Perché in Toscana l’Epifania è conosciuta come “il giorno della Befana”

Befana

Il vero segnale della fine delle feste non è tanto il panettone scontatissimo al supermercato, la bilancia che vi sta disconoscendo come suoi proprietari o i parenti che, magicamente, tornano ai rispettivi ovili mentre il rientro a lavoro inizia a palesarsi sempre più chiaramente.

No: il vero segnale è la Befana, o Epifania per i puristi, che “tutte le feste porta via”, armi e bagagli inclusi.

Dicesi “Befana” una donna in non più tenera età, non esattamente avvenente che elargisce doni e dolci ai bambini buoni e carbone a quelli cattivi o, nel dubbio, un po’ di entrambi a tutti e chi s’accontenta gode.

Una sorta di ‘strega buona’ che la tradizione folkloristica collega a antichi riti pagani legati all’agricoltura in quanto, nonostante il suo aspetto ben poco affascinante, resta comunque una figura positiva. Il nome deriva dal greco ἐπιφάνεια (epifáneia), a sua volta derivato da ἐπιφαίνω = mostrarsi, presentarsi che, attraverso un processo di “corruzione lessicale”, con il tempo è diventato: bifanìa, befanìa, e infine befana, nome con cui è generalmente conosciuta, specialmente in Toscana. Uno dei suoi attributi iconografici più distintivi è senza dubbio la scopa, a cavallo della quale, come ogni strega a modo, vola di casa in casa depositando calze e regali. Scopa, ramazza o, come diciamo qui a Firenze, “grenata”.  

Niente ordigni esplosivi (a meno che non vi piova in testa o altre parti del corpo a seguito di ire funeste o incidenti domestici non meglio identificati), da noi la “grenata” è ciò che si usa per pulire per terra, oppure appunto ciò che cavalcano streghe, fattucchiere e Befane di turno. Il termine è riconducibile al grano o al sorgo (la ‘saggina’), ovvero agli steli delle graminaceee con cui anticamente si facevano le scope. Si tratta di un toscanismo e, in altre regioni, chiedere una ‘granata’ potrebbe essere un po’ fuorviante.

Allo stesso modo però, in contesti più metaforici, perfino il termine ‘scopa’ (o il verbo da esso derivato) può avere accezioni meno ‘chiare’… Non mi sto riferendo solo al gioco a carte (in cui chi fa scopa, ‘pulisce’ letteralmente il banco da tutte le carte) ma al connubio amoroso, in quanto tale aggroviglio di membra richiede movimenti ritmici, incessanti e ripetuti ‘simili’ a quelli delle pulizie del pavimento (con gradi di soddisfazione auspicabilmente diversi).

Inoltre, ci sarebbe un forte collegamento con l’organo femminile inteso come cavità da ‘pulire’ con uno strumento adeguato e, se tutto ciò vi sembra di dubbio gusto, pare che già scrittori greci come Saffo e Anacreonte usassero questo verbo con un’accezione a dir poco ambigua e lirica, fino ad arrivare al XV e XVI secolo, in cui i canti carnascialeschi toscani, ne decretarono il successo e la diffusione anche fuori dal territorio regionale.

Insomma attenzione al contesto, geografico e non solo: se le parole sono quelle, i significati cambiano e, a sbagliare, c’è il rischio che ritrovarsi la calza piena di carbone sia solo il male minore…

Rita Barbieri