Arriva Happening! Intervista alla curatrice Letizia Renzini

nam manifattura tabacchi
© Ilaria Costanzo

Dal 25 settembre al 4 ottobre 2020 va in scena Happening! il nuovo festival prodotto e realizzato da NAM – Not A Museum, la piattaforma d’arte contemporanea di Manifattura Tabacchi, di cui Happening! rappresenta il primo evento-manifesto. Ma non chiamatelo semplicemente “festival”;

Happening! è un vero e proprio esperimento di opera d’arte totale, collettiva e inclusiva. Il focus dell’evento sarà sulla compenetrazione tra dimensione performativa, installativa e laboratoriale, sulla commistione tra diverse discipline artistiche, ma anche sulla forte specificità delle performance e delle installazioni e sulla creazione di una comunità temporanea attraverso l’arte e l’interazione con l’ambiente naturale. Tutto in un unico evento, in cui lo spettatore avrà un ruolo attivo all’interno del processo creativo, in un ambiente da vivere e visitare in continuo movimento e mutamento.

Abbiamo intervistato Letizia Renzini, performer, regista, musicista, dj e autrice attiva in Italia e all’estero, ideatrice e curatrice di Happening! per saperne di più su questo evento così poco convenzionale.

happening manifattura tabacchi
Letizia Renzini

Happening! è un festival prodotto e realizzato da NAM – Not A Museum, la piattaforma d’arte contemporanea di Manifattura Tabacchi, che ha tra i suoi punti saldi la produzione e la condivisione dell’arte, l’esperienza e la multidisciplinarietà. In questo senso Happening! è il primo evento manifesto di NAM. Infatti anche tra le caratteristiche di Happening! c’è la fusione delle discipline e la condivisione del processo artistico con lo spettatore. In che modo avverrà tutto ciò?

Penso si possa dire guardandosi intorno, visitando gli spazi d’arte nel mondo, che l’interdisciplinarietà nell’arte contemporanea è un dato di fatto da accogliere, non la novità da comunicare. Di conseguenza i luoghi che vogliano accogliere ma soprattutto produrre arte oggi devono essere necessariamente aperti a confrontarsi e ad adattarsi a questo tipo di arte multipla,  “totale”, che sempre di più interessa artisti, autori, creatori e che sposta sia il rapporto con il pubblico che quello con lo spazio-tempo dell’ “esposizione”. 

In questo senso, da un punto di vista dei contenuti e delle direzioni possibili, abbiamo trovato risonanza e disponibilità all’interno del progetto poliedrico  NAM – Not A Museum, aperto per sua costituzione all’accoglienza di e alla creazione concertata con di istituzioni e organismi indipendenti che accoglie sia le istituzioni che gli organismi indipendenti. Anche dal punto di vista architettonico, abbiamo trovato nella Manifattura un luogo elettivo: uno spazio raro, com’è noto, nella monumentale Firenze

Anche con le restrizioni Covid, lo spazio è sufficientemente ampio da poter accogliere lo spettatore “vagante” così da consentire il distanziamento necessario di fronte ad uno spettacolo o performance. Ci sono poi delle sessioni di workshop e training aperti al pubblico, ovviamente all’interno delle limitazioni sanitarie

happening!

Il festival si pone l’obiettivo di indagare le relazioni tra performing arts e performance. Quali sono i mezzi e i modi per sperimentare in questo senso? Le arti, il pubblico e lo spazio circostante ne saranno gli attori principali?

