetto estremamente positivo su di lei.
Come sono i suoi dipinti ora?
Sono partiti da forme molto basiche, ma si sono evoluti velocemente, dando vita a composizioni più complesse. Tutti quelli che le sono vicini hanno visto crescere i quadri, le forme, i colori. Clara ha un bell’occhio. Per di più, non vuole che nessuno interferisca quando dipinge.
A casa riesce a dipingere da sola?
Proprio da sola non riesce, perché non può gestire le vernici, gli attrezzi, e tutto il resto. Però non ci permette assolutamente di dirle che colori usare, come sistemare gli oggetti e le persone, che composizioni formali seguire… In principio mi risultava davvero difficile non interferire con le sue scelte, perché volevo sempre dire la mia. Mi veniva quasi automatico darle consigli! Le dicevo: «Clara, non si usano arancione e fucsia insieme!». Lei, però, non mi ascoltava; mi rispondeva che non le importava di queste formalità e che era molto soddisfatta del risultato finale. Usava colori che nella mia testa non si sarebbero mai abbinati, con una leggerezza bellissima. Quando poi li vedevo sulla tela non potevo che darle ragione. Clara ha davvero una grande sensibilità cromatica.
Clara si ispira a qualche pittrice o pittore?
Io cerco sempre di presentarle nuovi artisti. All’inizio le raccontavo di quelli che ho nel cuore: Paul Klee, Basquiat… Le presentavo la loro storia, le mostravo le opere per fargliele digerire. Poi ho cercato di ampliare gli orizzonti e introdurla alla vita e ai lavori di altri artisti/e, contemporanei e non. Ma al livello di pittura abbiamo imparato che lei fa il suo e non c’è nulla che possiamo dire, solo quando prende parte a lezioni o a laboratori si lascia guidare.
In passato mi hai raccontato della passione di Clara per Frida Kahlo…
Oh sì, la adora. Mi ricordo che un giorno le regalai un libro di Frida Kahlo, uno di quelli per bambini che contengono immagini e la storia dell’artista. Clara se ne innamorò subito – baciava il libro, se lo portava sotto braccio ovunque andasse. Sarà anche per le affinità che hanno, per le sofferenze simili e i traumi fisici a cui sono state entrambe sottoposte. Un giorno, Clara vide una foto di Frida a New York mentre presentava una sua mostra. Mi chiese subito di fare una mostra nella stessa città. Da quel giorno, mia figlia non ha mai smesso di domandarmi di organizzare una mostra a NYC – è un suo grande desiderio.
Qual è stata la prima mostra di Clara? Chi l’ha organizzata?
Il giorno dopo aver visto la foto di Frida a New York, Clara è andata in una pasticceria a Campi Bisenzio di cui conosceva il proprietario. Qui, periodicamente, venivano organizzate mostre ed esposizioni. Di sua iniziativa Clara entrò e chiese di poter fare una sua mostra. Il proprietario accettò di buon grado e così ci mettemmo ad appendere le sue opere nelle sale.
Quanti anni aveva Clara?
Aveva 12 anni.
In che modo la aiutavi al tempo?
Già da prima della mostra io credevo che lei sarebbe potuta diventare un’ottima ispirazione per altre persone. Ho sempre lavorato con il marketing e i social media e pensavo che mia figlia potesse essere una digital influencer. È sempre così sorridente, ed è bella. Un giorno, decisi di aprirle un account Instagram, dove poter condividere la sua energia. Volevo che, in un modo o nell’altro, avesse un futuro assicurato. Perché, sai, la disabilità, più vai avanti e più diventa brutale. Alla notizia della mostra, ho iniziato a lavorare più metodicamente con un ufficio stampa e sono riuscita a ottenere un articolo sul Corriere. Da lì è stata una escalation. Radio Deejay l’ha invitata come ospite e Clara era fuori di sé dalla gioia! Questo fu un passaggio molto importante perché aiutò Clara, e la sua storia, a diventare virale. Lei si era innamorata di Linus e Savino. Pensa che gli aveva persino fatto un ritratto che gli abbiamo consegnato di persona. È stato davvero emozionante.
Come hanno reagito a Radio Deejay?
Bene! Hanno subito appeso il quadro nello studio.
È stato un percorso pieno di ostacoli per te e Clara o, generalmente, avete trovato supporto?
Un po’ entrambi. Clara, ad esempio, è stata aggiunta alla lista Forbes delle 50 persone che in Italia hanno apportato un impatto positivo grazie a Facebook, che è un bel traguardo. Però di ostacoli ce ne sono, e ce ne sono stati, davvero tanti. Molte persone mi hanno ormai etichettata come «la mamma della disabile che vuole fare qualcosa, che vuole essere qualcuno». Altri commenti che continuo a sentire sono «ah, ecco i quadri della disabile», il che è davvero brutto.
