La casa in cui Lawrence scrisse Lady Chatterley’s lover sorge su una collina tra Masciano e Casignano, a Scandicci. Alle sue spalle, una valle di viti e ulivi fanno da sfondo ad un sentiero, in cui i rami degli alberi formano un arco. Ed è lì che, dopo un ruscello, si trova L’Orto di Olmo. Alessandro, il suo custode, mi fa da guida. D’altronde, lo fa di professione – mi dice – come guida ambientale. Ha deciso di prendere in custodia questo terreno in cui ora c’è il bosco, ma cinquant’anni fa era un frutteto con meli, peri e piante ben curate. Per questo, ha cominciato a decorare il sentiero con delle istallazioni fatte da lui che seguono un percorso, una storia, piena di personaggi e animali provenienti da un mondo onirico e selvaggio.
L’Orto di Olmo: l’inizio del percorso
Per presentarmi tutti i personaggi e mostrarmi le varie istallazioni, Alessandro mi dà un libricino contenuto in una cassetta di legno con la mappa del sentiero e tutte le istallazioni. Nella stessa cassetta c’è il cosiddetto “libro per gli ospiti”, ma non è un libro comune: ci sono poesie, racconti, riflessioni, di chi è passato di lì, chi ci è rimasto per un po’o a lungo. Sempre lì, un libricino di favole e fiabe scritte da Alessandro, sui personaggi del bosco o altri, racchiusi nella sua immaginazione.
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Il percorso dura circa un’ora tra i piedi nel fango e i bassi rami degli alberi. È stretto come un tunnel, in cui dopo qualche metro c’è sempre uno spiraglio di luce dovuto al calar del sole e ad uno spazio in cui oggetti di un tempo, tronchi d’albero con occhi e una bocca, spaventapasseri fatti con ferraglia raccolta qua è là, ti sorprendono. Conosco così il Kukaci, il mostro di legno che legge nel tuo cuore; il Meduso indagatore con i suoi tentacoli di legno; Angius, il serpente di vetro; il pitone arboreo, la lucertola fatta con i legni di una botte; il Cornodonte, la tana dei draghi, l’albero con gli occhi che, come nel giardino di Tiziano Terzani, è un tronco d’albero con due pietre naturali che sembra che mi osservi mentre cammino.
Infatti, ogni cosa nel sentiero del bosco è naturale: niente è stato toccato, rastrellato, perfezionato con decori pretenziosi e imponenti. Ogni istallazione è in linea con il paesaggio, sublime così com’è. Ogni fermata diventa un benessere per l’anima, un incontro con il piacere, per la natura, per la bellezza. Tra le varie figure mostruose e oniriche, questo luogo bucolico si apre in piccole zone in cui delle cornici appese incorniciano il paesaggio.
Si possono vedere le colline con i cipressi, un’altra valle dove il sole al tramonto è accecante e dipinge d’oro l’erba bagnata. Ci sono delle sedie poste lì per meditare, leggere un libro, o aspettare in silenzio che passi un capriolo tra le colline. “Da qui ne passano molti”- mi dice Alessandro. Ci sono anche le orme degli animali, la tana del tasso, e la tana del Lonfo, con la sua storia, incastrata nelle casette tra gli alberi. Mentre si cammina, su alcuni alberi viene riportata una poesia, una citazione, un racconto, una storia.
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Qui, ne L’Orto di Olmo, tutto è un racconto: il racconto dell’uomo che si avvicina alla natura, che si mescola con essa, che si lascia sopraffare dal indomabile senso di verità, spontaneità, che abbiamo perso, che non abbiamo, o che non abbiamo mai avuto. Qui, tra gli alberi, la natura selvaggia è ben custodita, come la bellezza che va protetta per mostrarla agli altri. Alessandro non mi dice come gli è venuta questa idea, né mi fa trasparire il senso di aver fatto questo per un’obbligo morale: tra le sue parole scorgo che il suo amore e la passione per la natura è così tale da volerlo condividere con gli altri. Semplice condivisione per la bellezza.
