Michelucci a Firenze: dove poter ammirare il lavoro dell’architetto

Michelucci

In occasione della presentazione della monografia su Giovanni Michelucci – che racconta il percorso e la personalità dell’architetto toscano – vi ricordiamo le opere da lui progettate presenti a Firenze.

ll modo in cui viviamo gli spazi è profondamente legato alla nostra identità e cultura. L’abitare è qualcosa di profondamente connesso alla nostra prospettiva sul mondo e ai nostri valori. Ecco perché un architetto non si occupa unicamente di progettare un edificio ma molto spesso si fa interprete delle dinamiche sociali. Questo ruolo è stato brillantemente ricoperto dal toscano Giovanni Michelucci che si è impegnato per tutta la sua vita a pianificare una nuova città inclusiva e innovativa. Un uomo empatico, curioso che credeva nel “fare città” e nel cantiere come un luogo felice, che amava circondarsi di giovani e apprezzava la compagnia e l’impegno di tutti i suoi collaboratori: dai progettisti agli operai. Come ci racconta su di lui Andrea Aleardi – collega di Michelucci – “aveva un senso di futuro, persistente e trascinante che non gli ha mai fatto perdere quella felice speranza come dimensione esistenziale, profondamente umana.”

Stazione di Firenze Santa Maria Novella

Con l’intento di raccogliere il suo operato sia a livello professionale che umano – quello di Michelucci è un percorso che si muove dall’architettura fascista fino a quella post moderna – è stata pubblicata una monografia edita da Angelo Pontecorboli. La pubblicazione è stata curata appunto da Andrea Aleardi, direttore della Fondazione Giovanni Michelucci ed è stata realizzata grazie al contributo del Ministero della Cultura Direzione generale Educazione Ricerca e Istituti culturali e dalla Regione Toscana. Siamo stati alla presentazione che si è tenuta il 23 febbraio scorso e abbiamo pensato di ricordare in un articolo tutti gli edifici progettati dall’architetto toscano che chi vive o frequenta Firenze ha spesso sotto gli occhi senza sapere che sono frutto del suo lavoro.

1.La Stazione di Firenze Santa Maria Novella e la Palazzina Reale

Sicuramente vi sarà capitato di prendere un treno da Firenze Santa Maria Novella o di passare in Stazione ma vi siete mai chiesti chi c’è dietro al suo primo progetto architettonico: proprio Michelucci. L’architetto si è occupato sia del fabbricato viaggiatori che della Palazzina Reale. Per quanto riguarda il primo partecipò al concorso del 1932 con un gruppi di giovani colleghi – Berardi, Baroni, Gamberini, Lusanna, Guarnieri – vincendo il bando. Il gruppo toscano ha dato vita ad una galleria di 106 metri dall’andamento orizzontale. Una struttura che si inserisce perfettamente nell’ambiente circostante con il suo volume compatto e lo stile essenziale che ben si adegua alla dirimpettaia Chiesa. Il piano di copertura in vetro dà un tocco scenografico all’edificio insieme ai diversi marmi colorati dei rivestimenti degli interni e le pavimentazioni così come le finiture in legno e bronzo. Ancora oggi la Stazione di Santa Maria Novella- dalla forma scatolare – è contemporanea e perfettamente funzionale ed è stata definita da Frank Lyon Wright nel 1951 come l’opera più organica del panorama architettonico italiano. Invece, la Palazzina Reale – situata all’estremità dell’area vicino a Via Valfonda – era destinata appunto alla famiglia reale e ancora ora mantiene il suo aspetto originario. Un ambiente raffinato ed intimo costruito con materiali pregiati. Il tutto impreziosito dalle statue “L’Arno e la sua valle” di Italo Griselli situate in una vasca interrata rivestite in tessere azzurre e bordata in marmo.

.

