Se pensiamo alla vicinanza e ai rapporti umani, subito nel nostro cervello di viaggiatori, compaiono le centinaia di abbracci e baci riempiti di addii, arrivederci e bentornati ai quali abbiamo assistito durante i viaggi.
Siamo fatti di sentimenti, chi più e chi meno, e sebbene tra milioni di romantici troviamo anche qualche Arpagone e Uncle Scrooge, la quasi totalità di noi, non disdegna una manifestazione d’affetto, che venga da un parente, un figlio, un amico o un amore.
In questo momento, tuttavia, la paura accompagna i nostri movimenti più semplici. Il terrore di diventare portatori sani, del virus, modifica il comportamento naturale, nella maggioranza di noi. Parliamo di maggioranza, perché bisogna comunque ricordare che ci sono anche gli audaci sostenitori dell’idea, che tutta questa storia sia una farsa. Queste persone, saranno pronte a prendersi il rischio di saltare quel metro e vivere la vita, ignorando quell’ombra di paura che si portano appresso, probabilmente per non restarne paralizzati.
Per tutti gli altri invece, i prossimi mesi saranno probabilmente una sofferenza, non fosse altro per la voglia di fare quello che per il momento ci viene consigliato di non fare… Avete mai provato a non pensare a un elefante dopo che vi hanno ordinato di non farlo? Impossibile.
Che cosa ci attende allora? Lo sforzo che ci viene richiesto è grande, viene da sorridere pensando alle braccia tese in maniera automatica con l’intento di stringere una mano, velocemente ritirate all’ultimo secondo, per evitare il contatto. Sorridiamo meno, pensando alla frustrazione di due amici che si incontrano e si trovano costretti a far evaporare un abbraccio in un semplice sorriso, con la bocca storta a esprimere la loro frustrazione.
Poeticamente parlando invece, un periodo che odora di epoche antiche, che porta gli stendardi dei Montecchi e dei Capuleti, quando l’amore era separato da un balcone. Quel desiderio di contatto, dal sapore di romanzo cavalleresco, con una punta teatrale alla Cyrano de Bergerac. Ci attende, infine, l’attesa del momento supremo, quel “Là ci darem la mano” del Don Giovanni di Mozart.
Il tempo passerà velocemente, come sempre, e settimana dopo settimana, come abbiam fatto per il periodo di confinamento, riusciremo a riempire quella distanza di un metro con piccoli escamotage. Il nostro cervello è un portento in questo, e ci accorgeremo lentamente che la paura del contatto, la paura dell’altro come portatore di un possibile male, andrà scomparendo.
No, non basterà chiedere “Ce l’hai? Ne hai sofferto?” e poi abbracciarsi credendo di essere al sicuro. Chi avrebbe mai il coraggio di rischiare la salute dei propri cari, soprattutto dei più anziani? Le cose tuttavia con il tempo miglioreranno, lo sappiamo già, perché alla fine in qualche modo, l’unione fa la forza e porta sempre alla vittoria. E, in cuor nostro, già sappiamo – questo ci da speranza – che la nostra società non può continuare mettendo in soffitta l’invenzione più bella che abbia mai generato, l’abbraccio.
Articolo di Claudio Simoncini
Illustrazione di Artiope