Perché si dice bubbolare

bubbolare

Ve lo siete mai chiesto perché si dice bubbolare?

Se ormai la diatriba ‘panettone/ pandoro’ può dirsi risolta e i buoni propositi per il 2019 stilati, l’altro grande protagonista delle conversazioni più o meno di circostanza nel periodo invernale è il FREDDO.

O meglio, il DIACCIO (spesso rinforzato dall’aggettivo ‘marmaho’ =marmato, da ‘marmo’ materiale famoso per essere del tutto refrattario al calore), evidente storpiatura fonetica di ‘GHIACCIO’. Da ‘diaccio’ derivano tutta la serie di annessi e connessi quali diacciare, diacciata, e perfino diacciaia termine che, qualche volta, indica il congelatore (cioè il posto più freddo della casa). Presente quando vostra nonna tutta apprensiva vi dice: “Oh nini se tu voi veni’ a desina’ qui dimmelo pe’tempo che ho da tira’ giù la roba dalla diacciaia” (tradotto in fiorentino emendato: “Tesoro, se vuoi venire a pranzo qui, dimmelo prima perchè devo scongelare la roba dal freezer”)? Ecco, quello è un tipico contesto d’uso.

Altra espressione ricorrente per riferirsi alle temperature poco clementi è BUBBOLARE:

“Stamani gl’è un freddo che si bubbola” corredato spesso da un sonoro battere dei denti. Ma cosa significa e da dove deriva questo verbo? Il verbo “bubbolare” deriva dal latino tardo “bubolare” che significa “voce cupa, lamento”. Pare che inizialmente si riferisse al verso del gufo, chiamato ‘bubo’ in latino, noto per non avere un cinguettio allegro…


su FUL ci siamo più volte divertiti a raccontarvi l’etimologia dei modi di dire fiorentini, scopri per esempio perché si dice “Bucaioli c’è le paste, qui il link ” 

Quindi “Bubolare/Bubbolare” indica lamentarsi con voce penosa e si può trovare anche in altre occorrenze. Per esempio, riferendosi a una persona particolarmente insopportabile, si potrà dire “OIOI o’icchè gl’avrà quello lì sempre da bubbolare?” per rimarcare il fatto che cotali lagnanze risultano tutt’altro che infrequenti e piacevoli alle orecchie dei più. Con questo significato si trova anche la forma più breve ‘bubare’.
In senso metaforico, alludendo al suono cupo, lo stesso verbo può diventare un’onomatopea (una parola che imita un suono) per indicare il rumore del tuono o del mare, come scrive nella poesia “Temporale” Giovanni Pascoli:

TEMPORALE
Un bubbolìo lontano. . .
Rosseggia l’orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.

Ai grandi poeti tutto è concesso…

di Rita Barbieri
ph di cover articolo a cura di
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