Ginevra Di Marco è fra le espressioni più belle della canzone d’autore italiana. Voce dei CSI (Consorzio Suonatori Indipendenti) dal 1994 al 2000, ha poi intrapreso la carriera da solista grazie al supporto prezioso di Francesco Magnelli, pianista, compositore, arrangiatore e membro dei CSI.
Sacha Tellini di FUL ha incontrato Ginevra e Francesco per una chiacchierata a tutto tondo fra passato, presente e futuro della canzone italiana. Oggi Francesco è manager di Ginevra: insieme ad Andrea Salvadori, musicista e compositore italiano, portano in scena numerosi spettacoli e concerti in tutta Italia.
Se avessi incontrato Ginevra Di Marco e Francesco Magnelli negli anni ‘90 lo avrei fatto in un locale alternativo, difficile da scovare. All’ingresso ci avrebbe accolto un’insegna luminosa, storta e malfunzionante. Aperta la porta di legno consumato, le scale a chiocciola scricchiolanti e poco illuminate ci avrebbero accompagnato verso bancone e tavolini dove gli artisti si accomodano per parlare, bere whisky e fumare un pacchetto di sigarette. Fra la confusione e le chiacchere della gente, una cantante sconosciuta del Sudamerica ci avrebbe fatto compagnia con la sua voce calda riprodotta in vinile da un giradischi.
Avrei chiesto loro dei CSI. Di come si sta nel perimetro della musica indipendente e quali progetti avevano in cantiere. Avrei letto le domande scritte a penna su un foglio bianco e registrato le risposte su un vecchio registratore Zoom. Ascoltandole, mi sarei chiesto se con le canzoni si fanno le rivoluzioni. Ancora una volta, un po’ avvelenato, mi sarei risposto di no.
Anche se le domande le scrivo a mano e il mio registratore Zoom ha i suoi anni (è di inizio Duemila, li porta splendidamente), quando li ho incontrati il contesto era diverso da quello di un locale frequentato da artisti anticonformisti e giovani bohémiens. Ci siamo visti a Firenze, in San Niccolò. È proprio la zona che dà il nome al posto che ci ha ospitati: Palazzo San Niccolò, struttura ricettiva e location per matrimoni ed eventi.
Chi conosce la carriera di Ginevra Di Marco non ha dubbi: spontanea e naturale, è fra le esponenti più credibili di un certo filone della canzone italiana. Il suo fascino deriva da un autentico modo d’essere, umano ancor prima che professionale, sopra come sotto al palco, davanti a decine di persone come a centinaia. La spontaneità attraversa tutta la sua carriera, guida le scelte e fa vibrare le parole di ogni canzone. Da dove partire a parlare di questa storia d’autore se non dalle origini?
Trama Tenue.
Esce nel 1999 il disco d’esordio di Ginevra Di Marco da solista. Trama Tenue raccoglie tutta la sua carriera artistica: ciò che era stata per i CSI, ciò che per i CSI non aveva potuto essere: <<All’interno del gruppo avevo un ruolo complementare a quello di Giovanni (Lindo Ferretti, ndr) e la mia voce era vincolata alla mia parte. In Trama Tenue invece abbiamo dato libero sfogo alla creatività>>.
Timorosa di affrontare il percorso da solista, ha trovato la spalla giusta in Francesco Magnelli, altro artista che ha fatto della naturalezza la bussola della sua vita. Prima, quando la genuinità aveva la voce graffiante di Piero Pelù nei Litfiba e Francesco l’accompagnava alle tastiere; poi, con i CCCP – Fedeli alla linea, fra i massimi rappresentanti del punk rock italiano; poi con i CSI insieme a Ginevra, la band nata dalle ceneri dei CCCP.
Il loro sodalizio musicale ha proseguito dopo lo scioglimento del Consorzio Suonatori Indipendenti nel 2002, grazie a basi concrete gettate tre anni prima. Nel 1999 un gruppo di amici musicisti si ritrova in un casale nella campagna Toscana, convive per un mese, compone e registra Trama Tenue, un disco coraggioso che non cerca l’applauso del pubblico, non strizza l’occhio alle classifiche musicali e non ammicca a critici e commentatori. È la spontaneità a guidare Trama Tenue, riversata in ogni nota delle 10 canzoni dai musicisti, artefici di un’impalcatura musicale che la voce di Ginevra suggella come uno spirito chiaro che sale.
I maestri: Margherita Hack e Luis Sepúlveda.