Però Clara ha un seguito enorme sui social e sta riscuotendo un gran successo…
Esatto. Per me è importante che lei possa avere un futuro solido. Così, quando alla prima mostra vendemmo tutti i quadri, contattai subito un giudice per aprire una partita iva, così da garantire un valore artistico alle sue opere. La gente può credere in lei o meno, può sostenere o no i suoi progetti, però intanto Clara potrà avere un percorso come quello di qualunque altro artista.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Io sogno alto, con lei. Vogliamo andare a New York. Passo per passo, stiamo costruendo il cammino che ci porti lì; che possa far arrivare Clara a realizzare i suoi sogni. Spesso, quando dico a voce alta qualcuna delle mie idee, la gente mi guarda male e dice «questa qui è di fuori» [ride, ndr].
Solo il fatto che Clara abbia avuto una crescita così stabile e sia andata contro le aspettative mediche credo ti dia motivo di continuare a essere sempre più ambiziosa…
Esatto. E poi, chi si sarebbe mai aspettato di andare a Radio Deejay? La mostra a New York ancora non c’è stata ma Clara è già stata invitata a presentare le sue opere a Miami, alla prestigiosa Art Basel, a Kobe e in moltissime città d’Italia. I suoi quadri sono stati venduti in giro per gli Stati Uniti, in Giordania, a Dubai… Io so che prima o poi questa mostra così anelata avverrà!
Quali sono i canali principali attraverso cui le persone comprano le opere di Clara?
I social media fanno tanto. Abbiamo anche un sito dove le sue opere sono in vendita. È da poco uscito un nuovo catalogo che sto mandando in giro cercando di ampliare il suo pubblico.
Immagino che il tuo ruolo, tra mamma e manager, sia vitale per Clara.
Io la motivo sempre molto, le dico continuamente che esiste un modo per fare le cose, che ci si può riuscire. Le sto insegnando a non fermarsi, mai. Nessuno vuole che finisca in un istituto, ma che, al contrario, abbia una sua indipendenza. Noi ci auguriamo che possa un giorno vivere fuori dal nucleo famigliare. Però, allo stesso tempo, mi voglio assicurare che lei continui con il suo percorso artistico solo fino a quando se la sente. Anche con la psicologa la incitiamo a trovare la sua strada, a capire che deve costruirsi qualcosa con cui poter vivere. In un certo senso, le voglio anche far capire che non potrà continuare a fare una vita agevolata per sempre a causa della sua disabilità. Prima o poi io e suo padre non potremmo più aiutarla, e lei deve essere pronta. Forse la pittura non sarà abbastanza. Lei per ora mi risponde sempre che vuole continuare. Però almeno è consapevole che potrà fare anche cose diverse, se lo vorrà. Noi la supporteremo sempre.
L’esempio di Clara ha dato vita a nuove iniziative?
Molte! Clara ha un progetto con Lavinia Costantino [attrice di teatro che spesso usa la sua arte come terapia per supportare persone in situazione di fragilità]. Insieme, hanno creato uno spettacolo di storytelling che racconta la vita di Clara, accompagnata dai suoi dipinti, ne abbiamo già fatte 7/8 repliche.
[Davi, dall’altro capo del telefono, urla quanto sia emozionante vedere la storia di Clara sul palco. «Anche se è mia sorella, io piango sempre. Però è una storia importante, che ispira molte persone.»]
La storia è una vera e propria narrazione sull’inclusione. È stata Lavinia a scoprire Clara e volerla come esempio di energia e forza di volontà. Clara ha un problema, ma chi di noi non ne ha? Eppure noi non veniamo screditati così facilmente. È molto importante promuovere questo messaggio sulle “diversità”, creando, piuttosto, un’inclusione.
[Davi prende di nuovo in mano la conversazione e mi racconta, contentissimo, di quando a uno degli spettacoli una bimba si è messa a piangere: «Era in lacrime!». Betina aggiunge: «Questa bambina di dieci anni piangeva proprio dal profondo del cuore e abbracciava Clara. È stato davvero toccante perchè ci siamo detti «se ho cambiato una vita, allora quello che stiamo facendo ha un senso».]
Per di più, molte persone sui social scrivono a Clara che sono tornate a dipingere grazie a lei. C’è molta gratitudine. Spesso andiamo anche a fare dei workshop, dove tocchiamo il tema dell’inclusione. Vorremmo portare il progetto di Lavinia, Parole Dipinte nelle scuole, ma in Italia è molto difficile. C’è una burocrazia incredibile. Prima di ottenere le autorizzazioni bisogna chiedere il permesso a un migliaio di persone. Mancano i fondi, non ci sono gli spazi, i tempi sono troppo lunghi…
Avete provato a proporlo ad altri paesi?
Sì, sono già in contatto con delle scuole in Portogallo. Sto provando a trovare delle collaborazioni anche su Londra e negli Stati Uniti. L’idea per il 2020 è fare molte tournée. Sto finendo di mettere a punto il sito proprio ora.
Noi di FUL intanto vi aspettiamo mercoledì 5 al Conventino Letterario dove, con Clara, abbiamo organizzato l’apertura della sua mostra “Firenze Mia” e la presentazione del 41 ° numero del nostro cartaceo. Qui maggiori info
Articolo a cura di Irene Machetti