
Un secolo di calcio argentino a teatro. Intervista a Federico Buffa
FUL ha intervistato Federico Buffa in occasione del suo spettacolo La milonga del fútbol al Teatro Puccini di Firenze, in scena giovedì 20 marzo.
La capacità narrativa di Federico Buffa esce dai confini sportivi, o meglio, li allarga per comprendere storie di vita. Il suo ultimo spettacolo teatrale, La milonga del fútbol è dedicato all’Argentina e tratto dal suo libro, scritto a quattro mani con Fabrizio Gabrielli – senior writer di Ultimo Uomo – edito da Rizzoli nel 2024. La milonga, una tipica danza popolare, è il ritmo di uno straordinario spaccato capace di restituire non solo l’innato senso degli argentini per il calcio, ma anche lo spirito di una nazione nata dall’incontro tra la cultura spagnola e quella italiana.
Nel libro si racconta un secolo di calcio argentino: la genesi dei maggiori club, le imprese di giocatori mitologici che hanno letteralmente cambiato le regole del fútbol – spesso con il loro piede sinistro: Sivori, inevitabilmente Maradona, ma alcuni anche col destro come Di Stéfano o Riquelme – le spedizioni più e meno fortunate dell’Albiceleste ai Mondiali e dei suoi condottieri, da Pedernera al Flaco Menotti, dal Narigón Bilardo a Passarella.
Anche in scena tutta la storia si intreccia con la grande Storia: dittature e colpi di Stato, scioperi e torture, Evita Perón, la dittatura dei colonnelli di Videla e le abuelas delle madri di Plaza de Mayo. La Milonga del Fútbol è un grande affresco, o una scatola magica, con dentro tanti personaggi quanti Buffa ne porta sul palco.
In occasione della data al Teatro Puccini del suo spettacolo del prossimo 20 marzo, ho avuto l’occasione di fare una chiacchierata con il celebre storyteller sportivo.

“La Milonga del Fútbol” è un grande affresco dell’Argentina, cosa rappresenta quella terra in generale per il gioco del calcio e anche per te?
Ti spiego perché l’Argentina e perché il Novecento. Loro non avevano partecipato a nessuna delle due guerre mondiali ma nel 1945 inoltrato dichiarano formalmente guerra alla Germania, perché volevano sedersi al tavolo degli Alleati e chiedere l’organizzazione del Mondiale di calcio del 1950. Era chiaro che il consensus internazionale influenzava lo sport, ma i brasiliani avevano realmente mandato le truppe a combattere in Europa e quindi il Mondiale andò in Brasile.
Però il Novecento argentino, a parte questo episodio, è un secolo dove è successo di tutto: colpi di stato, la stagione del peronismo, la dittatura militare, il Mondiale del 1978… E nel frattempo gli argentini inventarono il calcio dove si gioca di abilità. Gli inglesi esportarono il football in Argentina prima che in Italia. La prima partita di pallone lì si ha notizia che ci sia stata nel 1867 e gli argentini ne sono testimoni perché a giocare sono gli inglesi, che sono in Sud America perché hanno molti interessi commerciali anche se non sono riusciti a “colonizzare”, tranne le poi contese isole Malvinas.
Gli argentini cominciano così a praticare il fútbol e il loro calcio a inizio del Novecento è già in crescita. All’epoca i calciatori non li consideravano come degli sportivi, bensì come degli artisti! Intorno al 1920 in Argentina avevano inventato i giochi di abilità con la palla, quelli che ancora oggi chiamiamo la “bicicletta”, la “rabona”, ecc… L’unica cosa che non avevano ideato era la “rovesciata” – che infatti viene dal Cile e chiamano la “cilena” – però concettualmente, se gli inglesi hanno inventato il gioco del calcio, sono gli argentini ad aver inventato l’amore per il gioco del calcio.

