
Firenze nel teatro
Un percorso alla scoperta della Firenze e dei fiorentini protagonisti del teatro, sia come oggetto ma anche e soprattutto come soggetto della narrazione.
Vi abbiamo già parlato dei teatri perduti della città, ma nel corso dei secoli, Firenze è stata grande anche protagonista della produzione teatrale, prestandosi bene sia come location ideale per determinate storie, sia come fervente centro di attrazione per numerosi personaggi di spicco dell’arte, anche grazie alla presenza di svariati e importanti teatri presenti in città.
La Mandragola di Machiavelli
Fin dal ‘500 il teatro a Firenze è parte attiva della vita culturale, occasione di divertimento e socialità, ma anche di denuncia e riflessione. Non si può, a questo proposito, non citare quello che viene considerato il capolavoro del teatro del ‘500, ovvero La Mandragola. Questa commedia in cinque atti, scritta da Niccolò Machiavelli tra il 1512 e il 1520, raccolse un successo così grande anche nei secoli successivi tanto da essere apprezzata da personaggi come Voltaire e Goldoni. Ma a parte la grande fama conquistata dal capolavoro teatrale di Machiavelli, ciò che è più interessante è come la commedia nella sua trama divertente e nei suoi intrecci ingarbugliati, tra una risata e l’altra, sia in realtà una vera e propria satira che denuncia la corruttibilità della società fiorentina ma anche italiana in generale dell’epoca. E così, smascherando l’ipocrisia, mostra in tutta sincerità quanto si sia persa la moralità, mettendo in discussione persino i valori familiari e, più in alto, le autorità della Firenze Rinascimentale.
Rappresentata per la prima volta a corte nel 1518 durante la messa in scena di lavori teatrali in occasione dell’annuncio delle nozze di Lorenzo II De’ Medici con Maddalena de La Tour D’Auvergne, La Mandragola è ambientata totalmente nella Firenze dell’epoca ed è scritta in fiorentino popolare. La commedia dà vita a personaggi quasi tutti negativi, in particolare Frà Timoteo, il prete che per denaro accetta di convincere la giovane Lucrezia a tradire il marito, espediente che Machiavelli usa per denunciare la corruttibilità del mondo religioso dell’epoca. Poi abbiamo la critica operata contro la borghesia attraverso il personaggio di Callimaco, per l’appunto giovane borghese innamorato di Lucrezia che pur di averla è pronto a tutto e si fa aiutare dall’amico parassita Ligurio, altro personaggio destabile perché mosso solo e unicamente dai suoi interessi. Ma ancor più deplorevole è l’atteggiamento della madre di Lucrezia, Sostrata, che con lo scopo di mantenere una facciata dignitosa per così dire, convince la figlia a giocare sporco pur di farle riuscire ad avere un figlio. La vittima di tutto questo artificio è il povero e ingenuo Nicia, marito di Lucrezia, che alla fine risulterà truffato e cornificato.

Insomma, tutto ciò, rispecchia a pieno la società fiorentina dell’epoca fatta di apparenze da mantenere a tutti i costi, di persone interessate solo a loro stesse e al denaro. Tutte le classi sociali, dal clero alla borghesia, sono oggetto di critica di Machiavelli, mostrando una visione totalmente sconfortante e pessimista.
Goldoni e La Locandiera
Spostandoci adesso con un bel salto temporale al ‘700, un altro capolavoro teatrale prese vita in questi anni, rimanendo poi nella storia: La Locandiera di Carlo Goldoni, celebre commedia in tre atti scritta nel 1752.
Ebbene, sappiamo che Carlo Goldoni era veneto d’origine, ma sappiamo anche che il suo capolavoro lo ha ambientato a Firenze, precisamente in una tipica locanda fiorentina, anche se in verità le ragioni dell’ambientazione nel capoluogo toscano sono da trovarsi nel fatto che ambientare la vicenda nella sua Venezia sarebbe stato scomodo in quanto città patria della Commedia dell’Arte e quindi sicuramente pronta a polemizzare contro la forma teatrale da lui scelta, rispecchiante, invece, la cosiddetta “commedia di carattere”.
In questa locanda fiorentina troviamo Mirandolina, donna scaltra e abile manipolatrice di uomini per i suoi scopi personali, talmente esperta da far innamorare addirittura il Cavaliere di Ripafratta che da sempre odia profondamente le donne. Scappare dai pericoli non sapendo soccombere alle sconfitte e la presunzione sono tra le tematiche che vengono fuori dall’opera, ma sono anche e soprattutto le caratteristiche principali di una determinata classe sociale, ovvero la Borghesia emergente, rappresentata per l’appunto dalla protagonista della commedia. Ma anche la nobiltà è presa di mira da Goldoni, attraverso i personaggi del Conte e del Marchese sicuri di ottenere quanto sperano solo perché nobili. C’è da dire che siamo nel periodo dell’Illuminismo, e anche se La Locandiera non è esattamente un’opera rappresentativa di questa corrente storica, in realtà mette in risalto quelli che furono i due fulcri centrali del movimento illuminista, ovvero il dibattito sulle classi sociali e sul come le differenze tra le stesse si possano appianare in favore di una convivenza pacifica e l’autodeterminazione dell’individuo che ben vediamo in Mirandolina stessa, che tra l’altro, essendo una donna, rappresenta con ancor maggiore efficacia.

