Marina Abramović a Firenze

Ulay/Marina Abramović "AAA-AAA" 1978, video. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA, MAC/2017/041.

Palazzo Strozzi dedica una retrospettiva a Marina Abramović, la grande performance artista radicale. Una panoramica dei suoi lavori più famosi, dagli anni Settanta agli anni Duemila, in oltre 100 opere.

Negli anni ’70 la Jugoslavia ha conosciuto un decennio di produzione artistica così originale da essere apprezzata a livello internazionale. Il fatto che tale fermento culturale sia emerso in un paese socialista e autoritario è interessante quanto quell’’arte in sé.

Come fu possibile tale movimento?

Occorre fare un salto indietro alle famose contestazioni del ’’68, considerando che nell’Europa dell’Est solo la Cecoslovacchia con la sua “Primavera di Praga” e la Jugoslavia vissero le proteste giovanili.
A Belgrado l’’università fu occupata per una settimana e gli studenti resistettero con duri scontri contro la polizia fino allo sgombero. Rivendicavano riforme civili, economiche, un rinnovamento del sistema socialista e le donne, dal canto loro, manifestavano il rifiuto della famiglia patriarcale.

Marina Abramović, Artist Portrait with a Candle © dalla serie Places of Power, 2013, Courtesy of Marina Abramović Archive © Marina Abramović by SIAE 2018

L’autorevole presidente, il maresciallo Tito, in un famoso discorso alla nazione solidarizzò con gli studenti, chiese la fine delle barricate e promise migliori condizioni per i giovani. Le promesse non si fecero attendere e la Jugoslavia visse un’irripetibile stagione di libertà sconosciute agli altri paesi socialisti, inoltre lo stato sosteneva gli artisti con incentivi e un fondo pensionistico senza chiedere propaganda in cambio.
In quel clima favorevole, una generazione di artisti emerse grazie alla possibilità di investire sul proprio talento, inaugurando così un’’età dell’oro per cinema, teatro, pittura e narrativa. Tale scena è stata definita come “Radicalismo” poiché questi creativi erano accomunati dalla volontà o spirito di voler scioccare il pubblico, le loro opere puntavano il dito sulle contraddizioni della società jugoslava che  cercava un equilibrio tra autoritarismo e autogestione, socialismo e consumismo.
Facendosi beffe del Partito, fomentarono il paradosso del sistema politico che li finanziava, sostenendo che criticare la loro arte significava criticare il Socialismo. Il Partito a volte censurava, ma tendenzialmente chiudeva un occhio permettendo la “dissidenza creativa” e la diffusione pure anche di performance estreme. Di questi creativi radicali, Marina Abramović è il più famoso esempio di artista prodotto da quella scena.

y/Marina Abramović Relation in Space 1976, video ½’’ VHS trasferito su supporto digitale (b/n, sonoro), 59’28’’. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA, MAC/2017/036. Courtesy of Marina Abramović Archives. Marina Abramović by SIAE 2018

Proprio a lei, dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019, Palazzo Strozzi dedica una grande mostra: una straordinaria retrospettiva che riunirà oltre 100 opere, una panoramica dei suoi lavori più famosi, dagli anni Settanta agli anni Duemila.
Infatti fin dagli anni ’70 l’Italia dimostra il proprio interesse nei confronti della Abramović fin dagli inizi della sua carriera: nel 1973 viene invitata a Roma per partecipare alla mostra Contemporanea, una mostra in cui presenta Rhythm 10 prendendo spunto da un gioco dei contadini russi e jugoslavi, proponendo una rivisitazione originale della roulette russa.  
Nel 1975 invece realizza Rhythm 0, la sua performance più famosa: una stanza, un tavolo con e 72 oggetti disposti (si spazia da un martello, a una sega, una piuma, una forchetta, un’ascia, una rosa, un paio di forbici, aghi, una penna, del miele, un coltello, uno specchio, un rossetto e molti altri…), Marina sta al centro come una tela su cui gli spettatori possono fare ciò che vogliono: «Pensavo che mi avrebbero uccisa» dirà. Invece, fortunatamente, non è accaduto.
Riguardo all’Italia, Marina racconta: «È stato il primo Paese ad accogliere la mia arte, il primo, dopo il mio paese di origine, dove ho messo in scena le mie performance. L’Italia mi ha dato l’opportunità di iniziare la mia carriera, per me è stato importante e anche inusuale, perché all’epoca non c’erano molte donne che facevano performing art. C’erano donne nell’arte e donne che facevamo le mogli degli artisti, ma nessuna che faceva quello che facevo io».
Inoltre, sempre in Italia, ha ottenuto un importante riconoscimento: il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1997 con Balkan Baroque, l’opera di denuncia della guerra in Jugoslavia.

Marina Abramović “Rhythm 0” 1974. New York, Abramović LLC Courtesy of Marina Abramović Archives e Lisson Gallery, London, MAC/2017/025.

Un legame stretto e duraturo dunque, che trova conferma proprio in questa retrospettiva dal titolo allusivo The Cleaner, su cui l’artista spiega:
«Il passato non mi interessa. L’unico momento in cui lo rivisito è quando faccio le pulizie, come quando si butta tutto, per questo il titolo è The Cleaner. Voglio dare al pubblico il meglio. Ho una grossa responsabilità verso di lui. Il mio pubblico è molto giovane, anche ragazzi di 15, 16, 17 anni che portano i genitori. Voglio mostrare a loro quanto sia difficile diventare un’artista, voglio che vedano il meglio».
Sicuramente il pubblico  è parte essenziale nell’intenzione creativa della Abramović che costruisce performance estese, dialogate, condivise, in cui utilizza sé stessa e il proprio corpo come mezzo creativo, materico. Gli spettatori non sono dei semplici “‘osservatori”’ più o meno critici o entusiasti, ma sono co-protagonisti di quella che si definisce “re-performance”: esibizione prolungata nel tempo in cui, situazioni di uso comune (mangiare, bere, dormire, ecc…), diventano momenti creativi, che autoalimentano l’esibizione stessa.
Una visione poliedrica, innovativa, profondamente interagita quella della Abramović, che descrive la sua interpretazione artistica come “materia di scambio”:
«Io creo arte, la metto nel mondo e poi le interpretazioni sono quelle che sono. L’esempio che faccio sempre è il film Rashomon di Akira Kurosawa: sette persone con sette versioni diverse della stessa storia. Quando dai vita a un pezzo d’arte non puoi controllarne l’uso. Non è neanche il mio lavoro farlo».
Un’arte che si dà, totalmente e senza restrizioni, ai suoi spettatori che sono parte integrante e diretta di un processo e di un orizzonte creativo ambizioso e unico, potenzialmente infinito e eterno: «Il corpo muore, ma l’energia no. Siamo tutti mortali, bisogna trovare soluzioni alternative».
La vita, in fondo, è un’opera d’arte.
Marina Abramović. The Cleaner
Palazzo Strozzi, Firenze
Dal 21 settembre 2018 al 20 gennaio 2019
Tutti i giorni inclusi i festivi 10.00-20.00. Giovedì: 10.00-23.00
Tel +39 055 2645155
info@palazzostrozzi.org

Articolo a cura di Rita Barbieri e Francesco Sani