Alla Tobian Art Gallery Tabù. Classico Contemporaneo, la prima personale dell’artista fiorentina, che riflette su alcuni tabù della società contemporanea tramite i grandi classici dell’arte.
L’artista Cecilia Cosci da due anni a questa parte si cimenta nella creazione di montage, composizioni percorse da una cifra incontenibilmente ironica che nascono dall’incastro di ritagli raffiguranti parti di opere pittoriche medievali, rinascimentali fino ad arrivare all’Ottocento e realizzate servendosi soltanto di carta, cartone, forbici e colla.
Il termine montage richiama collage, ed è un omaggio al cinema in cui la creazione dell’opera avviene proprio nella fase di montaggio. Un’operazione, quest’ultima, che scartando e ricombinando parti di opere diverse, fa emergere significati potenziali e nascosti che suscitano un sorriso o una riflessione, imponendo allo sguardo una realtà di solito rimossa.
Si tratta di un’operazione di scomposizione e ricomposizione di opere tratte da un immaginario artistico familiare: libri, cartoline, riviste, brochure e a volte immagini stampate appositamente da internet per dare vita a “nuovi montaggi, accostamenti inediti, apparentemente tanto incongrui da lasciare interdetti, funzionalmente tanto efficaci da strappare un sorriso, una riflessione, una riconsiderazione”, come osserva Gianni Pozzi, che aggiunge: “Le sue figure, ritagliate, ingigantite, decontestualizzate rimangono nel mondo della raffigurazione artistica, ma tutto viene riformulato e se ne mostra un’altra vitalità, una possibilità non prevista. Si rende altrimenti leggibile una storia, quella dell’arte dei giganti o dei padri, attraverso apparizioni fulminee, non più in una continuità spazio temporale, ma che, così rinnovate, interpellano in un’operazione critica lo spettatore, facendo vedere quello che la consuetudine impedisce di cogliere”.
Un processo che mi ha ricordato quello teorizzato da André Malraux, ministro della cultura del governo de Gaulle, nel suo “Museo Immaginario”: se è vero che il museo libera l’arte dal proprio contesto originale, la riproduzione fotografica, su cui l’intuizione del Museo Immaginario si basa, libera l’opera d’arte da se stessa. Le innumerevoli possibilità di manipolazione, che una fotografia offre all’oggetto che riproduce, permettono, attraverso l’uso di dettagli isolati, ingrandimenti e accostamenti spregiudicati e impensabili, di chiarire il carattere comune che qualifica la totalità delle opere d’arte.
Nelle opere di Cecilia, liberati dal contesto figurativo di appartenenza, animati e non, i protagonisti dei capolavori della storia dell’arte sedimentatisi ormai nel nostro patrimonio culturale creano insolite connessioni prendendo nuova vita e aprendo la strada a interpretazioni e significati imprevisti e magicamente attuali.
Abbiamo intervistato Cecilia Cosci per farci svelare come nascono i suoi montage.
Come nascono i tuoi montage?
Quado creo un’opera è come se la parte conscia e quella inconscia si alternassero selezionando, combinando, creando collegamenti fra ciò che so e ciò che provo fino ad ottenere qualcosa di nuovo. Il punto di partenza può essere un’idea, una sensazione, un’immagine che affiorano tra la veglia e il sonno dando inizio ad un paziente lavoro fatto tutto artigianalmente.
Quindi il processo creativo che hai adottato prevede l’isolamento di alcuni particolari presi da famose opere d’arte e ricombinati per dare un nuovo significato alle opere d’arte?
Esatto, credo che le opere d’arte siano un patrimonio prezioso di tutti gli uomini, ma spesso non ce ne rendiamo conto. Il mio è un modo per riappropriarci di questi capolavori, per renderli attuali e per poterli apprezzare davvero. Cerco di creare nuovi significati dietro a queste opere, di renderle portavoce di situazioni attuali e di contesti contemporanei.
