FUL ha deciso di pubblicare una guida essenziale sulla storia del conflitto israelo-palestinese per districarsi sui drammatici eventi in corso in Medio Oriente.
Lo scorso 24 ottobre, il segretario generale dell’Onu, António Guterres, si è espresso alla riunione del Consiglio di sicurezza sulla crisi a Gaza ricordando che “gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto” e che “il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”.
La guerra tra Israele e Hamas va avanti da 24 giorni. Pur non essendo venute dal vuoto, come ha dichiarato Guterres, le azioni terroristiche di Hamas del 7 ottobre, con incursioni di migliaia di miliziani dal cielo e da terra, hanno colto di sorpresa lo Stato di Israele che si è mostrato totalmente impreparato ad una azione di tale portata. Ad oggi, il bilancio delle vittime israeliane è di almeno 1.400 morti. Stimati in 240 gli ostaggi detenuti da Hamas. Numeri che non hanno precedenti nella storia del Paese e che mettono totalmente in discussione la leadership del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Il premier, già indebolito dalle oltre 40 settimane di proteste popolari contro la riforma della giustizia che hanno preceduto l’inizio della guerra, porta ora la responsabilità di aver subito il più grave attacco al Paese dallo Yom Kippur del 1973. Non solo. Netanyahu verrà valutato anche per la scelta che prenderà rispetto all’operazione militare via terra nella Striscia e alla negoziazione, o meno, degli ostaggi. Se la prima è stata più volte posticipata e avviata solo in forma preparatoria, con incursioni notturne di carri armati e l’intensificazione dei bombardamenti, la questione degli ostaggi resta prioritaria e di massima urgenza nel dibattito interno ad Israele.
L’opinione pubblica chiede da giorni il rilascio immediato degli ostaggi a qualsiasi costo, anche qualora significasse la liberazione delle migliaia di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, come richiesto dal leader politico di Hamas Ismail Haniyeh.
Gaza: come una prigione a cielo aperto.
Il “sabato nero” di Israele ha fatto venir meno alcune certezze fondamentali, come quella dell’infallibilità del sistema di sicurezza israeliano ma anche della sua democraticità. Più di 8.300 palestinesi sono stati uccisi in 24 giorni di guerra a Gaza. Oltre 3.300 sono bambini (agenzia Wafa). Il desiderio di vendetta ha prevalso sulla lucidità e si è fatto obiettivo di guerra, anche con l’approvazione di molti leader occidentali.
L’assedio totale di Gaza, dichiarato il 9 ottobre da Netanyahu, si inserisce in una situazione già invivibile e drammatica. Da 16 anni la Striscia è sotto embargo di aria, terra e mare imposto da Israele per controllare e ridurre i beni (come medicine, acqua e materiali edili) – e le persone – in ingresso e uscita dalla Striscia principalmente attraverso il valico di Rafah con l’Egitto. L’embargo pone un limite importante anche ad una delle principali attività economiche per qualsiasi zona costiera: la pesca, consentita solo entro 12 miglia nautiche dalla costa sud, ridotte a 6 a nord di Gaza (dati UN-OCHA).
La Striscia è un territorio che si estende su una superficie di circa 360 chilometri quadrati in cui abitano più di due milioni di palestinesi, oltre il 70% dei quali ha lo status di rifugiato (dati UNRWA). Questo dato ricorda che la maggior parte della popolazione che vive a Gaza discende dai palestinesi della Nakba – la catastrofe- da coloro cioè che già persero tutto durante la guerra del 1948, e trovarono rifugio a Gaza, all’epoca caratterizzata da un porto vivo e fiorente.
Oggi, vista l’altissima densità demografica e il poco spazio a disposizione, Gaza cresce verso l’alto con palazzine di decine di piani difficili da evacuare durante i bombardamenti e attaccate tra loro; se crolla una, si porta con sé tutto il resto. L’età media degli abitanti della Striscia è di 18 anni e quasi il 40% della popolazione ha tra zero e 14 anni. Il che spiega l’altissimo numero di bambini uccisi dalle operazioni militari israeliane nella Striscia.
Già prima del 7 ottobre, il 96% dell’acqua non poteva essere destinato al consumo umano: veniva principalmente trattata con l’impianto di desalinizzazione – che necessita di carburante per funzionare – o introdotta dal valico con l’Egitto. Prima del 7 ottobre, da Rafah entravano circa 500 camion di aiuti umanitari al giorno. Dal 7 al 29 ottobre, ne sono entrati 118 (dati UN-OCHA).
L’assedio totale imposto da Netanyahu ha determinato la chiusura del valico di Rafah, impedendo il transito di acqua, cibo, elettricità e carburante. L’unica centrale elettrica di Gaza è stata chiusa il 14 ottobre per mancanza di carburante di cui Israele vieta l’ingresso ritenendo che Hamas possa appropriarsene per uso militare; gli ospedali di Gaza ne hanno urgente bisogno per mantenere in funzione i generatori, che in assenza di elettricità, permettono ai macchinari di restare in funzione.
Dopo l’ordine di evacuazione del 13 ottobre, con cui le Forze di difesa israeliane hanno chiesto a 1.1 milione di palestinesi di evacuare il nord della Striscia, il numero di sfollati interni è di oltre 700 mila persone. E i bombardamenti non hanno risparmiato il sud.
Cisgiordania: insediamenti illegali e malcontento per l’ANP.
Il grande assente di questa guerra è stato Mahmoud Abbas alla guida dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) dal 2005. Il crescente malcontento verso la gestione corrotta e clientelare e il suo aver reso l’ANP una forza ausiliaria dello Stato di Israele, lascia immaginare che anche la situazione in Cisgiordania possa complicarsi e intrecciarsi alla guerra nella Striscia di Gaza.
Dal 7 ottobre, sono stati uccisi più di cento palestinesi dalle forze di difesa israeliane nella Cisgiordania occupata; intensificati i raid israeliani notturni, nelle città e nei campi profughi, ma anche le aggressioni condotte da coloni ebrei che hanno ucciso 7 palestinesi dall’inizio della guerra a Gaza (Washington Post).
Gli insediamenti ebraici in Cisgiordania contano una popolazione di 750 mila ebrei (al-Jazeera); sono illegali non solo per il diritto internazionale ma anche per la stessa Israele e da sempre rappresentano un grande ostacolo a qualsiasi tentativo di risoluzione della questione palestinese.
Il governo di Netanyahu ha fatto dell’espansione degli insediamenti la sua massima priorità da quando è stato rieletto a novembre 2022 e lo scorso giugno aveva approvato un piano per la costruzione di ulteriori 5 mila unità abitative nelle colonie ebraiche nella Cisgiordania occupata.
*Maria Selene Clemente è una giornalista toscana che ha vissuto per sei anni tra Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Foto tratte dalle manifestazioni di Firenze e Roma: ©Clemente-Pardini