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una vera e propria intersezione e interscambiabilità tra le molte pratiche della performance art (disciplina storicizzata, che ha il suo periodo di massima creatività negli anni ’60 e ’70 e soprattutto negli Stati Uniti, ma che ha certo origine dalle avanguardie storiche) e le arti cosiddette del tempo: teatro, musica, danza, cinema, suono, opera. Questo proficuo incontro ha permesso alle performing arts, arti della rappresentazione, di arricchirsi con riflessioni che provengono dall’arte minimale, dall’arte concettuale, dall’incontro tra l’arte e la vita e tra il rappresentare (FARE) e l’essere (VIVERE), cambiando in certi casi anche la percezione e le modalità del corpo performante. Mi interessava in modo particolare questo incontro, questo racconto, questa indagine, così vicino alla mia personale ricerca artistica. Per me come per molti altri artisti la direzione creativa  personale diventa collettiva di volta in volta, di lavoro in lavoro, di opera in opera, in condivisione con i colleghi che si avvicendano nei progetti, alcuni dei quali collaboratori da moltissimi anni. Gli artisti che lavorano in questo ambito sono abituati a creare in collettività, ecco un’altra keywords di Happening! (COLLETTIVO) . Happening! è un progetto di direzione artistica, ma nelle modalità non differisce troppo dai progetti di creazione e dalle regie, dove la collettività e  è un ingrediente fondante.

Happening! nasce con l’idea di essere un esperimento nuovo, non un semplice festival in cui lo spettatore assiste passivamente alle attività in programma, ma piuttosto come un’“officina dell’arte”. Questo avverrà sia grazie alle interazioni tra le performance, i concerti, le mostre e le opere che grazie al coinvolgimento del pubblico. In che modo sarà possibile tutto questo?

Questa istanza ha due direzioni: da una parte, c’è un reale coinvolgimento nelle pratiche artistiche, che è stato salvaguardato pur nelle difficili condizioni sanitarie. Il workshop “Primati”, che metteva in relazione designer, danzatori e fotografi si è svolto senza intoppi, così come i training che sono previsti durante la mostra, a vista, dove ci si può iscrivere tramite web. Lo spettacolo “Stagione” prevede un rimescolamento vero e proprio tra pubblico e musicisti, mentre molti degli spettacoli e delle performance restano visitabili ed abitabili a livello installativo, prima e dopo l’attivazione.

Dall’altra parte c’è un porre l’attenzione sull’idea stessa del coinvolgimento, sulla mutazione del desiderio (anche del desiderio di appagamento estetico) e delle aspettative stesse dello spettatore-visitatore-fruitore.

Provare ad intercettare la parte libera e non massificata dello spirito umano, indagare la condizione umana e cercare di dare conforto, lavorare su una sperimentazione rigorosa che però provi a confrontarsi con i mutamenti ed accogliere o almeno confrontarsi con le tendenze. Avanguardia, pop, tutto è rimescolato, “frullato”, spesso  a causa di conoscenze mancate, ma è la strada segnata ancora una volta dagli anni ’60 americani, bene o male che sia… e le modalità globali di internet prima e dei social media dopo hanno fatto il resto. Gli artisti, i critici, le categorie dell’arte, sono stati frullati su Instagram, insieme ai fruitori, agli influencer, a tutto il resto, schiacciati sulla spettacolarizzazione dell’arte e obnubilati dal culto del sé. Lavoriamo su questo terreno.

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Sono stati creati dei progetti speciali e site specific appositamente pensati per Happening!, in cui il design ha un ruolo fondamentale; in particolare sono stati coinvolti gli architetti dello studio q-bic e i maker di B9, mòno, Canificio e Duccio Maria Gambi. Perché questa scelta, certamente non comune nell’ambito di un festival? 

Questa  domanda mi permette di sottolineare una potenzialità unica di Manifattura, ovvero quella di poter costruire ed organizzare una sorta di cittadella delle arti e un centro che è NAM – Not A Museum,  che può avere lo stesso sapore e la stessa energia della leggendaria Firenze rinascimentale; dentro Manifattura Tabacchi ci sono già delle eccellenze, e ci sono fabbricatori, pensatori, creatori, che producono ad un livello molto alto e che naturalmente si trovano in una strada che costeggia tanto l’arte quanto altre discipline: la moda, il design, la botanica, l’artigianato…. Un motivo perché mi interessa molto l’Opera è anche questo: costruisce una comunità di creatori che ha uno scopo comune: uno scopo non mercificabile, uno scopo nobile, etico, l’arte.  È quello che succedeva nei grandi teatri d’opera o nei grandi centri culturali, l’indotto si creava e si sviluppava intorno alla creazione, definendo interi quartieri (ad esempio a Firenze, la via di Santa Maria e vie limitrofe). Qui abbiamo fatto il percorso a ritroso, creando arte là dove già si fabbricava altro. 

