Probabilmente il 2008, anno in cui è stato premiato il libro di poesie dell’onorevole Sandro Bondi come pubblicazione poetica più venduta, è stato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, permettendo la nascita del MEP a Firenze.
Il Movimento per l’Emancipazione della Poesia (MEP) si presenta come un mezzo per ripristinare il valore della poesia attraverso l’uso degli spazi urbani. Fogli bianchi con spruzzate d’inchiostro che formano versi poetici, una sigla e un timbro rosso come firma: questo è il modo che il MEP ha individuato per riportare in auge una disciplina quanto mai bistrattata. Ed è proprio nel capoluogo toscano che albergano le origini di un movimento che oggi conta venti membri a Firenze e circa novanta in tutt’Italia, da Catania a Milano.
Le loro azioni cercano di portare un elemento da sempre considerato elitario in strada, rendendolo così potenzialmente fruibile da tutti.
Ma sentiamo direttamente dalla voce dei protagonisti che compongono il movimento – e che preferiscono mantenere l’anonimato – quali sono la loro storia e i loro obbiettivi.
Cos’è successo alla poesia per desiderare la sua emancipazione?
«La poesia si continua a scrivere, ma nessuno più la legge. Ci siamo interrogati e continuiamo a interrogarci sul perché questo accade. La poesia, oggi, è tristemente relegata in blog onanisti o barbaramente incatenata alle dispotiche leggi dei concorsi letterari e del mercato editoriale, ma non per questo è morta o ha cessato di avere importanza. Il MEP si propone come un canale di divulgazione della poesia contemporanea, avulso da simili logiche e atto a ribadirne la vivida (r)esistenza».
Camminando per Firenze è facile notare molte vostre poesie stracciate o imbrattate. Secondo voi perché?
«Spesso ci siamo posti questa domanda. Ogni azione prevede più di mille poesie (ad ogni autore viene concesso lo stesso numero di copie), il giorno dopo ne rimangono mediamente i due terzi. Pensiamo sia semplice repulsione verso “l’imbrattatore” che porta a generalizzare e, forse, una consapevole colpa di aver partecipato al tracollo poetico di questo paese. Dalle bestemmie alle offese, le scritte sono delle più disparate, e le volgarità vanno per la maggiore ma, a volte, può succedere qualcosa di tanto auspicabile quanto inaspettato: un giorno, sotto una nostra poesia, nello spazio bianco, il foglio è stato integrato con versi in francese. Una bella sensazione»…
Leggi l’intervista completa a pagina 14 del numero 12 di FUL.
JACOPO AIAZZI
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