Tra le novità più significative del panorama indie rock italiano un posto di primo piano va riservato ai Flame Parade. Il nostro magazine ha incontrato la band per conoscere meglio la loro storia. Appuntamento live a Firenze alla Limonaia di Villa Strozzi venerdì 21 luglio, dove presenteranno il nuovo disco “Cannibal Dreams”.
Nati nel 2012 in un casale situato nelle campagne toscane, i Flame Parade rappresentano un esempio emblematico di sonorità innovative che si fondono con la musica folk. La produzione artistica della band toscana – composta da Marco Zampoli, Letizia Bonchi, Francesco Agozzino e Mattia Calosci – è ampia e, nel corso della sua evoluzione, esprime bene la capacità di viaggiare tra generi e influenze diversi tra loro. Proprio questa caratteristica è alla base della natura eterogenea delle pubblicazioni musicali del gruppo. Ripercorrendo brevemente quelle più rilevanti non possiamo non menzionare l’EP “Berlin”, pubblicato nel 2015, a cui fa seguito, un anno dopo, l’LP “A New Home”.
Successivamente, nel 2020, esce l’album “Cosmic Gathering” e, nel 2021, la band pubblica un nuovo EP intitolato “Echoes”. Nel 2023 esce Cannibal Dreams, l’ultimo album della band, che ha visto il contributo di musicisti quali Matilde Davoli, Roberto Dell’Era, Simone Prudenzano e Gigi Chord. È proprio quest’ultimo progetto, realizzato appunto in collaborazione con Matilde Davoli, a rappresentare il coronamento del processo di evoluzione artistico del gruppo, in discontinuità con i lavori precedenti.
Il genere dei Flame Parade è difficilmente riconducibile ad una categoria specifica e statica. Il gruppo esprime, mediante un costante gioco di sperimentazioni e innovazioni, uno stile che unisce il dream-pop con l’indie rock.
Il fatto che la band sia nata in un antico casale toscano è un dato curioso e singolare. Viene dunque spontaneo chiedervi maggiori dettagli sulla nascita dei Flame Parade.
Questo è un domandone. La nostra etichetta era Materiali Sonori, capitanata da Giampiero Bigazzi e Francesca Pieraccini. Proprio loro presero una casa colonica nel Valdarno, in un territorio che, geologicamente, somigliava molto al Grand Canyon.
Giampiero e Francesca vivevano lì negli anni ’80. Questo luogo però non era soltanto un semplice casale di campagna. Al contrario, proprio in quel periodo, fu anche teatro di una serie di concerti che vide la partecipazione di alcuni tra i principali esponenti della scena punk-new wave di quegli anni. Ad esempio, da lì ci son passati i New Order, dopo la morte di Ian Curtis. A questo proposito, la leggenda narra che il giardino di quel casale ospitò una memorabile partita di calcio tra Materiali Sonori e New Order, dove i secondi ne uscirono vittoriosi.
Si trattava di una casa rustica, priva di riscaldamento e comodità. Decidemmo di trasferirci lì: riempimmo il casale di pannelli e, da residenza estiva, divenne una sala prove a tutti gli effetti. Anche se priva di riscaldamento. Carenza, quest’ultima, che si rivelò essere un grosso problema poiché le stufette costavano molto e consumavano molta elettricità. Va aggiunto poi che c’era solo un cavo, che rappresentava la nostra unica fonte di energia.
Perché Flame Parade? Cosa c’è alla base di questo nome e quali motivazioni vi hanno spinto ad adottarlo?
Nella casa colonica era presente un grande camino e questo era per noi la nostra unica fonte di calore. Proprio questo elemento è all’origine del nome della band. A causa del freddo, infatti, suonavamo sempre davanti al camino o nelle stanze limitrofe. Fu la sua presenza che ci fece venire in mente l’idea di una fiamma.
A ciò si aggiunga che non eravamo i soli a vivere in quello spazio. C’erano sempre altre persone che contribuivano ad animare il casale. La natura plurale di quel luogo ci convinse ad adottare anche l’idea della “parata” nel nostro nome. La parata, in particolare, è un tratto significativo del nostro carattere. Noi quando suoniamo con qualcuno tendiamo sempre ad instaurare un legame duraturo. L’unione di questi rapporti dà vita ad una grande parata, fatta di relazioni e collaborazioni con musicisti di vario genere. Nel tempo questa qualità si è rivelata una strategia vincente, perché permette di creare rete ed essere inclusivi.
Siamo dei toscani ospitali, diciamo così. Dunque, l’unione tra il concetto del calore generato dal camino e l’idea della parata ha dato vita al nome Flame Parade.
A quali band vi sentite più legati? Quali hanno contribuito maggiormente ad influenzare il vostro stile?
Per fare un po’ di storia, dalla nascita del gruppo, ormai dieci anni fa, la prima band che ci ha portati alla formazione furono gli Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, gruppo californiano rock psichedelico. Questa è stata la band principale. Anche se ora il loro sound è distante dal nostro, rappresentano la prima ispirazione che unì i membri del nostro gruppo.
Come definireste il vostro genere musicale? Quanto è cambiato durante la vostra evoluzione?
Il tentativo è quello di avvicinarsi a quella scena che oggi prende il nome di dream-pop. Anche se nei nostri pezzi ci sono influenze tendenti al rock, in quanto è difficile che nel dream-pop ci siano elementi come le chitarre distorte. Noi cerchiamo di realizzare un’unione tra il dream-pop e lo shoegaze. L’ultimo disco lo abbiamo immaginato come il prodotto della convergenza di queste influenze. In altri termini, non c’è un genere prevalente.
Di certo ci siamo allontanati dal folk. La presenza del violino o degli archi è andata progressivamente a diminuire, pur essendo gli elementi che, in passato, ci caratterizzavano come sonorità. Questo, a nostro avviso, non vuol dire rinnegare il folk. Anzi, è venuto naturale aprirsi ad un’inedita sperimentazione. In ogni disco cerchiamo sempre di fare qualcosa di nuovo, di diverso, da quello precedente. Ogni disco ha un genere suo: il primo aveva sonorità maggiormente orientate al folk, il secondo tendeva verso l’indie-rock, ora invece abbiamo abbandonato la scena folk per addentrarci in una dimensione che magari ci appartiene un po’ di più.
Come è nato l’ultimo album?
Volevamo uscire dalla nostra zona di comfort. Avevamo pensato che la persona capace di guidarci in questo processo fosse Matilde Davoli, un’artista incredibile con cui abbiamo prodotto Cannibal Dreams. L’incontro con Matilde ha conferito a questo disco un contributo determinante e ha rappresentato per noi l’ingresso in questo nuovo genere.
Non si è trattato però di una vera e propria decisione. Non c’è stato un momento determinante.
I nostri ascolti sono cambiati. Il mondo stesso è cambiato. Il primo disco era folk perché vivevamo in una casa nel bosco. Il secondo era più orientato verso l’urban. Per quest’ultimo disco ci siamo chiesti “perché non ci lasciamo andare ancora di più”? L’evoluzione di questo progetto viaggia in parallelo con la nostra vita e con il flusso creativo che è avvenuto nella band.
Cosa avete in programma per il futuro?
Abbiamo intenzione di portare avanti un tour invernale per promuovere il disco. Di certo, in inverno, scriveremo nuovi brani, come abbiamo sempre fatto. In passato, la rivisitazione di alcuni brani dell’album precedente ci ha permesso di dare vita ad un EP. Difficile dire se ciò avverrà anche per questo disco. Una cosa è certa: siamo in continua evoluzione.
Foto band: ©Caterina Gaggi