Si apre domani al Giardino dei Semplici la nuova installazione di Sedicente Moradi, Taxine, creata in occasione del 470° anniversario della fondazione dell’Orto Botanico.
È un Moradi diverso, lontano dalla strada. Celebra il 470esimo anniversario della fondazione del Giardino dei Semplici intervenendo su uno storico esemplare di Taxus baccata, immerso nella beatitudine dell’Orto Botanico. L’uomo dell’asfalto, che predilige la natura, qui approccia concetti, rappresentazioni di simboli mentali.
Il Tasso dell’Orto è l’albero più antico del giardino. Sempreverde. Fu seminato nel 1720 da Pier Antonio Micheli, direttore dell’Orto Botanico dal 1718 al 1737. Ha 18 m di altezza, 380 cm di circonferenza, l’area di insidenza della chioma è circa 180 mq.
Una meraviglia della bioarchitettura: generalmente non più grande di una siepe, giganteggia invece dalle parti di Via Ginori l’albero secolare, piramide di fronde, cupo, maestoso e ferino. È conosciuto anche con il nome di «albero della morte». Produce tassina, principio attivo responsabile della tossicità di rami, foglie e semi, che ha effetto narcotico e paralizzante sull’uomo e su molti animali domestici. Gli organi che ne contengono di più sono le foglie vecchie.
Leggenda vuole che il viandante che si addormenti sotto un Tasso non si svegli più.
Tassina: utilizzata anche come principio attivo di prodotti chemioterapici per la lotta ad alcune forme di cancro.
Taxine: rappresentazione di Natura matrigna e potente, generatrice di vita e morte, del suo rapporto con l’uomo, inno alla scienza e allo sviluppo culturale, in una riflessione che scandaglia la dinamica del rapporto uomo-natura.
Di fronte al Tasso, poi al suo interno: sotto le fronde Moradi ha avuto l’ispirazione, e ha visto elementi biologici accostarsi tra loro, andando a produrre lo schema molecolare della tassina stessa. Visione quasi allucinata di schemi grafici e scientifici, come sognati da un bambino.
Penso a Moradi e scrivo le parole di Luigi Lombardi Vallauri, mio professore di filosofia: «Lo specifico della bellezza artistica è che suscita un’ammirazione anche per il gesto creativo. Non solo dico “quant’è bello” ma scuoto la testa con stupore dicendo “ma come ha fatto, ma come gli è venuto in mente”».
Moradi nel gorgo dell’albero centenario, ha avuto il suo meravigliato e lucidissimo risveglio all’essere. Ci ha visto la «frenesia d’ordine» della materia vivente, per citare ancora Lombardi Vallauri: «grandezze immaginativamente irrappresentabili», comuni ai tessuti vegetali e umani.
E ha avvertito la dicotomia vita-morte racchiusa in quell’albero, soffermandosi sull’elemento base, quello molecolare.
Ha riprodotto così la formula chimica della tassina, intrecciandola sotto le fronde dell’albero, insinuandola nel suo spazio: listelli di legno incastrati tra loro toccano i rami secolari, natura contro natura, come sempre accade nei lavori del Moradi. Poi ci sono foglie, incollate tra loro, che gonfiano lo schema e lo caricano di un’altra vita ancora, di una metastasi vegetale. L’installazione crea un turbamento, c’è come un risucchio, un vortice, un percorso interno che attira lo spettatore verso l’elemento, vero il mistero di quell’esistenza, che è formula, principio, sostanza base, comune a tutti gli esseri terrestri.
«Stavolta è chimica di fronte alla poetica» spiega Moradi «… e allora fa paura, perché ti senti specie invece che individuo, è un’altra prospettiva. Sei limitato, circoscritto e confrontabile. Non è l’uomo al centro dell’universo, è l’uomo come creatura all’interno di uno schema di creature: quindi deve capire la posizione che vuole tenere. Quella che sta tenendo adesso è insana da tutti i punti di vista. Come specie siamo ridicoli e aggressivi. Autodistruttivi. Siamo come un virus. In effetti lo scenario pare a dir poco negativo, ma c’è del buono. Buono è il lavoro dello studio dell’uomo, che ha saputo trarre vita da uno schema molecolare, che ha saputo leggere dentro le cose: ha riempito la definizione di animale razionale che c’è dell’uomo, tirandone fuori anche gli aspetti creativi dell’animo umano».
Cito ancora una volta le parole del filosofo Luigi Lombardi Vallauri: «La scienza, la grande scienza moderna, è un balcone sull’infinito, una riserva di contemplabili non solo più sicura epistemologicamente, ma anche più ricca nei contenuti, e più grandiosa e sconcertante nelle prospettive, di forse ogni precedente forma di sapere. Dunque, se “realizzata” intuitivamente e non solo acquisita nozionalmente, la scienza è una possibile via mistica, perché capace di propiziare una cosmicizzazione della coscienza, un meravigliato e lucidissimo risveglio all’essere; con ricadute personali e interpersonali altamente desiderabili».
(Luigi Lombardi Vallauri, Meditare in Occidente. Corso di mistica laica, Le Lettere Editore, Firenze 2015).
Taxine
a cura di Yan Blusseau.
Dal 1 dicembre al 22 febbraio 2015.
Orario: sabato, domenica e festivi 10.00 – 16.00.
Con il patrocinio del Comune di Firenze e di Firenze Patrimonio mondiale dell’UNESCO, Museo di Storia Naturale di Firenze, Accademia dei Georgofili.
Testo: Martina Scapigliati
Foto: Niccolò Brighella