Mi stava poi particolarmente a cuore raccontare anche l’emigrazione italiana in Argentina che è molto diversa da quella negli Stati Uniti, perché gli italiani che arrivano trovano un luogo che ha similitudini in termini di humus culturale e non si sentono mai emarginati. A inizio del Novecento Buenos Aires ha un milione di abitanti e un terzo sono italiani!
Ecco che il primo personaggio della storia è Renato Cesarini, un funambolo del gol, nato nelle Marche e emigrato con la famiglia a Buenos Aires nel 1906 quando aveva solo un anno, per poi tornare in Italia nel 1926 per giocare nella Juventus. Ci si riferisce a lui quando si parla di “Zona Cesarini”, per aver segnato alcuni gol negli ultimi minuti della gara prima del fischio finale. Omar Sivori, un talentoso e irriverente, che incantava l’Argentina degli anni ’50 nel pieno del boom economico, fu scoperto proprio da Cesarini che lo portò alla Juventus nel 1957 per diventare uno dei grandi calciatori della Serie A di tutti i tempi.
Naturalizzato italiano, nel 1961 ha vestito anche la maglia azzurra della Nazionale per poi finire la carriera a Napoli alla fine degli anni Sessanta. E Sivori è l’uomo che consola Maradona quando viene escluso dalla selezione per il mondiale del 1978. Quindi abbiamo tre “italiani” – il primo, Cesarini, ci è pure nato in Italia; Sivori di origine italiana (Papa Francesco Bergoglio da parte di madre di cognome fa Sivori) e Maradona che è per metà italiano e per metà indio-guaranì – che complessivamente fanno 10 scudetti vinti in Italia.
Sivori è il primo calciatore del nostro campionato a vincere il Pallone d’Oro. Sono tre italo-argentini diversissimi tra loro che hanno incantato sia in patria che in Serie A. Il primo dunque è figlio della primissima immigrazione, il secondo nasce nella pampa in un luogo chiamato San Nicolás, fondato da immigrati baresi, e il terzo nasce a Lanús, nella suburbia più faticosa della provincia di Buenos Aires. Ma Diego fin da giovanissimo è riconosciuto come un genio perché lo è a tutti gli effetti. I suoi fratelli hanno raccontato che a 7 anni palleggiava già come un ragazzo di 25 anni!
Quindi, lo spettacolo è un viaggio in compagnia di tre uomini argentini che hanno tantissimo a che fare con l’Italia.

In un’altra intervista hai dichiarato che in Argentina il calcio è rimasto un fenomeno veramente popolare, mentre in Europa lo abbiamo seppellito nella tattica.
Assolutamente! A differenza dei nostri ragazzi che sono fortissimi a 15-16 anni perché vengono già impostati per muoversi in gruppo, agli argentini queste cose non interessano. Fino a una certa età li fanno lavorare sulla tecnica individuale. Ancora adesso il fuoriclasse argentino nasce per strada – nel potrero, il campo di terra e sassi – dove impara a dribblare e quando poi giocherà su un terreno piano non ha più bisogno di guardare la palla! Pensa a un giovane come Matías Soulé della Roma, noi di calciatori così non ne creiamo più.
Altra cosa, un grande allenatore argentino come Marcelo Bielsa ha dichiarato che “stanno rubando il calcio ai poveri”. Il Milan e l’Inter già adesso nel derby tra di loro, o nella partita con la Juventus, fanno pagare al Terzo Anello di San Siro 90 € a biglietto! Quale padre di famiglia può portare due figli allo stadio a questi prezzi?! In Italia non si batte ciglio, ma questo in Argentina non lo puoi fare! Senza parlare dell’intelligenza artificiale applicata allo sport più imprevedibile del mondo, stanno annullando tanti gol per dei fuorigioco che non ci sono, ma dov’è il vantaggio in un tacchetto più avanti dell’avversario!? Va contro lo spirito del gioco!

Nei tuoi racconti di calcio metti in scena la metafora della vita, le giocate come le decisioni che possono segnare per sempre la nostra esistenza.
Il calcio ha questa componente di casualità unica. Un po’ c’è pure nel rugby perché si gioca con il pallone ovale, ma è gestito secondo criteri differenti, il gioco è spesso fermo, c’è la mischia… Poi il pareggio anche qui è un evento possibile, ma solo nel calcio può capitare di ambire al pareggio, ovvero “giocare per non vincere”! Oppure una squadra segna il gol vittoria al 91° dopo aver passato la partita a difendersi e basta. Insomma il calcio ha questa caratteristica di inafferrabilità, una metafora della vita.
Federico Buffa, La milonga de fútbol – foto di scena Alessandro Dealberto.
Teatro Puccini, 20 marzo ore 21:00 per informazioni sito web del teatro a questo link.