Palazzina Reale

2. Ponte alle Grazie

Precedentemente era chiamato Ponte di Rubamonte dal nome del podestà che lo aveva fatto costruire su disegno di Vasari. Resistette a tutte le alluvioni fino al 1944 quando fu fatto crollare dalle truppe naziste. Fu Michelucci a vincere il concorso per la sua ricostruzione l’anno successivo con Edoardo Detti, Riccardo Gizdulich, Danilo Santi e l’ingegner Piero Melucci. Il progetto iniziale subì molte modifiche – come un ridimensionamento dell’altezza delle pile che avrebbero dovuto generare un’uscita dell’acqua maestosa – per articolarsi infine nella struttura che vediamo oggi a cinque arcate in cemento rivestito da pietraforte. Il Ponte alle Grazie è uno dei ponti che ci troviamo spesso ad attraversare per andare in Oltrarno, un’opera di Michelucci che tutt’ora utilizziamo e che perfettamente si inserisce nel patrimonio artistico di Firenze pur rappresentando un’idea moderna di architettura.

3. Edificio INA in Lungarno del Tempio

Siamo sempre in centro, nelle vicinanze di Ponte San Niccolò. Qui INA affida a Michelucci il disegno di un palazzo che possa accogliere sia residenze, che uffici e negozi. L’architetto e l’ingegnere Ivo Tagliaventi progettano una realtà composta da tre blocchi al piano terra per uso commerciale che invece al piano superiore si unificano grazie ai corpi di scala. Con fronte sfrangiato rispetto alla strada, il palazzo presenta delle logge alternate, balconi e aperture con infissi in legno e si adatta perfettamente al tessuto urbano ottocentesco.

Giovanni Michelucci – (Foto dalla pagina Facebook della Fondazione Giovanni Michelucci)

4.Residenza Contini- Bonacossi

In questa costruzione è possibile vedere il senso di caratterizzazione degli ambienti molto caro a Michelucci. Il basamento in pietraforte che dà continuità con gli spazi circostanti, le listature in marmo botticino, le fasce marcapiano in calcestruzzo danno vita ad un edificio bicolore elegante e compatto. L’edificio inizialmente nacque come dependance della villa Contini- Bonacossi attualmente, invece, al piano terra si trovano i negozi mentre i tre piani superiori sono per le abitazioni.

5. L’edificio in via dello Sprone

Nel 1954 sempre la società INA incaricò Michelucci di progettare un edificio che potesse essere adatto sia ad ospitare degli appartamenti ai piani alti che degli spazi commerciali a livello strada. Così, in Via dello Sprone 1 è stato costruito un palazzo con impianto ad L che si articola intorno ad una corte interna. Anche in questa costruzione, come in tutte le sue opere, l’architetto toscano ha saputo interpretare le tendenze dell’epoca – come la relazione casa bottega – e l’estetica di Firenze. Infatti, l’edificio è considerato un esempio di inserimento di architettura moderna – con il rivestimento in pietra forte, il tetto aggettante – in una città storica.

Edificio in Via dello Sprone

6.Palazzo delle Poste in Via Pietrapiana

Questa struttura non è solo la casa delle Poste ma anche di uffici, abitazioni e spazi aperti al pubblico. Insolito con i suoi slittamenti dei piani e gli scarti dei volumi dei fronti, il palazzo rappresenta il volere di Michelucci di calare nel tessuto urbano circostante ogni sua opera generando delle relazioni con tutto ciò che le circonda. La maestria dell’architetto Toscano è stata quella di riuscire ad unire lo stile ottocentesco con le tendenze moderne e ogni suo progetto è testimonianza di ciò. Il suo obiettivo era quello di portare nelle forme le persone che poi faranno uso di ciò che il suo lavoro ha generato.

