Andrea Battiata, botanico, agronomo e consigliere della Società Toscana di Orticultura, ci spiega perché l’agricoltura bioattiva rappresenta lo step successivo a quella biologica e come tra lombrichi, microrganismi e flashback storici, ci permetterà di migliorare la qualità delle nostre vite.
Come nasce l’idea di un orto bioattivo?
“Per vari motivi sono diventato vegetariano e non riuscivo a capacitarmi del fatto che avrei dovuto mangiare insalate insipide per il resto della mia vita. Mia moglie un giorno mi ha preso da parte e mi ha detto: Andrea, possibile che un agronomo come te, che ha girato mezzo mondo e ha visto di tutto, non possa farsi un orto tutto suo? Parole sagge. Ho iniziato a studiare e a documentarmi, ho letto libri di molti esperti, tra cui Fritjof Capra e Michael Pollan. Non volevo fare un orto come tanti altri, ma sperimentare qualcosa di nuovo. Anche se paradossalmente nelle tecniche dell’agricoltura bioattiva di nuovo non c’è proprio niente: ho solo rimesso insieme i pezzi del puzzle della storia agronomica. Gli orti rialzati? Già esistevano nei monasteri cistercensi ai tempi del medioevo; l’utilizzo di sabbie vulcaniche? Le più grandi coltivazioni ai tempi dei Romani si trovavano sotto l’Etna e il Vesuvio. Nulla di nuovo. Siamo talmente presi nello sperimentare nuove tecnologie che ci dimentichiamo della storia.”
In breve, in cosa consiste?
“La particolarità, e allo stesso tempo semplicità, dell’orto bioattivo è data dalla coesistenza sinergica di radici, macro e microrganismi, oltre ad elementi minerali e materie prime locali. I lombrichi ad esempio sono fondamentali: già Charles Darwin ai tempi li definiva “l’oro nero della terra”. Questa alta densità di materia organica rende l’orto un piccolo ecosistema a sé capace di rigenerare in modo ciclico la propria fertilità. In poche parole, è un orto in grado di auto-rigenerarsi. Per questo una volta creato e sistemato, non ha bisogno di grandi cure: è un metodo semplice, duplicabile, adatto anche a un terrazzino in città. In pratica cerchiamo di riprodurre i meccanismi del bosco e, più in grande, delle foreste pluviali, che si autoalimentano naturalmente. Sono stato in Brasile nelle foreste, e mentre tutti guardavano in alto, le piante e i meravigliosi uccelli tropicali, io guardavo in basso: ho osservato il terreno, era morbido e formato da tutti gli scarti naturali della foresta. Tutto torna ad essere terra, fa nascere nuove forme di vita e il ciclo ricomincia.”
Oggi va molto di moda il biologico. È davvero il massimo a cui possiamo aspirare o solo l’ennesimo “meno peggio” tra le varie opzioni? E qual è la differenza tra un prodotto bioattivo e uno biologico?
“È decisamente l’opzione “meno peggiore”, e questo lo vediamo dalle proprietà degli ortaggi. Il metodo bioattivo è un passo avanti rispetto al biologico nel senso che parte dalle stesse premesse (non vengono usati concimi chimici), ma lo supera perché è in grado di restituire agli ortaggi le proprietà che avrebbero in natura. I cosiddetti “ortaggi bioattivi e nutraceutici” recuperano le naturali percentuali delle loro proprietà: si pensi che le verdure coltivate con metodi tradizionali hanno il 60% in meno di proprietà che avrebbero avuto se cresciute in natura! Anche qui nulla di nuovo: si restituisce qualcosa che già apparteneva alle piante in modo naturale, ma che con decenni di sistemi intensivi industriali abbiamo perso.”
Spesso quando si parla di metodi alimentari alternativi viene da chiedersi come si possano estendere a livello globale: cioè è possibile sfamare nove miliardi di persone con questo metodo?
“Assolutamente sì. A parte il fatto che ogni anno un terzo del cibo prodotto viene sprecato, e già solo a livello distributivo ci sarebbero parecchie questioni da sollevare. Ma torniamo al nostro orto bioattivo. Il fatto che il metodo sia totalmente naturale non implica che non sia estendibile a livello globale. Prima di tutto si tratta di un metodo di agricoltura bio-intensiva, per cui anche la quantità degli ortaggi prodotti è superiore rispetto a quella tradizionale, oltre alla qualità. Dopodiché si utilizzano materie prime locali, per cui oltre a ridurre i costi su concimi chimici e altre sostanze dispendiose e dannose, si evitano sprechi di tonnellate di materiali organici, che vengono compostati e riutilizzati per gli orti. Si pensi agli ettari di terreni nel mondo coltivati in modo industriale: terreni inariditi che perdono ogni giorno parte delle loro proprietà naturali. Alcune stime della FAO indicano che se i ritmi attuali di degradazione della terra continueranno, nel 2020 perderemo altri 8,3 milioni di ettari di terra arabile rispetto al 1960. Ecco, se trovassimo il modo di sostituire ognuna di quelle coltivazioni con il metodo bioattivo, i benefici andrebbero in entrambe le direzioni: per i consumatori, che avrebbero a disposizione una quantità sufficiente di ortaggi di alta qualità, e per i terreni, che andrebbero a recuperare tutta la loro potenzialità in termini di proprietà naturali.”
Torniamo un attimo a Firenze. Come siete organizzati con le realtà fiorentine?
“L’idea è di ri-pensare i nostri sistemi alimentari locali, cercando di influire in modo positivo sulla comunità e sulle persone. Qui per la distribuzione collaboriamo con la cooperativa Semele, attraverso cui i consumatori hanno la possibilità di sostenere in modo attivo questo percorso di trasformazione per un’agricoltura più fertile ma anche importante per l’economia del territorio, nel rispetto dei valori etici e dei lavoratori coinvolti. A Firenze collaboriamo con diverse realtà, dalle scuole alle università, dall’orto botanico di Via Micheli a Impact Hub a Rifredi, NOA Food (di cui vi abbiamo parlato in un recente articolo, leggi qui ) con lo scopo di sensibilizzare più persone possibili alla questione e far comprendere in modo completo le possibilità concrete di cambiamento che abbiamo in mano. Anche il fatto che questo metodo si stia sviluppando a Cuba nello stesso periodo, senza che vi sia stato alcun contatto, è un segnale: c’è una certa sincronicità in tutto questo. E non possiamo ignorarla. Le potenzialità di cui disponiamo potrebbero incidere su aspetti sia locali che globali: dalla produzione e la distribuzione alla qualità del cibo che mangiamo, fino all’impatto del clima.”
In sostanza, stiamo parlando del primo progetto di alimentazione naturale sostenibile a Firenze. Comprovato da studi di ricerca dell’Università di Pisa, sul metodo di orto bioattivo potremmo scrivere un libro intero, e non sarebbe comunque esaustivo: in continua sperimentazione è al centro di numerosi progetti universitari, divulgativi, educativi e sociali. I temi collegati sono tanti: etica, cultura, società e ricerca scientifica si intrecciano in modo indissolubile. Insomma, ora che il puzzle è stato ricostruito, cerchiamo almeno di non disperderne di nuovo i pezzi!
Info:
www.ortobioattivo.com
fb: https://www.facebook.com/ortobioattivo
Roberta Poggi