Joker a Firenze, perché andare a vederlo

joker a firenze

Become JOKER, la discesa agli inferi nella mente contorta di un folle.
Premiato con il Leone d’Oro come Miglior Film a Venezia, la DC Extended Universe crea un capolavoro introspettivo e scioccante, assolutamente da vedere

Tutto il film racchiuso in una sequenza: un uomo solo, travestito da pagliaccio, disteso a terra tra i rifiuti, “JOKER”. Non si parla di Batman o dell’antagonismo tra il bene e il male, nell’ultimo film di Todd Phillips si racconta la solitudine, la malattia mentale, l’escalation della follia di Arthur Fleck, di un uomo qualunque. Ed è proprio questo aspetto che inquieta e sciocca lo spettatore: l’incredibile realtà e verosimiglianza con la società attuale.

joker a firenze

Ci addentriamo in Gotham City con il frastuono di una metropoli allo sbando, dove “il più forte” se la prende con “il più debole”, dove l’alta borghesia schiaccia il “povero” cittadino con promesse e garanzie lontane dalla realtà dei fatti. Entriamo nella vita di Arthur Fleck, un uomo affetto da un disturbo che lo porta a ridere indipendentemente dal suo stato d’animo, un uomo solo, nella vita come nella cura della sua malattia, deriso e umiliato ripetutamente dalle persone, dalle situazioni e dalla vita stessa. Per gran parte del film, anche noi siamo ingannati dalla sua mente e troviamo negli occhi languidi di Arthur (interpretato da un magistrale, come al solito, Joaquin Phoenix) compassione e solidarietà: l’empatia che suscita il suo climax di follia, rabbia e disperazione che daranno vita al Joker, certo non giustificano gli omicidi e la cattiveria, ma ci portano a comprendere cosa accade nella mente di una persona disturbata.

«La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi.»

Arthur, “Happy” come lo chiamava la madre da bambino, trova un rifugio nel diario in cui annota i suoi pensieri, le sue frustrazioni e le barzellette che racconta al cabaret; cerca ossessivamente di diventare un comico di successo come Murray (Robert De Niro), entertainer di rilievo, acclamato dal grande pubblico, e che Arthur vede come quel padre che non ha mai avuto. Il suo impegno trova ancora solo derisione e rifiuto da una società, impersonata dallo showman, alla ricerca di un soggetto da irridere e affossare per cementare la convinzione di essere superiori, portando il debole davanti a un bivio: sottomettersi o vivere secondo il proprio concetto di normalità. Ecco, quindi, che i deboli trovano un simbolo (il Joker) contro i ricchi, i potenti, i “forti”: in contrapposizione con il politico, Joker non promette soluzioni, ma autorizza a lasciarsi andare e vendicarsi di tutte le richieste d’aiuto inascoltate. Ciao ciao ordine, benvenuto caos!

«…non la capiresti», dice Arthur, rinchiuso all’Arkham Asylum, all’assistente sociale che gli chiede di raccontarle la barzelletta che lo fa ridere in quel suo modo isterico e incontrollato; come sempre si sente “non capito”. Nella “white room” dell’ospedale, come la canzone dei Cream in sottofondo, assistiamo all’ennesimo dramma della sua vita, a una serie di domande lasciate senza risposta, a violenze. Lo “shock anempatico” (cit.) della contrapposizione musica/immagini, costante del film, chiude una pellicola dall’atmosfera disturbante. That’s life!

Articolo a cura di Giulia Farsetti