La naturalezza chiama naturalezza. Sarà per questo che Ginevra accetterà di incidere un disco in onore di Luigi Tenco, così sincero che – canterà De André in Preghiera in gennaio – all’odio e all’ignoranza preferì la morte.
Ma prima di Tenco, nel percorso di Ginevra e Francesco – è sempre più difficile scinderli – arriva Margherita Hack. La donna rivoluzionaria, amante della scienza e poco appassionata di musica sposa il progetto ideato da Magnelli: <<Volevo dare vita a uno spettacolo di musica e parole con una persona protagonista del Novecento. Margherita era perfetta. Quando l’abbiamo conosciuta, ci disse: “Non sono esperta di musica. Però mi piace quest’idea” e accettò la nostra proposta>>. Nasce così “L’Anima della Terra vista dalle stelle”, spettacolo che unisce la musica popolare al racconto dei temi richiamati dalle canzoni.
Manca tanto Margherita Hack. A tutti noi e a Ginevra, che con lei ha condiviso momenti preziosi anche lontano dal palcoscenico: “Margherita era di un’intelligenza unica: ha sempre dato valore più ai fatti che alle apparenze. Manca la sua autenticità, sempre più rara. Senza volerlo, ci ha insegnato a porci sul palco in modo semplice e diretto; un’impostazione che abbiamo mantenuto in tutti i progetti successivi>>.
Nella carriera di Ginevra Di Marco impatta un altro personaggio geniale: è Luis Sepúlveda, per Ginevra un maestro. Come Margherita. L’incontro avviene a Pordenone: ogni anno il “Festival Dedica” organizza una cinque giorni per celebrare un autore letterario, durante i quali ci sono incontri, presentazioni di libri e dibattiti.
C’è anche una giornata di musica, nella quale esponenti del mondo della canzone d’autore affiancano il protagonista dell’evento: <<Nel 2015 l’ospita era Sepúlveda. È arrivato in Italia e ha chiesto di me. Quando ci siamo incontrati mi ha detto: “Ti ringrazio perché la tua musica mi ha ispirato. Ho fatto sentire le tue canzoni sulle chiatte dei pescatori in Patagonia: hanno imparato il Canto dei Sanfedisti>>. Come potevo immaginare che lui avesse un mio disco? È stato bello perché la musica ha fatto il suo corso in maniera naturale e ha unito persone lontane fra loro. Un vero dono. Quella sera a Pordenone abbiamo gettato le basi di uno spettacolo che abbiamo proposto qualche volta negli anni successivi: si chiama “Poesia senza patria”. È stata una grande fortuna poter condividere il palco con lui. La mia vita ha avuto dei bei maestri, dei fari luminosi da guardare che hanno contribuito a costruire il mio modo di pensare e a farmi sposare certi valori. Sono punti di riferimento a cui ritorno spesso>>.
I cantautori (di ieri e di oggi).
<<Ho sempre fatto scelte basate sulla mia libertà artistica e non ho inciso dischi a ritmi forzati solo per soddisfare le esigenze di una casa discografica. L’indipendenza mi ha permesso di costruire in libertà la mia carriera, con il supporto di Francesco e Andrea. Abbiamo seguito sempre le nostre capacità, i nostri desideri e le nostre possibilità>>. Il percorso di Ginevra è il frutto di scelte consapevoli, libere e indipendenti.
La sua poetica è a misura d’uomo. Canta l’amore in diverse accezioni e dà voce a chi non ce l’ha. Ama la contaminazione e il contatto con altre culture; nei testi delle canzoni interroga sulla complessità del mondo contemporaneo, anche attraverso la musica popolare: <<È importante sapere da dove veniamo per potersi orientare meglio nel presente e nel futuro. Da sempre sono attratta dalla musica popolare e sento l’esigenza di conoscere e tutelare le nostre radici: temi ricorrenti, prima con i CSI, poi da solista>>.
L’apertura ai generi musicali comincia con “Stazioni Lunari”, spettacolo nato ancora una volta da un’idea di Francesco e al quale partecipano diversi cantanti: <<È stato esaltante interpretare le canzoni scritte da altri. La mia voce mi ha seguita e aiutata; mi ha mostrato tutto il potenziale esplorando brani che non appartenevano al mio mondo artistico. Abbiamo fatto incontrare la musica popolare con persone che forse non l’avrebbero mai ascoltata. È importante conservare una matrice di sapore e immaginario dei brani originali, che rivisito con la mia sensibilità. È un equilibrio complicato da trovare, bisogna lavorare molto per raggiungerlo. Ma non mi piacciono le rivisitazioni che stravolgono il punto di partenza: è un gioco facile e sconclusionato>>.