In onore di Carlo Goldoni, a Firenze venne inaugurato un teatro nel 1817, chiamato proprio Teatro Goldoni, in pieno centro storico, tra via Romana e via dei Serragli. L’idea nacque nel 1807 quando l’impresario Luigi Gargani acquistò i locali delle domenicane terziarie del Monastero di Annalena per realizzare una sorta di centro per lo svago e lo spettacolo, in linea con le tendenze dell’epoca che vedeva il teatro non più come divertimento esclusivo della corte e dell’aristocrazia come lo era stato in epoca medicea, ma anche per le altre classi sociali, in particolare per la borghesia che stava ormai prendendo sempre più piede. Lo scopo era che tutti, nella Firenze dell’epoca, potessero frequentare i teatri cittadini cosicché il teatro acquisisse il compito di uniformare i gusti e i costumi delle diverse classi sociali, accogliendo un pubblico del tutto eterogeneo. Nella realtà dei fatti però, la differenza tra le varie classi sociali si fece più netta, cosa visibile nella collocazione del pubblico all’interno dei teatri durante gli spettacoli: la Corte, la Nobiltà e i Granduchi si piazzavano nei palchi, la Borghesia in Platea e il popolo in Galleria. Insomma, tutta questa uniformità della società non era poi così messa in atto nella pratica dei fatti.
C’è da dire che siamo all’epoca della dominazione degli Asburgo-Lorena che ressero il Granducato di Toscana dal 1737 fino al 1860, sotto cui Firenze divenne esuberante e vivace centro culturale, determinando un contesto nel quale il teatro divenne un’occasione per mostrarsi in società, come se alla fine il vero spettacolo fosse il pubblico stesso, intento a fare sfoggio delle proprie ricchezze e del proprio status sociale.
Ma oltre questo, in epoca Lorenese, e soprattutto col Granduca Pietro Leopoldo, dal 25 Aprile 1776 l’attività teatrale venne liberalizzata e quindi ogni teatro poteva presentare in qualunque periodo dell’anno il suo repertorio preferito.
Tra i teatri che conobbero maggiore successo all’epoca, anche se fondati in origine negli anni 50 del ‘600, ci furono La Pergola e il teatro del Cocomero. Dal ‘700 la Pergola, detto “teatro nobile”, fu tra i migliori teatri lirici italiani, dove rappresentarono le loro opere personalità come Vivaldi e Verdi, mentre il Teatro del Cocomero, poi dai primi del ‘900 chiamato Teatro Niccolini, fu frequentato da personaggi come Alfieri e, per l’appunto, Giovan Battista Niccolini; inoltre, fu proprio qui, nel 1793, che prese vita il personaggio di Stenterello, ideato dall’attore fiorentino Luigi del Buono e diventato poi la maschera tradizionale di Firenze.

Il Lorenzaccio di De Musset
È di questi anni, e precisamente del 1834, anche un’altra importante opera teatrale che non si può assolutamente non citare: Lorenzaccio del parigino Alfred De Musset. Anche se l’opera è stata composta nell’800, è ambientata nella Firenze del Rinascimento e ha come protagonista Lorenzo De’ Medici diciannovenne e appassionato agli eroi dell’antichità dai quali prende spunto sognando il ritorno della Repubblica a Firenze. Il Lorenzo di De Musset è metà eroe romantico, metà uomo incapace di concludere davvero qualcosa, quindi perfetto esempio di quanto ogni azione umana sia in realtà inutile. Di certo tutto questo pessimismo dell’autore riguardo la vanità dell’agire umano non sorse per caso, ma dal contesto storico vissuto e in particolare dal fallimento della Rivoluzione francese e dagli eventi che seguirono, facendo dunque, un parallelo con quello che fu il periodo di splendore di Firenze grazie a Lorenzo il Magnifico poi terminato con la sua morte e con l’invasione da parte dei francesi che conquistarono la città.
L’acqua cheta, la commedia in vernacolo fiorentino
Facendo nuovamente un altro salto temporale e catapultandoci tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, tra cambiamenti storici e ovviamente anche artistici, troviamo un altro capolavoro del teatro, ovvero la commedia scritta nel 1892 dal fiorentino Augusto Novelli “L’acqua cheta”.
Il titolo, che prende spunto dal famoso detto “l’acqua cheta rovina i ponti”, a sua volta risalente a un detto latino, ci suggerisce già l’idea principale da cui nasce la storia narrata e cioè che ciò che sembra calmo e tranquillo in realtà nasconde dannosità. Ebbene, la commedia di Novelli, scritta ricordiamo in vernacolo fiorentino, è ambientata nel quartiere di San Niccolò a Firenze e racconta le vicende a sfondo comico e i battibecchi di una famiglia borghese; le protagoniste sono due donne, le sorelle Anita e Ida, l’una innamorata di Cecco e pronta ad andare contro il volere della famiglia per lui, l’altra, invece, è colei che rappresenta “l’acqua cheta” della situazione, intrattenendo una relazione clandestina e segreta con un giovane di nome Alfredo. Anche in questa commedia, dunque, è presente l’ennesima denuncia alla società fiorentina del tempo, ai suoi costumi e alle sue apparenze da salvare e alle quali si ribellano i giovani protagonisti, spezzando i legami con un modello di società che predilige le convenzioni e le maschere.
Ebbene, a quanto pare Firenze è stata ampiamente protagonista del teatro, sia come oggetto ma anche e soprattutto come soggetto, pienamente adatta alle storie che gli autori vollero raccontare, ma anche offrendo passione ed entusiasmo a chi praticava quest’arte, mettendo a disposizione prima le sue corti e poi i suoi teatri e facendolo attraverso la sua storia che, come sempre, si è resa palcoscenico ideale.