OnLife: una mostra online che risponde all’impasse globale del momento

onlife mostra

In questo periodo così incerto si leggono molti articoli sul futuro del mondo dell’arte, sulle esposizioni, le fiere e i musei e spesso si dice che non torneremo più a quel modo di fruire dell’arte a cui eravamo abituati. Secondo te il tramite di internet, come nel caso di Onlife, può essere una nuova prospettiva da adottare anche a lungo termine nel futuro delle esposizioni? E questo come può cambiare le relazioni sociali di cui l’arte e gli eventi artistici sono da sempre un importante tramite?

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courtesy Giacomo Zaganelli, OnLife

Se – in relazione ai limiti imposti a livello planetario per contrastare la diffusione della pandemia – l’unico spazio pubblico possibile è quello web, allora ritengo che questa circostanza rappresenti un’occasione unica con cui confrontarsi. OnLife non ha niente a che vedere con l’idea dell’esaltazione di internet come prossimo e unico orizzonte attraverso cui fruire l’arte. Personalmente mi auguro che questo non avvenga ma ritengo che tutto ciò che può offrire un nuovo punto di vista attraverso cui osservare il quotidiano meriti di essere approfondito. Il punto è proprio questo e coincide con il ribaltamento del piano. Io per primo fino a qualche giorno fa, in maniera forse presuntuosa, avrei storto la bocca sentendo parlare di mostre online, anche perché la maggior parte di esse consisteva (e consiste tutt’oggi) in tour virtuali di spazi veri o adattamento di mostre reali allo spazio digitale. Qui invece, la mostra, è diventata l’occasione per stimolare un dibattito sulle potenzialità dello strumento web sia in termini di coinvolgimento di pubblico che di fruizione di contenuti, in relazione a una questione come quella dell’Arte, caratterizzata da fin troppe sovrastrutture che non fanno altro che limitarne le possibilità espressive.

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courtesy Leone Contini, OnLife

Più che parlare di futuro del mondo dell’arte e della cultura, ritengo sia il caso di parlare del suo presente, ponendo l’attenzione su due aspetti su cui vale la pena riflettere. Il primo è che il mercato dell’arte non ha risentito minimamente degli effetti della crisi, anzi, gli introiti effettuati dalle gallerie, tramite le vendite online in questi due mesi, sono aumentati in maniera esponenziale. Il secondo risiede, invece, nella reazione fin troppo sterile intrapresa dalla maggior parte dei musei e da tutte quelle istituzioni culturali che dovrebbero essere portatrici di cultura, promotrici di nuovi messaggi e ispiratrici di visioni. Davvero non potevano fare di più che riversare quasi integralmente la propria attività sui rispettivi canali social, raccontando una volta di più le loro collezioni e dando vita a una maratona senza fine di contenuti – a tratti anche interessanti – che non contribuisce ad altro, se non a una percezione di generale appiattimento e omologazione digitale?

Citando Angel Luis Lara il problema non è “il capitalismo in sé, ma il capitalismo in me”.

Questa esposizione nasce dall’esigenza di non arrestarsi davanti a una trasformazione che nell’arco di un tempo brevissimo ha sconvolto sistemi sociali, imprese, istituzioni, diritti civili e personali. Perché ritieni importante anche in questo momento così difficile continuare a dar voce all’operare artistico?

“Continuare a dar voce all’operare artistico” suona davvero male, specialmente in un momento come quello attuale in cui tutte le scuole, le biblioteche, i musei e i centri culturali sono chiusi e la fruizione della cultura è decisamente limitata, poiché relegata al solo ambiente domestico. L’arte ha la capacità di svelare il quotidiano sotto punti di vista altri, contrastando l’unico messaggio monotematico e psico-terroristico propinato da tutti i principali canali di informazione di massa. Ma soprattutto, l’arte ha un potere unico che è quello di portare le persone a riflettere senza che esse stesse si accorgano dello sforzo intellettuale che stanno compiendo e, oggi più che mai, abbiamo bisogno di riappropriarci della nostra concentrazione, quasi completamente assorbita dal nuovo fenomeno infodemico.

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courtesy Silvia Piantini, OnLife

Citando Angel Luis Lara il problema non è “il capitalismo in sé, ma il capitalismo in me”. È  inutile continuare a parlare di cambiamento e dell’enorme opportunità offerta da questo straordinario stallo globale per ripensare noi stessi, se poi siamo i primi a non voler rinunciare ai piccoli sprechi quotidiani celati sotto il velo di imprescindibili comodità.