Quando Firenze emanava le leggi più avanzate d'Europa

Pietro Leopoldo
Pietro Leopoldo

La recente approvazione della legge sulle unioni civili, monca dell’adozione del figlio del partner, ha dimostrato tutta l’inconcludenza dei nostri governanti. Ma c’è stata un’epoca, circa duecento anni fa, in cui gli italiani, con le loro leggi d’avanguardia, indicavano al mondo quale via seguire.
Erano anni convulsi: nelle colonie inglesi oltreoceano iniziavano le proteste trasformatesi poi nella Rivoluzione Americana e in Francia il povero Luigi XVI, dopo il matrimonio con Maria Antonietta, continuava a versare in cattive condizioni economiche, tanto da convocare quegli Stati Generali che di lì a pochi anni l’avrebbero decapitato. Nel frattempo, in Inghilterra, Edward Cartwright e James Watt iniziavano, inconsapevolmente, la Rivoluzione Industriale. Un’epoca di meraviglie, come la nostra, e come la nostra, disorientante e spaventosa per chi non era pronto a tanti mutamenti.
Ma Pietro Leopoldo, terzo figlio dell’Imperatore d’Austria, e Granduca di Toscana più per caso che per aspirazione, non era tra questi. Giovane, gioviale, affascinante, il ragazzo dei Lorena aveva sposato una Borbone, Maria, niente affatto bella ma dall’acuta intelligenza. Giunto a Firenze per governare la Toscana, Leopoldo vi trovò alcuni dei migliori intellettuali dell’epoca, tratto caratteristico della città sin dal Quattrocento: Pompeo Neri, Marco Rucellai, Angelo Tavanti. Con l’aiuto di costoro, Leopoldo mise da parte il vecchio maresciallo Botta, e avviò una serie di riforme che avrebbero consegnato il suo e il nostro nome alla storia.
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Il Codice Leopoldino

Oggi ricordiamo di quel documento promulgato il 30 Novembre del 1786 solo gli aspetti più famosi: l’abolizione, per la prima volta nella storia, della pena di morte e della tortura. Ma la Riforma Leopoldina, il primo codice legislativo a contemplare i princìpi di Cesare Beccaria, fu solo il punto di arrivo di una lunga serie di riforme che Pietro Leopoldo attuò a Firenze.
Iniziò limitando lo strapotere della chiesa ed espropriandone i beni; licenziò gli esattori delle tasse privati, un’antica versione di Equitalia che taglieggiava il popolo; abolì le dogane e istituì la leva nazionale; infine, proibì le sepolture in chiesa, edificando a tal fine il cimitero di San Trespiano. La costituzione leopoldina fu il coronamento di questa azione riformatrice durata vent’anni, e, seppure parte di un progetto rimasto incompiuto, costituì il punto di partenza di un percorso storico iniziato allora a Firenze e completato a Parigi nel 1948, quando l’ONU promulgò la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Ma che successe a quelle riforme, che successe al giovane Lorena? In una mattina di fine Febbraio di tanto, tanto tempo fa, Pietro Leopoldo sedeva nel suo studio, intento, con l’Arcivescovo Martini, a vergare documenti, febbrile ed elegante come sempre sapeva essere. All’improvviso giunse a interromperlo un messaggero: Guseppe II, suo fratello, era morto e Vienna non aveva un Imperatore, mentre la Rivoluzione Francese metteva a repentaglio la vita della sorella Maria Antonietta. Il Granduca allora lasciò le placide rive dell’Arno e la sua amata riforma, per tornare a quella casa che non era mai stata veramente sua. Partì perché era un uomo coraggioso e un politico, sacrificò i suoi desideri per i suoi doveri e cinse la pesante corona di Carlo Magno, pronto ad affrontare la tempesta rivoluzionaria. La sua opera riformatrice, allargata a tutta l’Europa, sarebbe stata completata solo da Napoleone.
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Leopoldo II Imperatore con la famiglia

Pietro Leopoldo non tornò che un’ultima volta, e per poco tempo, a Firenze, morì infatti il 1 marzo del 1792, una polmonite lo folgorò tra le braccia dell’amata Maria, che gli sopravvisse solo di qualche mese. Sulla sua lapide non vennero poste decorazioni, né una commemorazione né una festa furono istituite in suo nome, e oggi nessuna targa ricorda, a Vienna, quello spirito di fuoco e acciaio, mente brillante e coraggiosa del XVIII secolo. A quanto pare valse per il giovane Granduca divenuto Imperatore il detto: “nessuna buona azione resta impunita”, perchè Pietro Leopoldo, con tutte le vite che aveva salvato allora e che continua a salvare ancora oggi grazie alla sua eredità giuridica, di buone azioni ne aveva compiute davvero tante per un uomo soltanto.
 
NICCOLÒ BRIGHELLA