Ginevra Di Marco realizza un’interpretazione d’autore nel disco “Quello che conta”: nato su commissione di Mario Setti – organizzatore di concerti fiorentino – contiene 15 tracce di Luigi Tenco, compianto artista piemontese morto suicida dopo un’esibizione al Festival di Sanremo nel 1967, a soli 29 anni. <<Setti voleva celebrare Tenco nell’anno in cui avrebbe compiuto ottant’anni: così nel 2018 mi ha proposto di incidere un album di cover con un quartetto d’archi. Abbiamo riproposto le tessiture armoniche e melodiche originali: un aspetto rilevante, perché molte delle canzoni scelte avevano arrangiamenti di Morricone. Tenco è stato un cantautore straordinario che ha scritto opere meravigliose, in un periodo di tempo molto breve. Tutta la mia famiglia l’ha amato>>.
Come altri cantautori nostrani, Tenco ha avuto la possibilità e il coraggio di scrivere brani per raccontare la sua visione del mondo, lontano da logiche di mercato. Anche Ginevra ha lo stesso approccio all’arte, indipendente (nel vero senso della parola) e sincero: <<Il mainstream sembra comandare le logiche e le esigenze dei giovani artisti. Noi abbiamo fatto parte di una generazione che faceva musica per necessità di esprimersi, per sfogare un bisogno che nasceva dentro di noi. Credevamo che la musica fosse un mezzo per analizzare la società, creare dubbi e smuovere coscienze. Era un atto necessario e autentico. Questo fermento ha portato alla nascita di diverse correnti musicali: quanta creatività abbiamo respirato negli anni ’80 e ’90? Invece adesso sembra tutto omologato. Anche la mentalità degli artisti è cambiata, e forse è la cosa più preoccupante>>.
Per la difficoltà di percorrere altre vie, il mainstream è spesso l’unica strada a disposizione degli artisti. Ci sono però delle eccezioni da non dimenticare: fra i cantautori già affermati – Brunori Sas, Max Gazzè, Niccolò Fabi, solo per citarne alcuni – ma anche fra i più giovani. Secondo Ginevra, Thasup ha il potenziale per creare qualcosa di nuovo. E anche Emma Nolde, cantautorale e poetica, può ritagliarsi il proprio spazio senza essere fagocitata dalle logiche dominanti dell’industria discografica.
Percorrere una strada alternativa è sempre più difficile, complice anche la riduzione degli spazi un tempo destinati alla subcultura. A Firenze lo sappiamo bene: chiusa la FLOG nel febbraio 2020, rimangono pochissimi posti in cui apprezzare artisti indipendenti e band emergenti.
Al contempo il mainstream regna sovrano in televisione, dove le trasmissioni che ospitano gruppi e cantanti sfornano talenti già confezionati secondo i canoni dell’industria musicale. Non va meglio sul web, dove ognuno è potenzialmente libero di percorrere la sua strada. Ma quanti artisti nati e sbocciati nel digitale sono fuori dalle dinamiche mainstream? Anche chi viene da lontano e ha una storia di rivincita da raccontare percorre spesso lo stesso tragitto, fa tappa negli uffici dei grandi produttori discografici e riparte verso la solita meta. Giovani e promettenti, nelle loro camere in provincia o in periferia hanno inciso in autonomia i brani e li hanno condivisi in rete, fino ad attirare l’attenzione di qualche etichetta musicale che li ha lanciati nel mondo dello spettacolo, con un vestito conformato alle esigenze del mercato. Vestiti in termini metaforici, ma anche alla lettera: oggi sembra che “l’alternativo” sia infatti demandato a come si veste un artista per salire sul palco, spesso con abiti delle griffe che celano sponsorizzazioni e che di alternativo non hanno niente.
<<Sai cosa c’è? – interviene Francesco: Prima la cultura era più variegata e accessibile a tutti. Penso agli anni ’80: quando ero ragazzo avevamo tanta possibilità di scelta fra concerti, spettacolo teatrali, film e mostre provenienti da scuole di pensiero differenti. Quando gli “estremi” culturali – come il teatro d’avanguardia o i concerti metal in Italia – sono vivi, testimoniano vitalità e diversità culturale; oggi sono sempre più sbiaditi, sintomo di una cultura omologata.
