Quella linea di confine invisibile

Una collaboratrice fiorentina di FUL a Gerusalemme racconta la sua esperienza in una città segnata dalla lotta tra palestinesi e polizia.

 

A parte gli scherzi (bisogna sdrammatizzare ogni tanto, no?) e ciò che appare da Facebook, prenderò qualche minuto per descrivere la situazione che sto e che stiamo vivendo qua (a Gerusalemmme, ndr).
Non è facile, non dal mio punto di vista. In questo momento, e così è stato da quando sono qua, sono da sola in stanza e si sentono praticamente accanto alla finestra spari e sirene. Oggi va già meglio, ma negli ultimi giorni mi sembrava che fossero letteralmente accanto a me. E lo erano: io sto sulla linea di confine con Gerusalemme Est, la parte araba della città. Ci sono stati scontri con la polizia negli ultimi giorni e ieri, col funerale del ragazzo palestinese ucciso nella foresta di Gerusalemme, in congiunzione con lo Shabbat e il primo venerdì di Ramadan, le cose si sono scaldate.


Per accortezza, non certo per caso, non mi sono ritrovata nella città vecchia, dove gli scontri sono stati piuttosto pesanti: gas, cordoni di sicurezza creati dalla polizia, pallottole di gomma sparate.
Oggi sembrava tutto molto migliore, ma accanto ai dormitori dell’università ci sono state esplosioni. 
Poi ci sono i momenti di surreale normalità: come ieri sera, a guardare i mondiali nel centro della città, nella parte ebraica. Come se niente fosse. Scherzi coi soldati, che hanno più o meno la tua età e vogliono farsi una foto con te che sei occidentale, o viceversa. Ogni tanto è così: ti astrai e distrai rispetto alla situazione in cui sei, con tutti questi studenti internazionali che vengono, come me, da osservatori. E che quindi si sentono esterni, quasi come se la situazione non li sfiorasse.
In me, invece, è penetrata. Sento e avverto fortemente queste tensioni, e sono costantemente con le antenne alzate. Sento la precarietà di questa situazione e della sua presunta “normalità”. Non so come andrà. Purtroppo le news non sono promettenti e l’aspetto emotivo della questione riaffiora come non mai. Avere la guerra accanto, e sentirla. In questi momenti impari a seguire l’istinto che, stranamente, ti da ragione.


Prima di tornare a casa c’era una marcia per la pace nel quartiere ebraico. Mi ha fatto effetto.
A volte mi sembra di essere su un altro pianeta. Come se non potesse essere vero. Parlo con tante persone e parte del nostro corso è sentire le opinioni di persone che questo conflitto l’hanno vissuto sulla propria pelle. Il primo giorno di lezione è venuto a parlare un ex combattente palestinese, più volte stato in prigione, che alla fine ha capito che la non violenza sarebbe stata l’unica soluzione.
Un giornalista del Jerusalem Post, invece, ci ha parlato della soluzione dei due stati nello stesso territorio, ma entrambi concordavano sul fatto che gli ostacoli principali alla risoluzione di questo conflitto sono la paura e l’accumulo di sofferenze stratificate che impediscono di guardare lontano e oltre.


Dall’esterno, il conflitto è piuttosto incomprensibile. O almeno, lo è, ma sembra impossibile che ancora non si sia risolto.
Non so come andrà. So che in questi casi, però, l’unica cosa che parla bene e chiaro è la pancia. Ascolterò il mio istinto e mi tutelerò.
Detto tutto questo, è forse l’esperienza che più sta trasformando il mio modo di pensare. La guerra scava le individualità, e lo vedo dagli occhi di queste persone, in qualche modo più profondi e intensi di quelli che vedo solitamente.
Scava e trasforma e porta più vicini alle cose veramente importanti della vita. Ti fa capire che essere vivi è già un grandissimo regalo e ha un enorme valore. Essere vivi, nascere in un posto che ti consente di avere serenità, pace, salute. E’ tutto, e noi abbiamo già tutto.
Ricordiamocelo nella nostra Italia e nella nostra Europa, dove combattiamo da anni nemici invisibili.
Mi ha colpito più di tutto il resto ciò che mi ha detto l’addetto alla sicurezza della nostra università: “Qua temiamo tutti i giorni, siamo sospettosi di tutto, siamo a rischio. Ma se credi e hai fede, in qualche modo sei protetto.”
Ci stiamo dimenticando di questo, da noi, e non è secondo me una questione di religione o fede religiosa: è una questione di valori.
Detto questo vado a letto, in questo pianeta tutto nuovo e surreale che si chiama Gerusalemme.


FIAMMA GORETTI

photo ©Rojs Rozentāls