“Semplice è l’inizio di un nuovo percorso”. Intervista a Motta

Francesco Motta

Francesco Motta ha da poco pubblicato il suo terzo e ultimo album, “Semplice”, uscito per Sugar ad aprile. Il lavoro rappresenta un vero e proprio punto di svolta nella carriera dell’artista.

Giovedì 22 luglio Motta si esibirà all’Arezzo Music Fest, nell’ambito della manifestazione “Anfiteatro sotto le Stelle”. FUL lo ha intervistato per farci raccontare la genesi, gli aneddoti e le curiosità dietro la realizzazione del suo ultimo disco.

Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 30 aprile, data di uscita del tuo terzo album, “Semplice”. Com’è nato questo lavoro? La pandemia ha influito sulla tua produzione artistica?

“È nato come nascono spesso i miei lavori, cioè da un’urgenza di raccontare delle cose. Spesso faccio dischi per cercare di allinearli con quello che sono, quasi come per rispondere a delle domande. La pandemia ovviamente ha influito, su di me come essere umano prima che come artista e di conseguenza anche sulle canzoni. Se i testi in generale non dovrebbero solo raccontare quello che succede ma anche cercare di sintetizzarlo, quando è iniziato questo incubo io non avevo neanche le parole. In che modo potevo riuscire a fare una sintesi della realtà?

Ci sono state canzoni che sono nate prima, alcune si sono rafforzate nel loro significato, altre invece non hanno retto il colpo. La pandemia ha influito non tanto sulla scelta delle parole, ma proprio su di me, perché – come tutti – anch’io ho cercato di dare delle risposte a domande anche un po’ banali, se vogliamo, in questo periodo.”

Con questo album hai rimesso al centro le piccole cose. Per arrivare a questo processo di consapevolezza, a questo livello di maturità, c’è stato anche un lavoro su Francesco Motta come persona, al di là dell’artista?


“Assolutamente sì. Ci ho messo trentacinque anni per intraprendere questo percorso su Francesco come persona, ma ce l’ho fatta. È stato un anno faticoso, nonostante io sia stato più fortunato di altri perché ho avuto la possibilità di andare per un po’ in campagna, di distaccarmi un po’ dalla città.

Per un po’ di mesi rifugiarmi in nel verde è stato utile, anche se ci sono stati dei momenti in cui ho avuto timore quando vedevo la chitarra; è stato come se avessi un po’ litigato con la musica. Invece nell’ultimo periodo è stato veramente come fare pace con il mio miglior amico.”

Il titolo dell’album, “Semplice”, sembra quasi una dichiarazione d’intenti che poi, in qualche modo, svisceri canzone dopo canzone. Che cos’è “Semplice” per Francesco Motta?

“”Semplice” è un disco che rappresenta l’inizio di un nuovo percorso che non so dove mi porterà. Per la prima volta, non essendoci stato modo di rubare il sole alle persone – perché le persone purtroppo in questo periodo le ho viste poco – mi sono goduto anche lo stare fermo a guardare quello che succedeva, e quando ti capita di stare fermo spesso ti soffermi anche su ciò che succede a te stesso, su come stai, su quello che hai dentro.

È come se ci fosse un vero e proprio cambio di prospettiva; è il cercare di capire non tanto cosa sia semplice e cosa no, ma capire cos’è il superfluo. Nei miei dischi in fondo non dico grandi verità: mi pongo delle domande e provo a riproporle anche attraverso le canzoni.”

Francesco Motta
Francesco Motta. Foto di Claudia Pajewski.

C’è una canzone – o più canzoni eventualmente – che consideri risolutive?

“Penso di non aver mai scritto una canzone risolutiva. Anche quando pensavo di aver risolto il problema parlandone, in realtà mi sono accorto che non facevo altro che pormi ulteriori domande invece che darmi delle risposte.

Anche quando ho parlato, negli altri dischi, di persone a me care, dicendo loro delle cose, la prima impressione era quella di aver risolto qualcosa, ma in realtà non è mai stato così.

Come convivi con il fatto di aver tentato di dare una risposta o una soluzione a un problema e di non averla trovata?

“Forse prima avevo troppa arroganza. Dico sempre che i cantautori a volte sono vigliacchi, perché sono veramente convinti di risolvere un problema con una penna e un foglio, seduti da soli a un tavolino, invece non è assolutamente così.

Adesso forse sto cercando anche di scindere di più le cose importanti -le cose che ho voglia di risolvere- dalle canzoni. Sto cercando anche di ridimensionare un po’ il mio lavoro, che considero più un lavoro da artigiano. È come un costruttore di sedie: è ovvio che la sedia deve reggere perché la dai al pubblico, però c’è anche una vita dietro.