7.La Limonaia di Villa Strozzi

In ferro e vetro, la limonaia di Villa Strozzi dialoga con il giardino configurandosi come un open space luminoso adatto a diverse tipologie di eventi. La struttura è stata ricavata dagli edifici adiacenti che facevano parte del palazzo d’Inverno. Michelucci avviò i lavori nel 1973 e conferì alla limonaia una nuova architettura con una partitura delle serliane, con un bacino d’acqua che si estende sui tre lati e con le passarelle aeree. Attualmente la location è utilizzata per tante iniziative come feste, spettacoli e concerti. Un ambiente magico, pensato per essere un polo di cultura e di incontro.

La Limonaia di Villa Strozzi (Foto dalla pagina Facebook della Fondazione Giovanni Michelucci)

8.Il quartiere dell’Isolotto

Progettare un quartiere significa anche immaginare la vita delle persone che lo abiteranno; nessuno meglio di Michelucci poteva portare a termine questo compito. Con l’intento di realizzare un “quartiere autosufficiente” che potesse essere anche un “villaggio giardino” – incaricato da INA e con l’aiuto di Sirio Pastorini, Mario Pellegrini, Ferdinando Poggi, Francesco Tiezzi, Burci e Alessandro Giuntioli – l’architetto ha ideato il quartiere dell’Isolotto. Quest’ultimo si articola intorno ad un parco longitudinale che collega tutto l’ambiente: dalla piazza alla scuola e i lotti residenziali. L’intera area ruota intorno agli spazi verdi articolati gerarchicamente che differiscono per usi sociali. Questa organizzazione rispecchia pienamente il modus operandi di Michelucci che prima di tutto guardava ai valori e alle funzioni sociali.

Disegno Michelucci 1945 (Foto dalla pagina Facebook della Fondazione Giovanni Michelucci)

L’architetto toscano si è inoltre occupato dell’intervento sulle Sale dei primitivi agli Uffizi, è stato coinvolto nel progetto partecipativo del Giardino degli incontri del Carcere di Sollicciano e ha disegnato la sede Centrale della Cassa di Risparmio di Firenze. Per quest’ultima ha ideato un percorso che desse continuità con la strada e in generale con la città per comunicare che l’attività della banca si inserisce nella più ampia vita sociale.

Giardino degli Incontri nel carcere di Sollicciano

La testimonianza di Giovanni Michelucci – rappresentata sia dalle opere che possiamo ammirare sia dalla monografia che ne racconta l’animo e l’idea di architettura, quest’ultima portata avanti dalla Fondazione a partire dagli anni 80 – ci ricordano quanto il modo di immaginare, progettare e poi realizzare gli edifici indichino la prospettiva con cui guardiamo al vivere insieme. I progetti degli ambienti in cui andremo ad abitare o in cui si terrà parte delle nostre giornate in condivisione con gli altri sono quindi indicatori della società futura in cui vogliamo vivere. Proprio per questo Michelucci portava avanti con gioia il mestiere dell’architetto perché sentiva di essere parte di un progetto condiviso dalla comunità intera.

“Cosi che oggi, a questa età avanzata, io provo felicità (uso questo termine nel senso più proprio: che «felice» è chi ha o crede di avere ciò che può desiderare) quando sul lavoro, avvicinando gli operai che realizzano ciò che io ho pensato, comprendo l’impegno di ognuno di essi, e la mia respon-sabilità di uomo mi si svela e si unisce alle singole infinite altre responsabilità di uomini, per cui, non più solo nell’im-pegno e nelle responsabilità, avverto in atto quella «colla-borazione» che allontana da ogni polemica e avvicina tutti per necessità, per concordanza d’intenti e per consonanza d’interesse umano […]. Questo obiettivo […] è il solo per me accettabile, come posizione mentale e morale dell’artista di fronte al suo lavoro.”

Una figura d’esempio per il senso comunitario, per la prospettiva che la propria identità si rafforzi in quella collettiva, per la visione d’insieme basata principalmente sulla condivisione e sulla passione. Valori questi che sono le fondamenta necessarie perché il futuro migliore verso cui aspiriamo sia ben saldo e ben costruito.

Seguici per conoscere altre curiosità sulla città e personaggi che ne hanno scritto la storia