Da rifiuti a bigiotteria: "Think Outside The Box" il progetto creativo di Laura Tani

Vi portiamo a conoscere le creazioni di Laura Tani artigiana, riminese d’origine ma toscana d’azione, che partendo da capsule del caffè, tappezzerie, bottoni, camere d’aria, cartone e molto altro crea bellissime linee di oggettistica e bigiotteria.

 
Una scelta che però, finora, è stata ripagata dal successo e dalla passione che Laura mette e trasmette in ciò che fa. Comprare le sue creazioni non è soltanto regalarsi un oggetto originale, ma ascoltare una storia. Ogni oggetto vive, grazie alla manualità e alla fantasia, una seconda vita: Laura infatti utilizza solo materiali di scarto. Ciò che gli altri buttano via, lei lo recupera e lo trasforma.

Come ti è venuta questa idea?
“Vengo da una famiglia con interessi artistici: mia mamma è modista e, un’estate, ho fatto con lei e mia sorella dei mercatini con le nostre cose. Ho sempre un po’ bazzicato il mondo delle bancarelle ma, la svolta, per così dire è stata quando sono andata a vivere con il mio compagno: volevamo dei mobili originali, che fossero fatti da noi, volevamo che la casa fosse veramente ‘nostra’ e, per questo, abbiamo iniziato a guardarci intorno e a fare sperimentazione con ciò che avevamo sottomano. Da lì è nata la mia voglia di creare e ricreare le cose e ho iniziato a ideare e realizzare delle linee di oggettistica e di bigiotteria”.
Quali sono i materiali che usi? Dove trovi l’ispirazione?
“Uso ciò che gli altri buttano via: capsule del caffè, tappezzerie, bottoni, camere d’aria, cartone… Va bene quasi tutto, basta che sia un materiale o un oggetto che, apparentemente, abbia perso ogni attrattiva e ogni funzione. L’ispirazione può essere davvero ovunque: qualche volta scelgo un tema come la fiaba, il viaggio, i grandi artisti del passato e lo reinterpreto alla mia maniera. Qualche volta invece è direttamente il materiale a ispirarmi”.

Quali sono le reazioni dei tuoi clienti quando racconti che quello che stanno comprando è in realtà uno ‘scarto’?
“Devo dire che, generalmente, le reazioni sono molto positive; soltanto pochissime volte, quando ho descritto il materiale e l’idea alla base, i miei clienti hanno ‘snobbato’ le mie creazioni. Il più delle volte le persone si dimostrano interessate e quantomeno incuriosite dal processo e dalla filosofia di fondo”.

Infatti, dietro l’oggetto, c’è molto di più o sbaglio?

“Non sbagli. Dietro l’oggetto, o meglio dentro l’oggetto in sè, c’è l’idea del recupero e del riuso. Viviamo in una società estremamente consumistica e vorace, in cui le cose si buttano ancora prima che si rompano, solo perché sono passate di moda. Ci siamo in qualche modo, disappropriati dei nostri oggetti e la mia sfida è proprio quella di convincere qualcun altro a dargli una seconda chance, attraverso una sublimazione creativa. C’è una presa di posizione ideologica chiara dietro tutto questo: io sono contraria al consumismo selvaggio e allo spreco, per questo riuso il più possibile”.

Assomiglia molto alla filosofia giapponese del ‘kintsukuroi’ – l’arte di riparare con materiali preziosi ciò che è stato danneggiato-, in cui ciò che si recupera ha un valore aggiunto: il passaggio artistico di riparazione/ricreazione.

“Esatto: è ciò che cerco di fare io. Ovviamente, a differenza degli artisti, io sono un artigiana: ciò significa che l’oggetto che creo, qualunque esso sia, deve avere una funzione per chi lo compra e non essere semplicemente bello da vedere o originale. Se l’arte si basta da sola, l’artigianato ha comunque una componente più pratica da tenere in considerazione”.
Sembri molto soddisfatta della tua professione. Ma com’è vivere da artigiana?
“È uno stile di vita: sto rinchiusa molto tempo in laboratorio e nei fine settimana sono in giro per mercatini tra Toscana e Emilia Romagna. Non è sempre facile e serve organizzazione. Ma allo stesso tempo, è ciò che mi piace fare e mi dà l’occasione di incontrare persone con interessi simili ai miei. Con alcuni ragazzi di Bologna abbiamo messo su da poco un collettivo, Ridea, in cui condividiamo le stesse idee e le interpretiamo ognuno alla sua maniera. In più, sono spesso in giro nei vari paesini e devo ammettere che è anche divertente”.
Ma non fai spesso mercati di questo tipo a Firenze? Perchè?

“In realtà mi piacerebbe, ma al momento Firenze non offre molte occasioni… Al di là di quelle che sono le grandi vetrine ‘ufficiali’, come la Mostra dell’Artigianato, non ci sono tante altre possibilità… I pochi mercati che ci sono, sono prevalentemente formati da ambulanti e non sono certo contesti adeguati a valorizzarci. Ed è un peccato perché Firenze è una città tradizionalmente legata all’artigianato, oltre che all’arte. Invece si investe e si dà molta visibilità all’arte, mentre si lascia un po’ in secondo piano l’artigianato… In centro non ci sono quasi più le botteghe artigiane di una volta, che hanno reso Firenze fiorente per secoli e, secondo me, bisognerebbe fare qualcosa per salvare e tutelare tutto questo. Continuando così, non si perde solo una tradizione o un pezzo di storia, ma anche una delle tante facce della città: un piccolo pezzettino nel puzzle della sua poliedrica identità…”
Grazie Laura per la tua intervista e complimenti per il tuo progetto “ThinkOutsideTheBox”, il tuo logo, ma anche il tuo messaggio: “Quello che da molti è considerato rifiuto, viene trasformato in risorsa e acquisisce nuova identità e nuova vita”. Ciò che si butta, non sempre è da buttare.
Rita Barbieri