Invece i nostri cantautori gettavano costantemente uno sguardo sul mondo: anche le canzoni autobiografiche sono diventate patrimonio di tutti. L’esperienza da individuale diventa collettiva: è musica che unisce. Non credo però che al giorno d’oggi non ci siano artisti che vorrebbero fare un percorso alternativo: piuttosto, non hanno la possibilità di farsi ascoltare. Se è vero che internet schiude delle opportunità, è altrettanto vero che un artista fuori dal mainstream – e quindi meno conosciuto – avrà più difficoltà degli altri a essere proposto agli utenti dei social network dagli algoritmi, pensati per intercettare le esigenze delle persone connesse. Ci sarebbe un modo per tentare di guadagnarsi l’attenzione del pubblico: investire in pubblicità. Ma anche in questo caso, cosa possono fare gli artisti esordienti rispetto a quelli promossi dalle grandi case discografiche? Agganciata l’attenzione, l’algoritmo propone cantanti e gruppi simili a quelli pubblicizzati: sembra essere un sistema chiuso invece che aperto>>.
Anche i concerti sono sempre meno accessibili. Gli artisti sono dei lavoratori e come tali è giusto che guadagnino. Crollate le vendite di CD e vinili, i manager puntano forte sulle esibizioni, un tempo momento di promozione dell’ultimo album pubblicato e oggi fra le occasioni di guadagno più remunerative. Ma quanto costa andare agli spettacoli? Per molte persone è un sacrificio. La domanda sorge spontanea: perché un artista che colleziona sold out dovrebbe abbassare i prezzi dei biglietti, anche se sono alti?
È la legge del mercato a comandare. C’è però una grande differenza rispetto ad altri settori: la musica è cultura e per questo motivo dovrebbe essere accessibile ai più, non ai meno. Ginevra ha le idee chiare: <<Dovremmo cercare di mantenere il prezzo dei biglietti aderente a quello che è il valore di mercato di un artista. Costano molto di più di quello che dovrebbero, vanno fuori mercato e creano dei gap anche nell’offerta dei concerti. Francesco ha sempre avuto grande attenzione nel farmi percepire nella maniera giusta, sia per i luoghi dove ho cantato, sia per i costi richiesti sempre reali>>. Per Ginevra e Francesco gli spettacoli sono uno dei momenti più significativi della loro professione: <<Viviamo di live, sia perché non andiamo in televisione, sia perché sono l’espressione più bella del rapporto che abbiamo con la gente>>.
Quello che non ci siamo detti. O forse sì.
<<Quando ero ragazzo, a Firenze arrivavano artisti da tutto il mondo: nei locali c’era spazio sia per il cantante affermato, sia per la band emergente. Si mescolavano mondi anche lontani fra loro: proprietari dei club, artisti, organizzatori di eventi, costumisti, tecnici, giornalisti. Spazi in fermento, dove c’era uno scambio di idee incessante>>, racconta Francesco.
Se lo avessi incontrato con Ginevra negli anni ‘90 in quel locale alternativo, attorno a noi avremmo avuto anche queste persone. Chi può dire se questi tempi ritorneranno mai. Se lo faranno, difficile sia a stretto giro.
Per chi come me in quegli anni nemmeno era nato, fa strano provare una forma di nostalgia per un’epoca che abbiamo solo accarezzato. Sarà perché il cantautorato, fra le migliori espressioni artistiche del nostro paese, è in buona parte figlio della nostra subcultura, oggi sempre più scolorita; sarà perché non erano solo cantautori, ma veri e propri punti di riferimento (certe volte loro malgrado); sarà perché ci hanno lasciato delle canzoni che sembrano vere e proprie poesie; sarà perché è anche grazie ai loro testi che abbiamo creduto che un mondo diverso fosse possibile, stringendosi stretti l’un l’altro sotto le parole di una canzone.
Le cose cambiano e le arti non fanno eccezione. Demonizzare la musica contemporanea è fine a sé stesso: ogni generazione ha le proprie peculiarità e cresce nel contesto in cui si trova. Cantanti compresi. Se qualche decennio fa i cantautori hanno messo nero su bianco testi penetrati nelle antologie scolastiche è anche perché la società era diversa da oggi.
Cosa possono fare i nostalgici ortodossi della canzone d’autore? Non chiudersi negli anni d’oro dei propri gusti musicali è un ottimo punto di partenza. E anche di arrivo. Là fuori ci sono delle belle sorprese: ascoltare per credere. Anche se figli dei tempi moderni, i cantautori di oggi usano poco i social network, frequentano poco la televisione e raramente rilasciano interviste. Insomma, dobbiamo probabilmente andarli a scovare, ma ci sono.
È forse l’unica cosa che possiamo fare. Perché la nostra utopia non abbia mai fine.
Cover: Ginevra Di Marco. © Gianmarco Caroti.