Dietro alla tua operazione artistica dunque non c’è alcun intento dissacratorio o iconoclasta?
No, non c’è assolutamente l’intenzione di essere dissacratoria. Io mi sono laureata in storia dell’arte, ho quindi un vero amore e una passione per queste opere d’arte. Proprio per questo ho voluto cercare di renderle più vicine a chiunque, per dimostrare che non sono qualcosa di lontano dalla vita quotidiana di ognuno di noi, anzi. A ciò si è aggiunta una vera urgenza creativa; ho avuto una passione per l’arte e soprattutto per il disegno fin da piccola, poi sono passata allo studio e alla teoria ma recentemente è tornato vivo il desiderio di esprimermi artisticamente.
In questi montage intervieni anche pittoricamente?
Non ho intenzione di andare a stravolgere le opere, voglio che siano riconoscibili. Per questo i miei sono solo piccoli interventi pittorici funzionali alle composizioni come ad esempio linee che dividono le immagini per dare maggior risalto al concetto espresso dall’opera.
Quella alla Tobian Art Gallery è la tua prima personale e si intitola Tabù. Classico Contemporaneo. Quali sono i tabù espressi in questa mostra?
Innanzitutto tabù è andare a toccare questi mostri sacri che sono i grandi classici dell’arte, solitamente ritenuti intoccabili ma che per questo rischiano di diventare sterili fossili. Tabù nel tabù è fare questa operazione proprio a Firenze, culla del Rinascimento e dei grandi capolavori dell’arte per eccellenza. In secondo luogo i tabù sono quelli trattati dalle opere, temi scomodi, di cui ancor oggi si parla poco, con difficoltà o sui quali c’è ancora molta confusione come la disparità di genere e l’omosessualità, la violenza sulle donne, il ruolo nella società contemporanea e la libertà del genere femminile. Ne è un esempio l’opera intitolata Il Principio di Archimede, in cui, il braccio armato del personaggio che figura nell’Incoronazione di spine di Caravaggio tenta invano di spingere fuori dal perimetro della raffigurazione la testa di Monna Lisa, nel cui sguardo sembra di poter cogliere un’insopprimibile ironia: la sottomissione a cui è costretta in fondo è solo momentanea, se è vero, secondo una lettura suggerita forse anche dal titolo dell’opera, che la donna riceve da Madre Terra una spinta tale da contrastare prima o poi qualunque tentativo di asservimento.
Oppure come In Eva in cui la donna che figura in Meditazione di Hayez è immersa in un paesaggio primordiale, quello dell’incantatrice di serpenti dipinto dal Doganiere, coprendo tutti i riferimenti ai fatti storici contemporanei, come la croce che recava la data della sconfitta dell’esercito piemontese nella prima guerra d’Indipendenza. Quello che mi interessa del quadro di Hayez è lo sguardo determinato sfoderato dalla protagonista, che fa di quella figura un’Eva moderna, una creatura indipendente, non accondiscendente, scomoda e paziente perché sa cosa vuole e come ottenerlo.
Cecilia Cosci è figlia di Firenze, dove vive dal 1973. Laureata in storia dell’arte, prima di dedicarsi all’insegnamento, è stata redattrice per il canale televisivo TMC2 e per la rivista Art e Dossier della casa editrice Giunti. Alla sua passione per l’arte figurativa, per il cinema e la musica, unisce l’amore per le fiabe, che ha messo in scena in spettacoli per bambini con la compagnia teatrale Gli Asini di Mercadante.
Tabù Classico Contemporaneo. Opere di Cecilia Cosci 28 maggio – 19 giugno 2021, a cura di Gisella Guarducci
Tobian Art Gallery, Via Maggio 78r, Firenze
da martedì a domenica ore 10.30 – 13.10 e 14.30 – 20.00, lunedì chiuso Ingresso libero, Telefono: +39 055 5326272, +39 346 3165701
email: tobianart@gmail.com – www.tobianart.com