La spirale, la raduna della musica e lo specchio di Narciso
Tra mostri, draghi, caprioli e tassi, il percorso continua in salita, poi in discesa. Arriviamo così un pezzo di terra con semplici pietre accatastate che danno forma ad una spirale. “Ha un qualcosa di suggestivo e mistico” – gli dico. “In realtà sono stati fatti dagli alieni che sono atterrati” – replica. L’immaginazione e la fantasia di Alessandro mi accompagnano in tutto il sentiero, e davanti ogni istallazione mi racconta una storia, una favola, e ritorno bambina.
Si ritorna bambini in un posto come questo, vero, ma ci si sente anche estremamente grandi. La pesantezza della vita nella sua freneticità è come se qui mettesse un freno e ti chiedesse di fermarti a pensare. E ad un certo punto io e Alessandro ci siamo fermati. Ci siamo seduti su delle panchine di legno nella radura della musica in cui uno dei quattro ultimi lieder di Strauss dà vita a un brusio tra le foglie sui rami. Abbiamo chiuso gli occhi e abbiamo lasciato che la musica echeggiasse libera. Dopo, abbiamo continuato a camminare.
Il percorso ha cominciato da qui ad articolarsi nell’incontro di una serie di figure: il Golem, una sorta di Frankenstein ebraico; Ferruccio e Caterina, il re e la regina del bosco, che osservano tutto tramite la visione dei cristalli di un lampadario che scende dall’albero dei rami; tante altre figure di legno, poi di ferro, poi con oggetti riciclati, che sembrano veri, e che possano animarsi da un momento all’altro. Continuiamo a scendere e scorgo un laghetto, una chiazza d’acqua tra gli alberi in cui sono appesi degli spiriti giapponesi. Non mi avvicino e Alessandro mi dice: “Vieni, questo è lo specchio di Narciso”. Ed è lì che l’uomo ha il suo primo incontro con se stesso, in quel momento, alla fine del viaggio.
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Il sentiero finisce e ci troviamo davanti ad una casetta di legno per gli attrezzi in cui accanto c’è la zona per accendere un piccolo fuoco, poter fare un barbaque, con un tavolo e delle sedie di legno. Poi c’è la zona della biblioteca in cui si fanno le presentazioni di libri. Una casetta di legno con dei libri custoditi scende da un albero e della panchine a forma di anfiteatro sono poste davanti all’orto. Qui finisce il sentiero, il mio cammino con Alessandro. Finisce con l’orto in cui due giovani coltivano e tagliano la legna, li invidio. La semplicità di quei gesti, la cura dell’uomo verso la natura, mi fa pensare che il nostro tempo forse ci venga concesso soltanto per questo: la cura delle piccole cose, l’ammirazione della bellezza.
Prima di andarmene Alessandro mi dà un tarocco, come i “Tarocchi di Rob” scritti sull’Internazionale. Lo dà a chiunque passa a fare un’escursione, una camminata o chi lo va a trovare. La nostra camminata, quindi, finisce con un buon auspicio, un augurio che leggo e rileggo tornando a casa, nel mio appartamento di 40 mq in cui vivo, lavoro e faccio palestra. La mia vita, come quella di tutti, è ora pienamente vissuta tra le mura di una casa. Mure che abbiamo scelto, forse solo per un periodo in attesa di un’opportunità, o forse per la vita. Mura che non hanno niente a che fare con gli alberi, il brusio del vento tra i rami, il rumore dell’acqua del ruscello. Mi chiedo quale sia il nostro habitat, se l’uomo è fatto per vivere in appartamenti o per invece custodire la natura selvaggia.
Non trovo una risposta e mentre scrivo riprendo il tarocco e decido di trascriverlo parola per parola: “C’è un tesoro sepolto in ognuno dei nostri giorni, anche i più tristi e noiosi e sta a noi tenere gli occhi aperti per scovarlo”, scrive lo scrittore e teologo Frederick Buechner. In conformità con le potenzialità del momento, lo nomino tuo tema chiave. Avrai più probabilità del solito di fare scoperte e imbatterti in rivelazioni nel bel mezzo della routine quotidiana. Non perdere questa occasione.”.
Foto di Miriam Belpanno e galleria de L’Orto di Olmo
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