La cosa più importante per me è cercare di andare a letto contento. E se le canzoni mi fanno questo effetto cercherò sempre di fare canzoni che io reputo belle per me, non belle in generale per il mondo.”

L’immagine di copertina dell’album si presenta in maniera essenziale. Come mai questa scelta e come mai, per esempio, non compari te?

Penso che le canzoni siano più importanti di chi le scrive. Anche in questo caso ho cercato di togliere il superfluo, e dopo riunioni su riunioni, prove su prove, anche abbastanza complicate, a un certo punto siamo arrivati al punto.

Tra tutto il superfluo che ho cercato di togliere non ho quindi sentito la necessità di mettermi in copertina. Detto questo, di foto ce ne sono talmente tante in questo periodo che aggiungerne una non mi sembrava particolarmente interessante.”

“E poi finisco per amarti” è il primo singolo estratto dall’album. Come mai sei voluto partire da qui?

“Era uno dei brani che più rispecchiava il senso dell’album, che è forse l’album più vicino alla dimensione live che ho fatto. Le parti strumentali e il tipo di vocalità rispecchiano tanto quello che faccio dal vivo.

Sarà stata forse proprio la mancanza dei concerti, ma in questo disco qui – in questo pezzo soprattutto – c’è una volontà di condividere la musica con i musicisti che mi accompagnano da tanto tempo. Sento tanto la band in questa canzone.”

In questo lavoro ci sono delle influenze, su tutti Tenco e De Gregori. In che modo sono entrati nella composizione dell’album?

“Quando suonavo per strada in Irlanda, anni fa, con Francesco Pellegrini, il chitarrista della band che avevo ai tempi (Criminal Jokers, ndr) suonavamo “Una brava ragazza” di Luigi Tenco, perché Tenco ha una sfaccettatura molto spigolosa e ironica che mi ha sempre affascinato. Su “L’estate d’autunno” ci sono in qualche modo dei vaghi accenni a quel brano.

De Gregori invece è stato contattato dopo un sogno assurdo che ho fatto in cui gli facevo ascoltare “Qualcosa di normale”. Ho quindi deciso di mandargli una mail senza fare nessun tipo di richiesta. Lui mi ha risposto consigliandomi di cantarla con una donna, così io ho deciso di farlo con mia sorella.”

Francesco Motta
Francesco Motta in uno scatto di Claudia Pajewski.

C’è anche un’altra persona che ha contribuito a questo album in maniera ancora più diretta, che è Brunori Sas. Con lui hai scritto “Quando guardiamo una rosa”, la traccia conclusiva di “Semplice”. Che apporto ha dato Brunori al tuo lavoro?

“Con Dario ci conosciamo da tanto, è una delle penne che mi piace di più. Ci sono alcune volte in cui la magia si crea e altre volte invece in cui questo “ping pong” di co-scrittura magari non funziona. Con lui è andata bene fin da subito.

È come se avessi avuto bisogno di un sguardo esterno, perché in qualche modo tutte le altre parti erano state scritte con Gino Pacifico. Con lui lavoro da oramai tantissimo tempo, è il secondo disco che facciamo insieme e Gino compie un processo “maieutico” nei miei confronti, tirando fuori in una maniera stupenda delle cose che ho dentro e che da solo non riuscirei ad esternare.

Invece Dario lo conosco sì da tanto, ma non avevamo mai lavorato insieme, ed è stato bello avere un altro punto di vista per me meno consueto.”

Che cosa si prova a tornare su un palco dopo un periodo di assenza forzato?

Per me è assolutamente come tornare a casa. Nella mia concezione, nel mio lavoro quello è stato sempre fin da subito la priorità. Io ho iniziato forse prima a fare concerti che a scrivere canzoni, quindi per me rappresenta casa, il mio posto preferito nel mondo.

Quest’anno ho cercato di creare nuovi ricordi, ma in qualche modo c’era sempre una vocina che mi diceva “ricordati che tornerai a suonare, ricordati che tornerai là”, e a volte questo pensiero mi ha fatto pure stare male, perché più ci pensavo e più ero triste del fatto che non potevo fare concerti.”

Quali sono i tuoi progetti futuri?

“Sto lavorando a un po’ di cose. C’è anche una parte di me che ha esigenze che prescindono dal fatto di scrivere canzoni. Adesso è uscita una colonna sonora di un film che si chiama “La terra dei grilli”, ed è un progetto che voglio portare avanti perché scrivere colonne sonore è come avere a che fare con una band – il montatore, il regista – tutta una serie di persone che lavorano insieme per un risultato chiaro, che è appunto il film.

La voglia di ritornare a scrivere testi arriva anche grazie a tutte queste cose collaterali, che sono magari produzioni per altri. È un bel periodo per me, come se stesse per iniziare veramente un nuovo ciclo in cui ho molto più chiaro cosa voglio fare nella vita, anche a livello artistico.”