In quest’anno in cui tutto è stato sconvolto dalla pandemia, Firenze si è trovata improvvisamente svuotata dei soliti flussi di turisti abituati alle visite ai musei modalità mordi e fuggi. Da ciò è possibile ripartire forse con una mentalità diversa, che riscopra Firenze patria dell’arte nel senso più vero del termine, quello del fare, del produrre. Happening! vuole essere una riflessione anche su questo tema?

Senz’altro! In primo luogo io credo che in Italia si sia fatta sempre una enorme confusione tra Beni Culturali e produzione culturale. Noi abbiamo tutti questi beni culturali perché il nostro popolo (direi i nostri popoli, quelli che si sono avvicendati in Italia da sempre e si sono sempre mescolati) hanno sempre PRODOTTO arte. E’ pazzesco perché questo è avvenuto fino agli anni ’80 e poi è drammaticamente crollato, ha cambiato di segno, è diventato qualcosa a lato, non parte del sistema di sviluppo di un paese ma qualcosa di accessorio ed eventuale, incredibilmente trascurato. L’intrattenimento si è sostituito progressivamente all’arte, la cultura del cibo e della moda si sono imposte come primarie: la sera qui si esce per l’aperitivo o la cena, molto più raramente per il teatro o per il cinema, per un concerto o una mostra.  E’ giusto? E’ sbagliato? Non lo so, so che in un luogo dove si produce più arte, dove si riflette più profondamente sulle cose, l’indotto si allarga per forza, e la gente rimette in moto i desideri più elevati. 

Sia NAM che Happening! sono finalmente posti sotto la direzione di un team a prevalenza femminile, un particolare che potrebbe apparire scontato ma che in realtà merita attenzione…

Purtroppo questa cosa è tutto meno che scontata! Si, c’è una forte prevalenza di donne, questo non vuol dire che tutto sia risolto. Sono i modi della collaborazione e della relazione in ambiti lavorativi, sociali, politici, amministrativi, culturali anche, ecc. che sono drammaticamente segnati dal maschile, e che non si cambiano soltanto mettendo un po’ di donne a fare le cose, anche se io considero le quote rosa un male necessario, ma questo è un discorso molto serio e molto ampio, che non si può fare in 1000 caratteri. 

Le donne devono stare ai veri vertici affinché le cose cambino, devono avere potere decisionale; tante donne, e ce ne sono ancora troppo poche.

Letizia Renzini, direttrice di Happening!, lei è una performer, regista, musicista, dj e autrice. Una figura completa a capo di questo nuovo festival. Quale contributo in più crede abbia dato la figura di un’artista come lei a capo di questo evento?

Non saprei dirti se è un contributo in più o in meno. Senz’altro è una visione – credo – più libera e “spensierata” rispetto a logiche istituzionali o direzioni obbligate, e per natura “iconoclasta”, cosa critica in tempi di globalizzazione, ma che può servire a mantenere lucidità. Poi c’è l’esperienza internazionale, fa bene guardare a sistemi culturali diversi dal nostro.

Abbiamo avuto la libertà di creare un festival osmotico con il posto, cercando di scardinare alcune modalità che necessariamente si creano quando lavori con organismi rigidi, o nei luoghi deputati. La flessibilità insita in un luogo come Manifattura Tabacchi è per me un valore importante, anche se è molto più difficile da gestire e senz’altro le problematicità tecniche di un “cantiere” in divenire non sono poche. Ma abbiamo cercato sempre di andare avanti avendo come primo scopo quello di preservare il valore culturale e artistico.  Non abbiamo avuto vincoli artistici perché abbiamo creato un programma in risonanza con lo spazio e in totale autonomia, e per questo ringrazio molto la direzione di Manifattura che mi ha permesso di presentare il festival all’interno di un progetto nuovo come NAM – Not A Museum, che è nato di pari passo ad Happening!  accogliendone fin da subito i contenuti.